mercoledì 4 settembre 2024

VENEZIA 1951/2024

VENEZIA 1951/2024     di Gianfranco Vecchiato

Joseph Heintz : Venezia 1673 Il Ponte dei Pugni
I 175mila residenti a Venezia nel censimento del 1951, erano il 20% in più degli abitanti di sei generazioni prima quando, nel 1797 il millenario "Stato da Mar", venne abbattuto senza grande resistenza, dalle truppe napoleoniche. La Città-Stato subì allora un fortissimo contraccolpo economico e sociale, essendo stata depredata e privata dei suoi territori e  di indipendenza. Ad Andrea da Mosto, che fu direttore dell'Archivio di Stato di Venezia,  si deve la pubblicazione del libro "I Dogi di Venezia",pubblicato nel 1960,  che raccoglie episodi e storie  sui 120 Dogi che si succedettero in mille anni di repubblica. Nel libro rientrano anche le vicende dell'aristocrazia veneziana, potente e florida, che impresse vivacità e diede allo Stato forza diplomatica e commerciale favorendo la diffusione artistica e lasciando, specie nei 4 secoli di maggiore splendore, testimonianze di rara bellezza. Molte di quelle opere che sono giunte  a noi, si trovano ora in contesti modificati dal tempo e perlopiù  stravolte da contesti in cui è venuto meno un equilibrio civico e sociale. Quel passato in cui molti vivevano in città in condizioni per noi contemporanei, deplorevoli e igienicamente insostenibili, va inserito in una idea diversa dei rapporti umani che era radicata tra classi sociali, che a Venezia abitavano in stretto contatto fra loro.  Uno degli ultimi dogi, Marco Foscarini vedendo l'avvicinarsi di grandi cambiamenti predisse:" Questo secolo dovrà essere terribile ai nostri figli e nipoti". Toccò all'ultimo Doge di Venezia, Lodovico Manin, la sorte più dura. Eletto in un periodo declinante di traumatica crisi finanziaria e politica dello Stato, comprese che le idee rivoluzionarie che dalla Francia si espandevano in Europa, sarebbero arrivate come una valanga a travolgere la aristocrazia veneta. il 12 maggio 1797 senza combattere, dopo un progressivo sfinimento, Venezia si arrese agli ultimatum. Quando il Doge e le Signorie, si presentarono dinanzi al generale Junot per consegnargli la città, questi non potè trattenere il sorriso vedendoli comparire vestiti con costumi d'altri tempi. Lodovico Manin ebbe tuttavia la dignità di non collaborare con l'occupante. Un altro Manin, Daniele, fu poi artefice del riscatto morale di Venezia cinquant'anni dopo quando nel 1848/49 si sollevò dalla occupazione austriaca per reclamare la sua libertà. Oggi la città è Patrimonio Unesco ma nel Novecento diversi bombardamenti la colpirono sia nella prima e in misura ridotta nella seconda guerra mondiale. Tra settembre 1943 e aprile 1945, Venezia occupata da tedeschi e repubblichini, conobbe il martirio di deportazioni, fucilazioni, torture. Tuttavia finita la guerra, all'inizio degli anni '50, la città appariva animata e vivace, strutturata attorno ai suoi campielli e sestieri, visitata "timidamente" da 1milione e duecentomila turisti in quell'anno, forte nelle sue tradizioni. Luogo culturale internazionale, attiva con le Biennali d'Arte e di Architettura, con la Mostra del Cinema, con le due prestigiose università di Cà Foscari e dell'Istituto di Architettura guidato da Giuseppe Samonà, con fondazioni come la Giorgio Cini inaugurata nel 1951 nell'Isola di S.Giorgio Maggiore, vocata al recupero ed al restauro. L'economia turistica contava ma era una parte della economia diffusa tra attività artigiane che coinvolgevano le isole lagunari, dal vetro ai merletti, dalla pesca, alla cantieristica. Porto Marghera si stagliava con le sue fabbriche sul vicino orizzonte senza che vi fosse in quel 1951 una diffusa consapevolezza dei rischi gravi portati dalle industrie inquinanti alla laguna ed alle pietre della città storica. Un cortometraggio in bianco e nero del 1950, di Enzo Luparelli con la dizione dell'attore Cesco Baseggio, dal titolo "I Nua" (Nuotano), mostra gruppi di ragazzi che si tuffano nei canali veneziani sotto la calura estiva fino all'imbrunire quando le voci delle madri li richiamano in casa. Il Comune si era allargato oltre le acque, coinvolgendo Mestre e gli ex Comuni di cintura e divenne questo il primo approdo di esodi demografici costanti. I progetti amministrativi sul futuro della città, proseguendo ciò che era avvenuto negli anni '20 e '30, con il profondo riassetto urbanistico di tutto il lato sud-ovest, dalla Stazione a piazzale Roma al Porto a S.Marta,  inserirono proposte di progressiva omologazione  che contrastavano con la storia e con l'ambiente. Alla Zona Industriale si portarono navi sempre più grandi scavando un "Canale dei Petroli" che contribuì a sconvolgere gran parte della laguna sud; l'assenza di controlli sugli sversamenti inquinanti in laguna, produsse gravi squilibri e danni alla salute per migliaia di persone. L'Ente Zona Industriale di Marghera era allora governato in autonomia senza che l'Amministrazione comunale di Venezia potesse incidere sulle scelte. Dagli anni '60 l'esodo dei veneziani divenne crescente, impetuoso, sostituendo vaste zone residenziali con esclusive attività ricettive. I cambi di destinazione d'uso, non impediti e controllati, l'assenza di normative specifiche, il sovrapporsi di competenze, ha cambiato in qualche decennio l'anima della città antica. E così settant'anni dopo, nel 2024 constatiamo che: i residenti che vivono stabilmente sono scesi a 49mila e ancora scendono. Sono saliti a tredici milioni e 500mila i pernottamenti nel 2023, e sono decine di milioni i turisti che impediscono relazioni normali in città. La creano nei trasporti, nei costi di manutenzione, nei rapporti sociali. Il turismo movimenta un forte indotto economico che però induce alla conversione di migliaia di alloggi in B&B, in affittacamere, in alberghi, in residence, alimentando speculazioni immobiliari, anche estere e abbassando la qualità della vita quotidiana nel tessuto storico. Un mondo precedente si è dissolto insieme al tessuto connettivo che lo animava.  L'arcipelago lagunare ed il suo modello sociale resta fatto da impasti diversi: demografici, culturali, economici, religiosi, ambientali, sociali, urbanistici. Tutto questo crea un equilibrio che ostacolerebbe diversi disegni di "rapina" ed è per questo che è stato più o meno consapevolmente indotto a sparire. Insieme agli abitanti si è assistito ad una costante dismissione anche di luoghi religiosi, a conventi chiusi trasformati per mancanza di ricambi e vocazioni. Tra debolezze amministrative e divisioni politiche Venezia raccoglie la sua storia dove sono transitate in poco più di una cinquantina di generazioni, circa 4 milioni di veneziani. 
Andrea da Mosto (1868/1960) Copertina del libro:
I Dogi di Venezia nella vita
pubblica e privata.
Loro hanno impresso per stratificazioni successive, i segni straordinari del loro passaggio e  
forme di civiltà  costituite, sorrette, vivificate, consolidate sorrette da tre elementi: rispetto e difesa  della laguna e delle altre acque,  domate in lotte continue, deviando i corsi dei fiumi, controllando e sperimentando le maree, assumendo vaste conoscenze anche empiriche nel campo idraulico.  La economia ed i  commerci,  attraverso navi che solcavano l'Adriatico ed il mediterraneo e univano culture diverse; poi attività agricole e terriere accompagnate dalla cura per l'architettura, l'arte e l'ambiente. Le grandi navi odierne sono incompatibili con il primo assunto e devono e possono trovare soluzioni in prevalenza fuori dalla laguna in modo da non comprometterne i caratteri. Il terzo fattore fu la struttura politica e sociale dello Stato. A Venezia l'aristocrazia regolava le sue funzioni e sottoposta al controllo da istituzioni che ne bilanciavano il potere. In quella società veneziana lontana e a noi quasi sconosciuta, c'era un Popolo che era la forza dello Stato e ne misurava la sua grandezza e permanenza. Da questo ne trassero giovamento i rapporti sociali, le tradizioni di fede e di lingua, le espressioni e la filosofia del pensiero, l'indole della sua gente.  Oggi la divisione e lo scarso coordinamento tra competenze di Enti autonomi crea distorsioni alla vita della città frenandone una armonica ed efficace evoluzione. Il Porto, l'Aeroporto, le Ferrovie, le Autostrade, le Aziende di trasporto, per lunghi anni l'Ente Zona Industriale di Marghera, le Sovrintendenze, la Regione, la Provincia, il Magistrato alle Acque, le Università, più di recente l'Ente Città Metropolitana, etc. sono parte delle complessità  di questo territorio. Se gli antichi pensavano al futuro i contemporanei lo temono. La "Regina dell'Adriatico" a metà del 1400, nella sua maggiore espansione commerciale e politica superò  i 200mila abitanti. Visitando le sale del Palazzo Ducale o dei Musei di Venezia si allineano i volti severi e dignitosi dei Procuratori, dei Savi, dei Magistrati, dei Dogi, dei Patriarchi. Nondimeno essi prendono vigore insieme a quelli dei marinai, dei condottieri, dei pescatori, dei letterati, degli artisti, del popolo.  Questa città anfibia, ben consapevole e fiera della sua originalità, nella "Festa della Sensa",   celebrava ogni anno lo "sposalizio" con il suo Mare. Una folta schiera di volti muti è presente tra le pietre antiche della laguna e giudica i contemporanei.  La grande industria turistica porta la città a galleggiare su un mare di soldi. Con diversi effetti:  drogano artificialmente e sostengono una scenografia di distorti fotogrammi tra gli scatti ed i selfie di luoghi che per molti non hanno alcun significato. 
Film Tempo d'Estate (1955)
Mi viene alla mente che nel 1955 un film di genere sentimentale, ambientato a Venezia e diretto da David Lean, dal titolo "Tempo d'estate" vedeva una scena in cui i due protagonisti, Rossano Brazzi e Katharine Hepburn, si trovano in campo San Barnaba dove si affaccia un canale  con barche che vendono  pesce e ortaggi ai residenti. Lei cade in acqua vicino al ponte "dei pugni" dove per tradizione si svolse per secoli lo scontro  tra due fazioni rivali i Castellani e i Nicolotti. Un quadro di Joseph Heintz il Giovane raffigura nel 1673 una scena dell'avvenimento. Il confronto spesso terminava con morti e feriti. Lo si fece cessare agli inizi del 1800, modificando caratteri e finalità. La complessità della società veneziana tra diverse identità, affacciate a decine di campielli, di corti, di Chiese e Parrocchie, di Santi, di mestieri, fra classi diverse, fra case diverse, fra provenienze diverse. Fondaci per i Tedeschi, per i Greci, per i Turchi, in un microcosmo fragile unito dalla lingua, dal cibo, dalle tradizioni, dalla fede. Pur se si è sostenuto che sia la più moderna città per il futuro, la sua urbanità a misura d'uomo, la possibile residenza di migliaia di giovani studenti, di grandi e piccole realtà economiche, Venezia potrà dirsi città solo se ritorneranno a viverla nuove famiglie, generazioni che crescono, che si evolvono, che mantengono vivo il linguaggio, le memorie, i bisogni, le tradizioni. Lo osservava qualche anno fa Salvatore Settis sul suo libro "Se Venezia Muore". Non può essere città una somma di cartoline, di fugaci presenze, di appartamenti di transito. Bisogna ricreare veneziani che non vendano l'anima al profitto,  rifacendo norme adeguate che ridiano un volto alla città senza ridurla a vetrina.  Entrando nella Basilica di San Giovanni e Paolo, il Pantheon veneziano, si può cogliere il senso  di un tempo remoto. Venezia non fu solo quella delle commedie goldoniane, o quella degli intrighi di Casanova e nemmeno quella di una città in perenne festa di carnevale. Fu uno "Stato da Mar", per mille anni indipendente, una grande potenza marittima e commerciale. In una parete della basilica si staglia una urna di pietra che raccoglie le spoglie e la pelle di Marcantonio Bragadin, Ammiraglio veneziano e Governatore di Cipro, scuoiato vivo dai turchi dopo l'assedio di Famagosta nel 1571. Reliquia laica di una antica Patria ora perduta. Ma che può sempre essere ritrovata.

martedì 7 maggio 2024

GIACOMO MATTEOTTI E IL POLESINE

 GIACOMO MATTEOTTI E IL POLESINE di Gianfranco Vecchiato

Giacomo Matteotti
A Fratta Polesine, l'architetto Andrea Palladio realizzò attorno al 1563 la celebre Villa Badoer, primo edificio palladiano in cui l'Autore inserì un pronao a colonne con un frontone in facciata. Le forme classiche testimoni di vaste proprietà terriere all'epoca della "Serenissima", sono a Fratta, raccontate da ben 15 diverse Ville, che segnano altrettanti fotogrammi  di un tempo remoto.  Se dal 2009 una barchessa laterale a villa Badoer ospita un museo archeologico nazionale, poco distante un'altra casa raccoglie un Museo etnografico della civiltà e del lavoro e gli strumenti di vita contadina. Qui una meridiana ammonisce: "Transit umbra sed Lux permanet". Ed è la permanenza,  il fattore che è richiamato anche da monumenti e lapidi, a indicare che questo luogo ha un posto di rilievo nella storia del Risorgimento italiano, perchè Fratta fu sede di numerosi "carbonari", tra cui  Antonio Fortunato Oroboni e Giovanni Monti,   arrestati nel novembre 1818 e condannati  poi al carcere. Alcuni nel castello di Lubiana e altri nella fortezza dello Spielberg in Boemia, la stessa in cui fu rinchiuso  Silvio Pellico, l'autore de "Le mie prigioni". Un libro che secondo il cancelliere von Metternich, costò all'Austria più di
Fratta Polesine: Villa Molin o della Carboneria
una battaglia perduta. Il piccolo monumento ai Martiri Carbonari, innalzato nel 1867, l'anno successivo alla annessione del Veneto al regno d'Italia, accoglie i visitatori nel centro di Fratta, testimoniando il sacrificio ideale di tanti giovani patrioti. Furono valori morali e civici a formare anche il giovane Giacomo Matteotti, che qui risiedeva.  Sullo sfondo di un viale alberato sorge la Casa che fu della sua famiglia, oggi Museo. Un miscuglio di sensazioni è quello che prende corpo camminando per le strade pavimentate in porfido e sassi. Da una parte ci sono le testimonianze della vita agra dei contadini e accanto quella dei signori che spesso li sfruttavano. Opere d'Arte e lotte politiche e sociali. E' il paesaggio che domina nel Polesine, con le distese orizzontali di pianura e l'intreccio d'acque, tra canali e fiumi. Qui accanto passa il Po che giunge al suo  delta, attraversando campi coltivati, unendo l'acqua, il cielo e la terra. E' un mondo diverso dall'altro Veneto, denso di strade, di case e di capannoni. Qualche diroccata casa colonica, testimone di un patriarcato familiare oggi scomparso, ricorda l'intensità delle migrazioni e degli abbandoni vissuti da queste terre. 
Villa Badoer 1563
Lo scrittore Nino Savarese (1882/1945) annotò negli anni'30 in  "Cose d'Italia": "... Un vago presentimento del mare è diffuso su tutta la pianura e si palesa sulla traccia di numerosi canali, di numerose paludi, che come aperture di luce marina solcano i campi...". 
Una vista del fiume Po
L'acqua è ancora una protagonista. Due alluvioni sono ricordate, quella più tragica del 1951 e quella disastrosa del 1966. Il 14 novembre 1951 il fiume Po  esondò e sommerse con 8 miliardi di mc d'acqua  metà provincia di Rovigo. Al bilancio di 100 vittime e di 180mila senzatetto si aggiunsero enormi danni alle attività agricole.  Se ne andarono oltre 80mila abitanti, circa il 25% della allora popolazione provinciale. Le cronache del tempo raccontano di scontri politici ed errori tecnici, di inadeguatezza nei soccorsi, di desolazioni intrise di coraggio, di pietà e di solitudini.  
Fratta: Museo vita contadina
Solo dopo cinquant'anni in provincia si ebbe una prima inversione demografica. La meccanizzazione dell'agricoltura, i lavori imponenti di assetto idraulico, lo spirito imprenditoriale, hanno in parte cambiato il vecchio Polesine depresso ed abbandonato, facendone per fertilità il granaio della regione. I problemi sono ancora molti.  E tra questi la risalita del "cuneo salino" dal mare Adriatico lungo il Po, nei periodi di siccità, mette a rischio kmq di zone coltivate: risaie, frutteti e ortaggi. L'altalenarsi di fenomeni ambientali estremi e le modifiche ittiche subite dal grande fiume per la diffusione di nuove specie, fanno del Polesine ancora una terra di frontiera. Lo è stata anche la storia politica e sociale di questa parte d'Italia. Anticamente qui giungevano i confini della Repubblica di Venezia che per alcuni secoli, oltre il Po, si confrontò prima con gli Estensi poi con lo Stato della Chiesa. Ma nella storia politica del Novecento, nel Polesine, come nel vicino Ferrarese, ebbe forza il pensiero socialista.  Giacomo Matteotti, che il 10 Giugno 1924, a  trentanove anni di età, venne rapito a Roma ed ucciso da un manipolo di sicari fascisti, segnò la svolta d'Italia per oltre vent'anni. 
Domenica del Corriere 
Matteotti restò vivo nella storia di quegli anni tormentati e la sua figura risorse nel dopoguerra. Egli conosceva la sua terra e le sue genti,   quando si ammalavano o morivano per la "pellagra", per la tubercolosi, per la povertà e per lo sfruttamento dei contadini. 
Campi di lavanda in Polesine
La  famiglia di Matteotti fu segnata da lutti: la morte del padre morto nel 1902 e di due suoi fratelli, per tisi, tra il 1909 e il 1910.
Fratta Polesine
Intransigente neutralista, si oppose all'intervento in guerra, sia in Libia  e poi nel conflitto del 1914, al punto da attirarsi accuse di simpatie per l'Austria. Si staccarono le sue posizioni da quelle del socialista Benito Mussolini, interventista. In seguito divenuto parlamentare Matteotti, che fu un ottimo oratore,
scelse la via del coraggio, consapevole dei rischi, denunciando le violenze, i soprusi,  i pericoli per la democrazia. Per questo lo ricordiamo insieme alla sua terra richiamata nella mia famiglia dalla vita di mio nonno Rodolfo che ben la conosceva. Simili paesaggi hanno ispirato il parmense Giovannino Guareschi e le storie di "Mondo Piccolo" : "Sull'argine l'erba è alta e piena di fiori rossi, gialli, bianchi, rosa, i fiori dei libri della mia fanciullezza...". Case, luoghi, tempi e persone, serrati nell'impasto che spesso modella la storia degli uomini e dei popoli. 

giovedì 21 marzo 2024

MENTE E IGNOTO

MENTE E IGNOTO    di  Gianfranco Vecchiato


"La Mente ama l'Ignoto". Spiegava così i suoi soggetti artistici il pittore surrealista belga Renè Magritte (1898/1967) che aveva voluto percorrere le strade della metafisica  viaggiando in un  universo parallelo, enigmatico,  dove le variabili sono protagoniste inconsapevoli della storia quotidiana. Ciò che vediamo non è sempre interpretabile nello stesso modo. L'Ignoto è  il protagonista, fin dall'inizio della storia umana, delle nostre ricerche interiori ma influisce anche sulle  opere costruite, attraverso forme, contenuti, messaggi espressivi che divengono reali trasmigrando dalla nostra mente alla materia.   In questo contesto si colloca l 'Architettura che si avvale anche della quarta dimensione,  sostenuta ed analizzata da storici, quali Sigfrid Giedion e Bruno Zevi, che ne diedero diverse spiegazioni. Ai caratteri vitruviani della Firmitas, Utilitas e Venustas, la quarta dimensione dello Spazio-Tempo,  si sviluppa attingendo da un fattore creativo essenziale: la Memoria. Le architetture seminano ricordi, richiamano valori, aprono a dimensioni nuove, e con i nuovi materiali i rapporti tra pieni e vuoti definiscono gli spazi in cui muoversi.   Nell'opera "l'Impero delle Luci", Magritte dipinge, sotto un cielo luminoso e diurno, una casa con le luci accese, circondata dal buio di una incombente foresta. Il contrasto tra la luce e l'oscurità, cerca punti di equilibrio. Nelle città contemporanee, il buio penetra in periferie attraversate dal disagio sociale, da criminalità diffusa, da assenza di valori,  da interessi divisivi, da linguaggi aspri e da azioni violente. Le luci si accendono invece con la solidarietà, con le amicizie, con un decoro non apparente ma diffuso, con il senso civico, con lo spirito critico propositivo. ed il ruolo centrale dell'individuo.
Mestre: Progetto del Borgo del Castelvecchio
  Se si accendono le luci della Memoria e delle Emozioni, si riesce a leggere qualcosa del mistero che sta attorno a noi.  La sociologia e la psicanalisi hanno fatto  conoscere mondi che ci erano ignoti. L'ignoranza alimentava un tempo i roghi di superstizioni, chiudeva i problemi delle persone in recinti separati, temendo che le foreste buie delle loro fragilità, finissero per contaminare e travolgere l'ordine sociale.  Per altre tragedie collettive si è data la colpa al demone della Guerra, il Polemos della mitologi greca, che rompendo ad ogni generazione nuova le catene della violenza,  semina lutti e rovine. Per entrare nell'ignoto occorre comprendere se e quanto esso sia il risultato dell'assenza di processi ed azioni, che impediscono le emozioni, aumentano i conflitti e comportano drammi sia naturali che spirituali. Le leggi, i sistemi di governo, le espressioni politiche, la natura degli investimenti, le forme delle nostre case e delle nostre città, sono punti di un racconto. Nei centri storici in genere si sommano le memorie e le identità delle comunità ed è per questo che vanno protette, studiate, recuperate. Nell'ignoto si entra portando insieme il passato e il presente.  Le Arti
Memoria: Torre Medioevale
possono svolgere questo compito e l'architettura che usa le immagini ma anche le percezioni dello spazio-tempo, raccoglie sia gli interessi collettivi  che le individualità. Non è questa una prerogativa di una sola professione quanto la sintesi collettiva  di processi storici in continua evoluzione. Mentre la forza di una buona architettura, la sua luce,  sta  nel cimentarsi con la mente e con l'ignoto, il buio dato da ogni distruzione  violenta compete sul piano dei valori negativi. Può trattarsi di fatti naturali estremi, come sono i terremoti o le alluvioni, o guerre tragiche come quelle in Ucraina ed in Medio Oriente, ma può più banalmente essere anche il risultato distruttivo dato da speculazioni per profitti personali. Quando  interveniamo su un territorio dovremmo quindi conoscere la storia che porta con sè, e dare a questo aspetto un giudizio di valore non necessariamente economico.  L'architettura può essere grande anche quando è il prodotto di  espressioni semplici e popolari e non solo quand'è aulica e complessa. Alla radice c'è sempre nel profondo,  la sfida di dare luce a quella foresta che incombe attorno, e dentro di noi,   fin dagli inizi della storia umana.