mercoledì 4 settembre 2024

VENEZIA 1951/2024

VENEZIA 1951/2024     di Gianfranco Vecchiato

Joseph Heintz : Venezia 1673 Il Ponte dei Pugni
I 175mila residenti a Venezia nel censimento del 1951, erano il 20% in più degli abitanti di sei generazioni prima quando, nel 1797 il millenario "Stato da Mar", venne abbattuto senza grande resistenza, dalle truppe napoleoniche. La Città-Stato subì allora un fortissimo contraccolpo economico e sociale, essendo stata depredata e privata dei suoi territori e  di indipendenza. Ad Andrea da Mosto, che fu direttore dell'Archivio di Stato di Venezia,  si deve la pubblicazione del libro "I Dogi di Venezia",pubblicato nel 1960,  che raccoglie episodi e storie  sui 120 Dogi che si succedettero in mille anni di repubblica. Nel libro rientrano anche le vicende dell'aristocrazia veneziana, potente e florida, che impresse vivacità e diede allo Stato forza diplomatica e commerciale favorendo la diffusione artistica e lasciando, specie nei 4 secoli di maggiore splendore, testimonianze di rara bellezza. Molte di quelle opere che sono giunte  a noi, si trovano ora in contesti modificati dal tempo e perlopiù  stravolte da contesti in cui è venuto meno un equilibrio civico e sociale. Quel passato in cui molti vivevano in città in condizioni per noi contemporanei, deplorevoli e igienicamente insostenibili, va inserito in una idea diversa dei rapporti umani che era radicata tra classi sociali, che a Venezia abitavano in stretto contatto fra loro.  Uno degli ultimi dogi, Marco Foscarini vedendo l'avvicinarsi di grandi cambiamenti predisse:" Questo secolo dovrà essere terribile ai nostri figli e nipoti". Toccò all'ultimo Doge di Venezia, Lodovico Manin, la sorte più dura. Eletto in un periodo declinante di traumatica crisi finanziaria e politica dello Stato, comprese che le idee rivoluzionarie che dalla Francia si espandevano in Europa, sarebbero arrivate come una valanga a travolgere la aristocrazia veneta. il 12 maggio 1797 senza combattere, dopo un progressivo sfinimento, Venezia si arrese agli ultimatum. Quando il Doge e le Signorie, si presentarono dinanzi al generale Junot per consegnargli la città, questi non potè trattenere il sorriso vedendoli comparire vestiti con costumi d'altri tempi. Lodovico Manin ebbe tuttavia la dignità di non collaborare con l'occupante. Un altro Manin, Daniele, fu poi artefice del riscatto morale di Venezia cinquant'anni dopo quando nel 1848/49 si sollevò dalla occupazione austriaca per reclamare la sua libertà. Oggi la città è Patrimonio Unesco ma nel Novecento diversi bombardamenti la colpirono sia nella prima e in misura ridotta nella seconda guerra mondiale. Tra settembre 1943 e aprile 1945, Venezia occupata da tedeschi e repubblichini, conobbe il martirio di deportazioni, fucilazioni, torture. Tuttavia finita la guerra, all'inizio degli anni '50, la città appariva animata e vivace, strutturata attorno ai suoi campielli e sestieri, visitata "timidamente" da 1milione e duecentomila turisti in quell'anno, forte nelle sue tradizioni. Luogo culturale internazionale, attiva con le Biennali d'Arte e di Architettura, con la Mostra del Cinema, con le due prestigiose università di Cà Foscari e dell'Istituto di Architettura guidato da Giuseppe Samonà, con fondazioni come la Giorgio Cini inaugurata nel 1951 nell'Isola di S.Giorgio Maggiore, vocata al recupero ed al restauro. L'economia turistica contava ma era una parte della economia diffusa tra attività artigiane che coinvolgevano le isole lagunari, dal vetro ai merletti, dalla pesca, alla cantieristica. Porto Marghera si stagliava con le sue fabbriche sul vicino orizzonte senza che vi fosse in quel 1951 una diffusa consapevolezza dei rischi gravi portati dalle industrie inquinanti alla laguna ed alle pietre della città storica. Un cortometraggio in bianco e nero del 1950, di Enzo Luparelli con la dizione dell'attore Cesco Baseggio, dal titolo "I Nua" (Nuotano), mostra gruppi di ragazzi che si tuffano nei canali veneziani sotto la calura estiva fino all'imbrunire quando le voci delle madri li richiamano in casa. Il Comune si era allargato oltre le acque, coinvolgendo Mestre e gli ex Comuni di cintura e divenne questo il primo approdo di esodi demografici costanti. I progetti amministrativi sul futuro della città, proseguendo ciò che era avvenuto negli anni '20 e '30, con il profondo riassetto urbanistico di tutto il lato sud-ovest, dalla Stazione a piazzale Roma al Porto a S.Marta,  inserirono proposte di progressiva omologazione  che contrastavano con la storia e con l'ambiente. Alla Zona Industriale si portarono navi sempre più grandi scavando un "Canale dei Petroli" che contribuì a sconvolgere gran parte della laguna sud; l'assenza di controlli sugli sversamenti inquinanti in laguna, produsse gravi squilibri e danni alla salute per migliaia di persone. L'Ente Zona Industriale di Marghera era allora governato in autonomia senza che l'Amministrazione comunale di Venezia potesse incidere sulle scelte. Dagli anni '60 l'esodo dei veneziani divenne crescente, impetuoso, sostituendo vaste zone residenziali con esclusive attività ricettive. I cambi di destinazione d'uso, non impediti e controllati, l'assenza di normative specifiche, il sovrapporsi di competenze, ha cambiato in qualche decennio l'anima della città antica. E così settant'anni dopo, nel 2024 constatiamo che: i residenti che vivono stabilmente sono scesi a 49mila e ancora scendono. Sono saliti a tredici milioni e 500mila i pernottamenti nel 2023, e sono decine di milioni i turisti che impediscono relazioni normali in città. La creano nei trasporti, nei costi di manutenzione, nei rapporti sociali. Il turismo movimenta un forte indotto economico che però induce alla conversione di migliaia di alloggi in B&B, in affittacamere, in alberghi, in residence, alimentando speculazioni immobiliari, anche estere e abbassando la qualità della vita quotidiana nel tessuto storico. Un mondo precedente si è dissolto insieme al tessuto connettivo che lo animava.  L'arcipelago lagunare ed il suo modello sociale resta fatto da impasti diversi: demografici, culturali, economici, religiosi, ambientali, sociali, urbanistici. Tutto questo crea un equilibrio che ostacolerebbe diversi disegni di "rapina" ed è per questo che è stato più o meno consapevolmente indotto a sparire. Insieme agli abitanti si è assistito ad una costante dismissione anche di luoghi religiosi, a conventi chiusi trasformati per mancanza di ricambi e vocazioni. Tra debolezze amministrative e divisioni politiche Venezia raccoglie la sua storia dove sono transitate in poco più di una cinquantina di generazioni, circa 4 milioni di veneziani. 
Andrea da Mosto (1868/1960) Copertina del libro:
I Dogi di Venezia nella vita
pubblica e privata.
Loro hanno impresso per stratificazioni successive, i segni straordinari del loro passaggio e  
forme di civiltà  costituite, sorrette, vivificate, consolidate sorrette da tre elementi: rispetto e difesa  della laguna e delle altre acque,  domate in lotte continue, deviando i corsi dei fiumi, controllando e sperimentando le maree, assumendo vaste conoscenze anche empiriche nel campo idraulico.  La economia ed i  commerci,  attraverso navi che solcavano l'Adriatico ed il mediterraneo e univano culture diverse; poi attività agricole e terriere accompagnate dalla cura per l'architettura, l'arte e l'ambiente. Le grandi navi odierne sono incompatibili con il primo assunto e devono e possono trovare soluzioni in prevalenza fuori dalla laguna in modo da non comprometterne i caratteri. Il terzo fattore fu la struttura politica e sociale dello Stato. A Venezia l'aristocrazia regolava le sue funzioni e sottoposta al controllo da istituzioni che ne bilanciavano il potere. In quella società veneziana lontana e a noi quasi sconosciuta, c'era un Popolo che era la forza dello Stato e ne misurava la sua grandezza e permanenza. Da questo ne trassero giovamento i rapporti sociali, le tradizioni di fede e di lingua, le espressioni e la filosofia del pensiero, l'indole della sua gente.  Oggi la divisione e lo scarso coordinamento tra competenze di Enti autonomi crea distorsioni alla vita della città frenandone una armonica ed efficace evoluzione. Il Porto, l'Aeroporto, le Ferrovie, le Autostrade, le Aziende di trasporto, per lunghi anni l'Ente Zona Industriale di Marghera, le Sovrintendenze, la Regione, la Provincia, il Magistrato alle Acque, le Università, più di recente l'Ente Città Metropolitana, etc. sono parte delle complessità  di questo territorio. Se gli antichi pensavano al futuro i contemporanei lo temono. La "Regina dell'Adriatico" a metà del 1400, nella sua maggiore espansione commerciale e politica superò  i 200mila abitanti. Visitando le sale del Palazzo Ducale o dei Musei di Venezia si allineano i volti severi e dignitosi dei Procuratori, dei Savi, dei Magistrati, dei Dogi, dei Patriarchi. Nondimeno essi prendono vigore insieme a quelli dei marinai, dei condottieri, dei pescatori, dei letterati, degli artisti, del popolo.  Questa città anfibia, ben consapevole e fiera della sua originalità, nella "Festa della Sensa",   celebrava ogni anno lo "sposalizio" con il suo Mare. Una folta schiera di volti muti è presente tra le pietre antiche della laguna e giudica i contemporanei.  La grande industria turistica porta la città a galleggiare su un mare di soldi. Con diversi effetti:  drogano artificialmente e sostengono una scenografia di distorti fotogrammi tra gli scatti ed i selfie di luoghi che per molti non hanno alcun significato. 
Film Tempo d'Estate (1955)
Mi viene alla mente che nel 1955 un film di genere sentimentale, ambientato a Venezia e diretto da David Lean, dal titolo "Tempo d'estate" vedeva una scena in cui i due protagonisti, Rossano Brazzi e Katharine Hepburn, si trovano in campo San Barnaba dove si affaccia un canale  con barche che vendono  pesce e ortaggi ai residenti. Lei cade in acqua vicino al ponte "dei pugni" dove per tradizione si svolse per secoli lo scontro  tra due fazioni rivali i Castellani e i Nicolotti. Un quadro di Joseph Heintz il Giovane raffigura nel 1673 una scena dell'avvenimento. Il confronto spesso terminava con morti e feriti. Lo si fece cessare agli inizi del 1800, modificando caratteri e finalità. La complessità della società veneziana tra diverse identità, affacciate a decine di campielli, di corti, di Chiese e Parrocchie, di Santi, di mestieri, fra classi diverse, fra case diverse, fra provenienze diverse. Fondaci per i Tedeschi, per i Greci, per i Turchi, in un microcosmo fragile unito dalla lingua, dal cibo, dalle tradizioni, dalla fede. Pur se si è sostenuto che sia la più moderna città per il futuro, la sua urbanità a misura d'uomo, la possibile residenza di migliaia di giovani studenti, di grandi e piccole realtà economiche, Venezia potrà dirsi città solo se ritorneranno a viverla nuove famiglie, generazioni che crescono, che si evolvono, che mantengono vivo il linguaggio, le memorie, i bisogni, le tradizioni. Lo osservava qualche anno fa Salvatore Settis sul suo libro "Se Venezia Muore". Non può essere città una somma di cartoline, di fugaci presenze, di appartamenti di transito. Bisogna ricreare veneziani che non vendano l'anima al profitto,  rifacendo norme adeguate che ridiano un volto alla città senza ridurla a vetrina.  Entrando nella Basilica di San Giovanni e Paolo, il Pantheon veneziano, si può cogliere il senso  di un tempo remoto. Venezia non fu solo quella delle commedie goldoniane, o quella degli intrighi di Casanova e nemmeno quella di una città in perenne festa di carnevale. Fu uno "Stato da Mar", per mille anni indipendente, una grande potenza marittima e commerciale. In una parete della basilica si staglia una urna di pietra che raccoglie le spoglie e la pelle di Marcantonio Bragadin, Ammiraglio veneziano e Governatore di Cipro, scuoiato vivo dai turchi dopo l'assedio di Famagosta nel 1571. Reliquia laica di una antica Patria ora perduta. Ma che può sempre essere ritrovata.

martedì 7 maggio 2024

GIACOMO MATTEOTTI E IL POLESINE

 GIACOMO MATTEOTTI E IL POLESINE di Gianfranco Vecchiato

Giacomo Matteotti
A Fratta Polesine, l'architetto Andrea Palladio realizzò attorno al 1563 la celebre Villa Badoer, primo edificio palladiano in cui l'Autore inserì un pronao a colonne con un frontone in facciata. Le forme classiche testimoni di vaste proprietà terriere all'epoca della "Serenissima", sono a Fratta, raccontate da ben 15 diverse Ville, che segnano altrettanti fotogrammi  di un tempo remoto.  Se dal 2009 una barchessa laterale a villa Badoer ospita un museo archeologico nazionale, poco distante un'altra casa raccoglie un Museo etnografico della civiltà e del lavoro e gli strumenti di vita contadina. Qui una meridiana ammonisce: "Transit umbra sed Lux permanet". Ed è la permanenza,  il fattore che è richiamato anche da monumenti e lapidi, a indicare che questo luogo ha un posto di rilievo nella storia del Risorgimento italiano, perchè Fratta fu sede di numerosi "carbonari", tra cui  Antonio Fortunato Oroboni e Giovanni Monti,   arrestati nel novembre 1818 e condannati  poi al carcere. Alcuni nel castello di Lubiana e altri nella fortezza dello Spielberg in Boemia, la stessa in cui fu rinchiuso  Silvio Pellico, l'autore de "Le mie prigioni". Un libro che secondo il cancelliere von Metternich, costò all'Austria più di
Fratta Polesine: Villa Molin o della Carboneria
una battaglia perduta. Il piccolo monumento ai Martiri Carbonari, innalzato nel 1867, l'anno successivo alla annessione del Veneto al regno d'Italia, accoglie i visitatori nel centro di Fratta, testimoniando il sacrificio ideale di tanti giovani patrioti. Furono valori morali e civici a formare anche il giovane Giacomo Matteotti, che qui risiedeva.  Sullo sfondo di un viale alberato sorge la Casa che fu della sua famiglia, oggi Museo. Un miscuglio di sensazioni è quello che prende corpo camminando per le strade pavimentate in porfido e sassi. Da una parte ci sono le testimonianze della vita agra dei contadini e accanto quella dei signori che spesso li sfruttavano. Opere d'Arte e lotte politiche e sociali. E' il paesaggio che domina nel Polesine, con le distese orizzontali di pianura e l'intreccio d'acque, tra canali e fiumi. Qui accanto passa il Po che giunge al suo  delta, attraversando campi coltivati, unendo l'acqua, il cielo e la terra. E' un mondo diverso dall'altro Veneto, denso di strade, di case e di capannoni. Qualche diroccata casa colonica, testimone di un patriarcato familiare oggi scomparso, ricorda l'intensità delle migrazioni e degli abbandoni vissuti da queste terre. 
Villa Badoer 1563
Lo scrittore Nino Savarese (1882/1945) annotò negli anni'30 in  "Cose d'Italia": "... Un vago presentimento del mare è diffuso su tutta la pianura e si palesa sulla traccia di numerosi canali, di numerose paludi, che come aperture di luce marina solcano i campi...". 
Una vista del fiume Po
L'acqua è ancora una protagonista. Due alluvioni sono ricordate, quella più tragica del 1951 e quella disastrosa del 1966. Il 14 novembre 1951 il fiume Po  esondò e sommerse con 8 miliardi di mc d'acqua  metà provincia di Rovigo. Al bilancio di 100 vittime e di 180mila senzatetto si aggiunsero enormi danni alle attività agricole.  Se ne andarono oltre 80mila abitanti, circa il 25% della allora popolazione provinciale. Le cronache del tempo raccontano di scontri politici ed errori tecnici, di inadeguatezza nei soccorsi, di desolazioni intrise di coraggio, di pietà e di solitudini.  
Fratta: Museo vita contadina
Solo dopo cinquant'anni in provincia si ebbe una prima inversione demografica. La meccanizzazione dell'agricoltura, i lavori imponenti di assetto idraulico, lo spirito imprenditoriale, hanno in parte cambiato il vecchio Polesine depresso ed abbandonato, facendone per fertilità il granaio della regione. I problemi sono ancora molti.  E tra questi la risalita del "cuneo salino" dal mare Adriatico lungo il Po, nei periodi di siccità, mette a rischio kmq di zone coltivate: risaie, frutteti e ortaggi. L'altalenarsi di fenomeni ambientali estremi e le modifiche ittiche subite dal grande fiume per la diffusione di nuove specie, fanno del Polesine ancora una terra di frontiera. Lo è stata anche la storia politica e sociale di questa parte d'Italia. Anticamente qui giungevano i confini della Repubblica di Venezia che per alcuni secoli, oltre il Po, si confrontò prima con gli Estensi poi con lo Stato della Chiesa. Ma nella storia politica del Novecento, nel Polesine, come nel vicino Ferrarese, ebbe forza il pensiero socialista.  Giacomo Matteotti, che il 10 Giugno 1924, a  trentanove anni di età, venne rapito a Roma ed ucciso da un manipolo di sicari fascisti, segnò la svolta d'Italia per oltre vent'anni. 
Domenica del Corriere 
Matteotti restò vivo nella storia di quegli anni tormentati e la sua figura risorse nel dopoguerra. Egli conosceva la sua terra e le sue genti,   quando si ammalavano o morivano per la "pellagra", per la tubercolosi, per la povertà e per lo sfruttamento dei contadini. 
Campi di lavanda in Polesine
La  famiglia di Matteotti fu segnata da lutti: la morte del padre morto nel 1902 e di due suoi fratelli, per tisi, tra il 1909 e il 1910.
Fratta Polesine
Intransigente neutralista, si oppose all'intervento in guerra, sia in Libia  e poi nel conflitto del 1914, al punto da attirarsi accuse di simpatie per l'Austria. Si staccarono le sue posizioni da quelle del socialista Benito Mussolini, interventista. In seguito divenuto parlamentare Matteotti, che fu un ottimo oratore,
scelse la via del coraggio, consapevole dei rischi, denunciando le violenze, i soprusi,  i pericoli per la democrazia. Per questo lo ricordiamo insieme alla sua terra richiamata nella mia famiglia dalla vita di mio nonno Rodolfo che ben la conosceva. Simili paesaggi hanno ispirato il parmense Giovannino Guareschi e le storie di "Mondo Piccolo" : "Sull'argine l'erba è alta e piena di fiori rossi, gialli, bianchi, rosa, i fiori dei libri della mia fanciullezza...". Case, luoghi, tempi e persone, serrati nell'impasto che spesso modella la storia degli uomini e dei popoli. 

giovedì 21 marzo 2024

MENTE E IGNOTO

MENTE E IGNOTO    di  Gianfranco Vecchiato


"La Mente ama l'Ignoto". Spiegava così i suoi soggetti artistici il pittore surrealista belga Renè Magritte (1898/1967) che aveva voluto percorrere le strade della metafisica  viaggiando in un  universo parallelo, enigmatico,  dove le variabili sono protagoniste inconsapevoli della storia quotidiana. Ciò che vediamo non è sempre interpretabile nello stesso modo. L'Ignoto è  il protagonista, fin dall'inizio della storia umana, delle nostre ricerche interiori ma influisce anche sulle  opere costruite, attraverso forme, contenuti, messaggi espressivi che divengono reali trasmigrando dalla nostra mente alla materia.   In questo contesto si colloca l 'Architettura che si avvale anche della quarta dimensione,  sostenuta ed analizzata da storici, quali Sigfrid Giedion e Bruno Zevi, che ne diedero diverse spiegazioni. Ai caratteri vitruviani della Firmitas, Utilitas e Venustas, la quarta dimensione dello Spazio-Tempo,  si sviluppa attingendo da un fattore creativo essenziale: la Memoria. Le architetture seminano ricordi, richiamano valori, aprono a dimensioni nuove, e con i nuovi materiali i rapporti tra pieni e vuoti definiscono gli spazi in cui muoversi.   Nell'opera "l'Impero delle Luci", Magritte dipinge, sotto un cielo luminoso e diurno, una casa con le luci accese, circondata dal buio di una incombente foresta. Il contrasto tra la luce e l'oscurità, cerca punti di equilibrio. Nelle città contemporanee, il buio penetra in periferie attraversate dal disagio sociale, da criminalità diffusa, da assenza di valori,  da interessi divisivi, da linguaggi aspri e da azioni violente. Le luci si accendono invece con la solidarietà, con le amicizie, con un decoro non apparente ma diffuso, con il senso civico, con lo spirito critico propositivo. ed il ruolo centrale dell'individuo.
Mestre: Progetto del Borgo del Castelvecchio
  Se si accendono le luci della Memoria e delle Emozioni, si riesce a leggere qualcosa del mistero che sta attorno a noi.  La sociologia e la psicanalisi hanno fatto  conoscere mondi che ci erano ignoti. L'ignoranza alimentava un tempo i roghi di superstizioni, chiudeva i problemi delle persone in recinti separati, temendo che le foreste buie delle loro fragilità, finissero per contaminare e travolgere l'ordine sociale.  Per altre tragedie collettive si è data la colpa al demone della Guerra, il Polemos della mitologi greca, che rompendo ad ogni generazione nuova le catene della violenza,  semina lutti e rovine. Per entrare nell'ignoto occorre comprendere se e quanto esso sia il risultato dell'assenza di processi ed azioni, che impediscono le emozioni, aumentano i conflitti e comportano drammi sia naturali che spirituali. Le leggi, i sistemi di governo, le espressioni politiche, la natura degli investimenti, le forme delle nostre case e delle nostre città, sono punti di un racconto. Nei centri storici in genere si sommano le memorie e le identità delle comunità ed è per questo che vanno protette, studiate, recuperate. Nell'ignoto si entra portando insieme il passato e il presente.  Le Arti
Memoria: Torre Medioevale
possono svolgere questo compito e l'architettura che usa le immagini ma anche le percezioni dello spazio-tempo, raccoglie sia gli interessi collettivi  che le individualità. Non è questa una prerogativa di una sola professione quanto la sintesi collettiva  di processi storici in continua evoluzione. Mentre la forza di una buona architettura, la sua luce,  sta  nel cimentarsi con la mente e con l'ignoto, il buio dato da ogni distruzione  violenta compete sul piano dei valori negativi. Può trattarsi di fatti naturali estremi, come sono i terremoti o le alluvioni, o guerre tragiche come quelle in Ucraina ed in Medio Oriente, ma può più banalmente essere anche il risultato distruttivo dato da speculazioni per profitti personali. Quando  interveniamo su un territorio dovremmo quindi conoscere la storia che porta con sè, e dare a questo aspetto un giudizio di valore non necessariamente economico.  L'architettura può essere grande anche quando è il prodotto di  espressioni semplici e popolari e non solo quand'è aulica e complessa. Alla radice c'è sempre nel profondo,  la sfida di dare luce a quella foresta che incombe attorno, e dentro di noi,   fin dagli inizi della storia umana.

martedì 29 agosto 2023

IL BORGO

 IL BORGO  di Gianfranco Vecchiato

Può accadere di sentirsi sollecitati dalle discussioni e dai problemi urbanistici e sociali che riguardano un territorio, specialmente se quei luoghi fanno parte della tua città. Nel caso in questione un'area ex ospedaliera a ridosso del centro storico di Mestre è da 18 anni in attesa di una riconversione dopo che l'ospedale cittadino è stato spostato altrove. Non è un'area qualsiasi sia per dimensione, circa 5 ha, sia per posizione e sia per storia. In quello spazio, ora in stato di abbandono, alla caduta dell'Impero romano, nel formarsi di nuovi equilibri economici, sociali e politici, i territori che stavano attorno alla laguna veneta e ancor più le isole che ne costellavano la morfologia, si trovarono ad ospitare un crescente numero di persone in fuga dai barbari. Seguendo il letto dei fiumi che sfociavano irrequieti nell'Adriatico, giunsero nelle isole persone in provenienza dai Colli Euganei, dalla vicina città di Altino,  punto di transito importante nel nord est dell'Italia e dall'hinterland.

Fu una rivoluzione drammatica per quelle lontane generazioni che si trovarono nel mezzo di una tempesta: finiva un antico mondo e occorreva formarne uno nuovo. Si sarebbero avvicendati secoli bui prima di veder nascere una struttura statale in grado di difendersi e di prosperare. Le popolazioni lagunari scelsero di allearsi ai bizantini a ciò che restava dell'Impero romano d'Oriente e difesi da acque e barene fermarono i Franchi e i Longobardi. Lentamente Venezia acquistò forza economica e militare e prosperò volgendosi prima oltre Adriatico e nell'Egeo e solo dopo secoli verso la terraferma. Mestre che era un piccolo ma importante borgo fortificato dai trevigiani, pur confinando con le isole e la laguna
divenne veneziana solo nel 1338 quando per rompere le Signorie dei diversi Comuni che ne ostacolavano commerci e strategie, la Serenissima decise che era tempo di assoggettarli nel proprio "Stato da Mar". La Marca trevigiana aveva un suo confine proprio a Mestre dove era stato edificato un piccolo castello posto su un terreno protetto dalla biforcazione di un fiume. Attorno all'anno mille quel luogo era divenuto insicuro e a qualche centinaio di metri fu quindi realizzato un nuovo castello. Il primo prese il nome di Castelvecchio e il secondo di Castelnuovo. Per alcuni secoli i due castelli funzionarono insieme ma l'incuria per il primo, un incendio che poi ne devastò i resti, posero fine al vecchio castello e di esso si persero per secoli le traccia. Quell'area fu utilizzata dai Canonici di S.Salvatore che qui eressero un convento rimasto attivo fino all'epoca napoleonica quando molti ordini religiosi vennero soppressi. In quel terreno, adiacente alla piazza Maggiore di Mestre, si coltivavano prodotti agricoli. E quell'area rimase una campagna fino a quando agli inizi del XX° secolo i maggiorenti del Comune di Mestre trovarono i fondi per iniziare a costruire un primo padiglione ospedaliero. Dal 1905 in poi l'area ospedaliera si ampliò, in maniera disordinata e senza criterio seguendo la crescita della popolazione.
Tuttavia attorno al 1970 si cominciò a ragionare sulla urgenza dello spostamento del complesso ospedaliero in altra sede e questa ipotesi si concretizzò agli inizi del nuovo secolo quando trovati i fondi, si edificò un nuovo grande e moderno ospedale  a circa 2 chilometri da quel luogo. A quel punto si fecero proposte per la trasformazione dell'area ex ospedaliera come punto urbanistico ed ambientale di eccellenza. Ma quel percorso si fermò. Dopo che nel 2006 si trovò l'accordo urbanistico con l'ASL proprietaria del complesso, si fece l'errore di indicare i 195mila mc dei vecchi padiglioni accumulatisi in circa 90 anni, come il dato edificatorio equivalente. Il Concorso di idee che ne seguì condusse tutti i progettisti a proporre soluzioni in verticale, non consoni con i contesti.
Il prof. Giorgio Lombardi morì fra l'altro lo stesso giorno in cui il suo progetto venne proclamato vincitore e le sue tre torri alte più di 100 metri si arenarono. L'Impresa che aveva acquistato l'intera area pagò circa 51 milioni di  € all'ASL e fu poi sommersa dalla crisi del 2008, fino a fallire. Il progetto rimasto sulla carta trovò anni dopo un nuovo acquirente che la acquistò a metà di quello pagato in precedenza. La proprietaria è una famiglia di Padova, nota in regione per una catena di supermercati. Dal 2019 si attende quindi un progetto che prima la pandemia e poi l'aumento dei costi dei materiali hanno condotto più volte ad essere rivisto. E se attende il privato, attende la città con i tre vecchi storici padiglioni rimasti in convenzione che stanno cadendo a pezzi. E' stato presentato a fine 2020 un masterplan che prevederebbe un supermercato di 2500 mq, 5 edifici di altezze comprese  tra i 30 e i 50 metri posti in linea lungo il corso del fiume ed un edificio direzionale. I tre padiglioni dismessi  dovrebbero insieme al vecchio giardino ospedaliero, essere trasferiti al Comune per usi civici. Il richiamo alla storia del luogo, al suo Genius Loci, però non c'è od è assai flebile. 
Si tratterebbe di una occasione perduta. Avendo seguito tali vicende prima da assessore all'Urbanistica quando il progetto Lombardi si arenò e poi da cittadino leggendo le cronache quotidiane tra proteste di Comitati, esasperazione dei commercianti, imbarazzi degli amministratori comunali, ho voluto da architetto, cimentarmi con il tema capovolgendo i termini della questione. Se infatti il Castelvecchio anticamente non fosse scomparso la genesi dell'area sarebbe stata, come è avvenuto altrove, la sua trasformazione in un borgo. Un pezzo di centro storico che sarebbe stato affine a quello esistente attorno alla vicina ex piazza Maggiore. Perchè quindi non proporlo, non suggerirlo, non progettarlo?. Mi sono trovato a disegnare sul computer un insieme di schizzi. Le idee hanno preso forma  in poche settimane. Ora questo progetto generale chiamato il Borgo del Castelvecchio intendo presentarlo non per interferire con i progettisti ufficialmente incaricati ma come stimolo intellettuale dinanzi a proposte generiche e sterili. Tre elementi caratterizzano la proposta. Il primo è il perimetro  che racchiude il nuovo borgo e che fa perno su un edificio a Torre, simbolo di un castello che ha attorno alcune mura porticate ed usate per commercio.
Resti delle mura del Castelnuovo di Mestre
Esse  limitano il fronte e  richiamano una presenza antica. All'interno ci sono delle corti residenziali formate da edifici di varia dimensione e altezza, compatibili con le tipologie dei nostri centri storici. La loro posizione induce alla continua diversificazione dei prospetti, degli angoli, degli spazi privati e collettivi. Le auto stanno ai margini e sono ospitate parte in un autosilos meccanico, parte a raso e parte interrate. Il supermercato proposto ha la forma dei tipici magazzini in mattoni a falde ma è su due livelli, non appare invadente, è inglobato nel borgo, ha in copertura pannelli fotovoltaici tridimensionali che ne caratterizzano le forme. Anche tratti di mura o bastioni cittadini, con pareti in pietra, sono percorribili in sommità e all'interno delle corti alcune piazzette consentono di mantenere stretti rapporti  sociali.  
Dovunque il verde si insinua tra case e strade pedonali. Lungo il fiume un percorso verde si integra con quello che proviene da est e da ovest. I tre padiglioni sono recuperati ad usi pubblici e sono parte attiva della riqualificazione dell'area attraversata nuovamente dall'antica strada che dal castello la congiungeva con la piazza. Le tipologie, le altezze modeste, le aggregazioni, ridisegnano un luogo urbano nel quale residenti, studenti, professionisti, commercianti, artigiani, uffici pubblici, possono vivere  rilanciando l'intero centro urbano. L'unico edificio alto è la Torre, in parte ispirata dalla nota Velasca di Milano, realizzata  dallo studio BBPR nel 1957. E' un edificio dal carattere simbolico che insieme al nuovo borgo può dare identità cittadina in una fase in cui la città soffre emigrazione, abbandoni, disagio sociale. Questo è l'obiettivo dell'architettura ed a questo mi sono ispirato, condividendo quanto scritto a due mani qualche anno fa da un architetto, Mario Botta e da uno psichiatra, Paolo Crepet,  nel libro dal titolo "Dove abitano le emozioni". E' quindi anche un percorso sentimentale quello che conduce a camminare cercando risposte. 


sabato 27 maggio 2023

UOMINI E CAPORALI

UOMINI O CAPORALI   di Gianfranco Vecchiato
L'attore italiano Antonio De Curtis, in arte "Totò", ha fatto storia nel cinema italiano. I suoi personaggi mescolano la vita popolare e la commedia dell'arte, tra battute e messaggi più profondi.  Quando nel 1955 uscì il film "Siamo uomini o caporali"  erano acute in Italia le divisioni di casta, di censo, di potere, di cultura nella società e nelle istituzioni.  Il concetto  fu così riassunto dall'attore: "L'Umanità io l'ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali. Alla categoria degli
Don L.Milani a Barbiana
uomini appartengono tutti coloro che nella vita debbono lavorare senza la minima soddisfazione, all'ombra di una grigia esistenza, mentre ai caporali appartengono tutti coloro che comandano con prepotenza e imponendo ed umiliando l'uomo qualunque". Dunque secondo "Totò" caporali si nasce non si diventa. Ma a questi comportamenti ci si deve ribellare, facendo valere i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalle leggi, come sono il diritto alla salute, al giusto guadagno, alle libertà di espressione, al rispetto per la dignità delle persone ad un rapporto che consolidi i diritti e indichi quelli dei doveri. Ma l'aumento dei contrasti e il contatto tra diverse
culture avvenute in modo massiccio e veloce, sta  accentuando la divisione tra chi ha il potere e chi ne sta ai margini, accrescendo quelle malattie sociali che furono in quegli stessi anni cinquanta denunciate da altri, tra cui Don Lorenzo Milani, di cui  
in questi giorni si celebrano i 100 anni dalla nascita. Quel  "prete di Barbiana" confinato nel 1954 in quel paese piccolo e ignoto delle montagne toscane, dalle gerarchie ecclesiastiche perchè ritenuto un "ribelle" è ora mèta di pellegrinaggio dove lassù riposa.  Milani è stato riconosciuto come uno straordinario profeta e precursore di diritti e libertà di pensiero e di dottrina.  Per Lui attraverso la fatica si rafforzava la testimonianza coerente e scomoda, del diritto al libero pensiero e in alcuni casi a trasgredire all'obbedienza non sempre una virtù.
Nell'insegnamento diede forza alla parola cultura e tolleranza. Nel ricordarlo molti si sono confrontati con l'attualità riconoscendo che la partecipazione alle scelte è un problema del nostro tempo. Conoscere per decidere. In Romagna è accaduta una catastrofe ambientale che ha travolto migliaia di persone e decine di paesi. La solidarietà e la reazione straordinaria delle persone di quelle terre ha commosso l'Opinione Pubblica ma lascia aperte molte domande. Come è stato pianificato quel territorio? Chi sono stati in quei casi i caporali? 
Nella scelta degli investimenti si ripropone ogni volta questa domanda. Un esempio fra i tanti viene dal progetto di ampliamento dell'aeroporto di Tessera-Venezia.  E' stato elaborato dalla società Save che gestisce lo scalo un progetto di espansione con un masterplan che per legge deve essere illustrato e partecipato con associazioni e istituzioni. L'area circostante è a rischio idraulico e in contatto con la laguna e una importante area archeologica. Già l'adiacente progetto per un nuovo stadio ed altre attrezzature, con l'estensione di un bosco, voluto dal Comune sta attraversando diverse opposizioni, ed ora si inserisce questa proposta aeroportuale a cui fanno da indicatori i temi delle infrastrutture, strade e ferrovie.  Si sono evidenziate molte obiezioni e  possibili proposte alternative. Ma i ripensamenti sono difficili in chi propone investimenti accettando il contraddittorio per  una reale volontà di mediazione. Si confrontano interessi economici e visioni culturali divergenti.
Più in generale la espansione delle Multinazionali finanziarie con lo spostamento di grandi capitali tra continenti, sta accentuando le disparità e generando lacerazioni sul tessuto sociale ed economico. Quindi anche all'urbanistica, materia sensibile e non neutra nelle decisioni, la parola "democratica" andrebbe sempre aggiunta perchè non è affatto scontato che lo sia quando non si coinvolgono appieno i bisogni e gli interessi degli "ultimi".  
La crisi  di valori è molto più profonda di quanto non si immagini.  Se da una parte è il cambiamento climatico a ricordarcelo con vittime e rovine, dall'altra si capisce che è necessario aggiungere quell'"I care", io posso, caro a Don Milani,  per migliorare insieme la società dove si vive. Quei ragazzi che hanno spalato il fango dalle strade di Romagna, più di quelli che deturpano monumenti, aprono il cuore alla speranza. Sosteneva Don Milani:" Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Affrontarlo insieme è politica, affrontarlo da soli è avarizia". La responsabilità e la capacità di dirigere  società complesse, impone la cura dell'ambiente come traccia per la storia di ciascuno. Non Uomini o caporali, quindi, ma solo Uomini.  

martedì 4 aprile 2023

AGORA'

AGORA'             di  Gianfranco Vecchiato  

Progetto anni '80 di V.Gregotti per l'Arcella di Padova
Tra le maggiori conquiste della civiltà emerge dalla storia il ruolo che ebbe nella formazione della democrazia lo spazio urbano dell'Agorà. Un luogo nel quale convergevano il commercio delle merci e le discussioni popolari che portavano alle decisioni collettive. Questa commistione fra relazioni urbane e persone era un tassello essenziale della "polis", dalla quale derivarono filosofia, arti, cultura che seminarono nei secoli stagioni di pensiero.  Con il periodo illuminista si aprì nel XVIII° secolo il valore del pensiero individuale che Voltaire riassunse in questo modo: " Non sono d'accordo con quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo". Ascoltare per decidere è in democrazia una necessità da coltivare specialmente nelle attuali società complesse, spesso attraversate da bisogni diversi e da interessi divergenti. 
 Progetto a Celerina (CH) di M.Botta
Ascoltare gli "ultimi e i penultimi" dando loro voce non è meno importante del rispetto per l'uso  dei "beni comuni" sanciti da diverse Costituzioni tra le quali la nostra: il rispetto del Paesaggio, dell'ambiente, della cultura dei luoghi e del decoro così come la necessità di coltivare la bellezza, di  difendere l'uso di spazi comuni, di costruire una società con minori diseguaglianze. In questo l'urbanistica e l'architettura pur se  impegnate su fronti comuni, paiono a volte divergere nelle loro finalità. L'architettura in particolare viene usata per operazioni di marketing dove per  finalità commerciali si usa la moneta dell'estetica.  In anni recenti lo scarso ascolto tra interessi diversi ha prodotto un distacco tra Istituzioni e cittadini facendo crescere Associazioni, Comitati, Gruppi di proposta e di protesta impegnati a difendere alcuni diritti.  Diversi progetti edilizi hanno trovato opposizioni spesso trasversali, da coloro che non si sono sentiti tutelati o rappresentati nelle loro istanze, inascoltate o respinte dalla lettura tecnica di regolamenti o di cavilli giuridici delle amministrazioni pubbliche. 
Progetto di edificio di 9 piani a Cervinia 
E' ritornata l'idea dell'Agorà con l'esercizio della consultazione anche referendaria sulle opportunità o convenienze. Diversi casi hanno riguardato progetti edilizi contestati da cittadini. A Padova nel 2006 l'Amministrazione Comunale consultò gli abitanti del quartiere dell'Arcella su un progetto dell'architetto Vittorio Gregotti concepito negli anni '80 e in parte modificato. Si prevedevano quattro edifici a torre e spazi razionalisti che parevano ispirati ai quadri metafisici di De Chirico. Una fredda idea di città-macchina ed industriale, che risultava avulsa dalla comprensione della gente. Si recarono a votare il 25% delle 29.100 persone aventi diritto ma l'esito fu una solenne bocciatura che indusse l'Amministrazione ad archiviare il progetto. Quel voto è risultato saggio perchè negli anni sono mutate le idee urbane e anche sociali e pochi ne rimpiangono la bocciatura. 
1947/55Casa del sole  di Carlo Mollino Cervinia 
Anche a Mario Botta è accaduto nel 2008 nella sua Svizzera, che una consultazione popolare nel paese di Celerina, vicino a St Moritz, ha portato con 296 voti contro 88 al respingimento di un suo progetto che prevedeva quattro edifici a torre, il più alto di 77 metri. In quel caso la gente non voleva che questo intervento ne stravolgesse i caratteri tradizionali. Sta avvenendo in questi mesi un fatto analogo a Cervinia dove sono state raccolte oltre tremila firme di cittadini in subbuglio contro il progetto di  un edificio di nove piani che muterebbe il paesaggio del luogo. Alcuni lo hanno definito un obbrobrio e una vergogna. Le regole sarebbero però state rispettate e il premio di cubatura del 35% del Piano Casa avrebbe fatto il resto. Soprintendenza e Commissione edilizia si sono espressi positivamente. Lo studio di architetti "The Stone"  ha spiegato che l'edificio si ispira ai "megaliti" in Val d'Aosta e che è in regola con le normative, citando anche il progetto di 8 piani degli anni '50 fatto da Carlo Mollino a Cervinia noto nel mondo.  La questione resta accesa. A Mestre è contestato il progetto di una torre residenziale alta 60 metri con piastra commerciale, inserita in uno spazio fin qui verde, dentro ad un piano urbanistico organico concepito da valenti architetti come Giuseppe Samonà, Luigi Piccinato ed Egle Trincanato, nel 
periodo tra gli anni '50 e '60. Si tratta di un edificio che imita il "bosco verticale" progettato da Stefano Boeri a Milano, un esempio di prodotto che ha incontrato l'interesse del mercato immobiliare ma ne ha anche mercificato la tendenza. 
Torre verticale nel Villaggio S.Marco a Mestre 
Si tratta di una operazione urbanisticamente discutibile che è contestata da gran parte degli abitanti e che ha diverse fragilità culturali. Perchè non aprire anche in questo caso ad un referendum tra cittadini? Anche a New York fu coinvolta la popolazione nelle proposte del masterplan di Daniel Libeskind dopo la distruzione delle torri gemelle con l'attentato dell'11 settembre 2001, per la loro sostituzione con la torre Freedom Tower.  Si è diffusa una tendenza di International style nell'architettura che la rende prevalentemente indifferente ai luoghi, basata sulle referenze delle brochure delle agenzie di vendita. 
Piazza d'Italia De Chirico 1937
L'architetto Mario Cucinella al proposito ha affermato che "bisogna elaborare, metabolizzare e restituire la cultura dei paesi e intersecarla con le competenze... la differenza è sinonimo di ricchezza mentre la globalizzazione è una forma di impoverimento culturale". Incrociando aggiungerei l'urbanistica all'architettura e alla cultura locale. Non si può pensare di imporre un progetto non condiviso. Lo si può discutere, perfezionare, modificare o anche spostare in altro luogo. Si può quindi convenire con quanto affermava l'architetto Oscar Niemeyer:  "l'opera non è soltanto l'oggetto ma anche gli spazi vuoti e quello che lo circonda". E questo a  volte lo capiscono prima le persone semplici dei progettisti.






sabato 18 febbraio 2023

LA TUTELA

LA TUTELA                 di Gianfranco Vecchiato

Torre Velasca a Milano (1957)Studio BBPR
Il patrimonio culturale di ogni comunità è un fatto complesso ed è  costituito da cose materiali ed immateriali. Ne fanno parte musei, aree archeologiche, opere d'arte, chiese e monumenti, riserve e paesaggi naturali e migliaia di edifici storici censiti. Tutto questo inventario è in continuo divenire nel succedersi delle generazioni, delle leggi e della cultura dei tempi.  Il vincolo o tutela, secondo diversi gradi di protezione, serve ad evitare la perdita di un bene riconosciuto come simbolo di una epoca storica e di una comunità. La tutela può in diversi casi favorire la conservazione del bene con nuove destinazioni d'uso. In tal modo è avvenuto che vecchie filande, scuole o fabbriche siano divenute altro: sale da concerto,  spazi  di ritrovo culturale ed espositivo, musei. E' nota la imponente riconversione fatta nel tempo sui territori industriali dismessi del bacino della Rhur in Germania, così come la conservazione di edifici dall'alto valore simbolico. La tutela peraltro non è un fatto automatico ma avviene dopo un esame articolato che il Codice dei Beni Culturali, per quanto riguarda l'Italia, affida alle Soprintendenze  territoriali,   Non è un atto automatico e richiede attente verifiche.
Sez.edificio Popolare ad Altobello Mestre
Immagine del complesso popolare degradato
Nel Novecento sono andate perdute molte opere  per indifferenza, cause belliche, speculazioni e nella indifferenza generale. La sensibilità sociale è cresciuta e avverte la differenza tra edifici banali e di pregio.  Ci sono esempi eccellenti  entrati a far parte della storia dell'architettura moderna. Dalle case a Vienna di  A.Loos, all'Unitè d'Habitation a Marsiglia di Le Corbusier, dai palazzi di Gaudì a Barcellona, alla torre Velasca a Milano, etc..,  mentre altri edifici minori consentono nei centri urbani di fissare espressioni di talento di un'epoca e dei suoi autori.  
Unitè d'Habitation Marsiglia 
Le Corbusier (1947/52)
Le cose si complicano quando le opinioni sulla tutela di un immobile divergono nei giudizi. Una risposta si trova nel preambolo alle norme di deontologia degli architetti che richiama una direttiva della Comunità Europea del 2005 con queste parole: "... la creazione architettonica, la qualità delle costruzioni, il loro rispetto armonioso nell'ambiente circostante, il rispetto dei paesaggi naturali ed urbani e del patrimonio collettivo e privato sono di pubblico interesse. ... con la sua attività, il professionista nel comprendere e tradurre le esigenze degli individui, dei gruppi sociali e delle Autorità in materia di assetto dello spazio, concorre alla realizzazione e alla tutela dei valori e degli interessi generali... promuove la trasformazione ... garantendo la qualità della vita dell'utente finale".
scorcio sul lato ovest
Hanno titolo quindi ad esprimersi più protagonisti: i progettisti, i committenti, i fruitori dell'opera, i cittadini. Dinanzi a dinamiche urbane sempre più rilevanti, ad investimenti colossali  urbanistici ed edilizi, che puntano più che alla durata, alla utilità immediata, stanno modificando l'idea di città, dove si sviluppano i contatti sociali che si riflettono sul piano culturale. Il confronto su tali temi si è fatto serrato ed a volte anche ruvido e confuso. Ora accade che in un'area popolare della mia città fu realizzato a metà degli anni '80, quindi
Lato est del complesso
circa 40 anni fa, un importante progetto edilizio che voleva essere all'avanguardia nel lessico ornamentale e nell'uso degli spazi degli alloggi. Quell'edificio con decine di appartamenti,  terrazze e logge, studiato secondo particolari canoni compositivi, ottenne all'epoca riconoscimenti e premi e fu inserito in riviste di categoria. Ma i rapporti tra i progettisti, il Committente dell'opera, l'Istituto Autonomo Case Popolari e i fruitori degli alloggi iniziarono ben presto a deteriorarsi perchè quasi subito l'edificio manifestò, forse anche per le sue caratteristiche compositive, come il tetto piano, i corridoi interni, le logge e le terrazze,  diversi problemi per infiltrazioni d'acqua piovana, per difficoltà di gestione degli appartamenti, per contrasti tra inquilini, per alti costi di manutenzione. Molte di tali  carenze vennero denunciate ma non risolte, tra dispersioni termiche, ed un degrado sociale progressivo, divenendo un problema noto nel quartiere. Con il  tempo il giudizio sul fabbricato, soprannominato la "Nave" per la sua fragilità all'acqua, si consolidò in negativo finchè a difenderne la validità rimasero da una parte gli architetti, contrastati dagli inquilini e dallo stesso Ente che a suo tempo l'aveva commissionato. Si è aperto pubblicamente un confronto aspro e le posizioni paiono per ora inconciliabili. Da un lato molti architetti si sono appellati
Vista lati nord ed ovest
alla necessità di preservare quest'opera come esempio di architettura novecentesca, imputando i problemi a scarsa manutenzione, dall'altra il comitato  di cittadini e di inquilini appoggiando la proposta dell'Ente di demolirlo per sostituirlo con altro non meglio precisato intervento,  lamentano i vizi e denunciano le loro negative esperienze di vita. Essi hanno aperto sul tema della tutela una finestra che pur se non appassiona l'opinione pubblica ne rivela le fragilità di fondo. Le divisioni radicali hanno spinto da un lato ad una difesa in forme corporative e dall'altro a posizioni utilitaristiche: "... perchè gli architetti che difendono la tutela di questo edificio non vengono a vivere un mese qui dentro? Poi casomai parlino...".  Queste alcune risposte alla lettera che numerosi intellettuali e architetti  della locale università, avevano lanciato pubblicamente per la conservazione del fabbricato. Vano richiamare le esperienze di recupero di architetture del moderno della Agenzia o Associazione culturale DO.CO.MO.MO,international che dal 1995 è presente in Italia con sede a Roma e che si occupa della documentazione e conservazione dell’architettura moderna a livello nazionale e internazionale. E' questa una storia in cui forse alla fine  prevarrà l'obiettivo della sua demolizione  ma in ogni caso è una vicenda tormentata, comunque utile per interrogarci sui limiti e confini della tutela come strumento collettivo di una cultura condivisa.  

domenica 29 gennaio 2023

DOCUFILM

DOCUFILM   di Gianfranco Vecchiato

Immagine tratta dal film "Donne in Carnia" 
Anno 1959 Regista Axel Rupp
N
egli anni del Novecento quando la modernità non era ancora arrivata nei territori e in molti piccoli paesi della nostra Penisola, si sono documentate con gli strumenti della macchina da presa e fotografica, aspetti di un mondo ora del tutto scomparso. Quelle testimonianze sono divenute oggetto di indagini sociologiche, di analisi storiche e antropologiche e sono preziose per poter tramandare tradizioni e consuetudini che sono necessarie a comprendere le radici profonde delle  nostre società . Pur non essendo tempi lontanissimi, essi paiono distanti secoli dai nostri giorni, tante sono le differenze con l'attualità, non solo nella tecnica ma nei linguaggi e nei comportamenti delle persone.  Fra tanti cortometraggi, tre sono stati presentati di recente nel programma RaiStoria, e rivelano l'importanza assunta dalla cinematografia nel secondo dopoguerra, dopo che questa disciplina venne favorita nel 1949 da una legge di sostegno che promuoveva con contributi statali, filmati nazionali che avessero per soggetti aspetti della nostra società, uscita traumatizzata dagli avvenimenti tragici del conflitto mondiale che divenne in seguito scontro civile. Sono ora testimonianze utili anche per le nuove generazioni perchè raccordano, senza retorica,  generazioni diverse. Un primo filmato di dieci minuti, dal titolo "Anche le città muoiono" con la fotografia di Luigi Zanni e la regia di Fernando Cerchio (1914/1974), mostra il paese di Monterano, nel Lazio,  che ancora nel 1969, quando in vaste zone d'Italia si era in pieno boom economico, appariva come una località fantasma. I ruderi lasciati dalla guerra del tutto avvolti dalla vegetazione e circondati da asini, da capre e da maiali, richiamano un medioevo lontano. Tra quelle pietre, come recita il narratore del cortometraggio, " la gente fuggita dalle case distrutte non è più ritornata. Quelli rimasti pensano di andarsene...". Oggi Canale Monterano ha sostituito quel borgo fantasma ed insieme alla Riserva Naturale con splendidi boschi di quercia, è una mèta di turismo. Un secondo paese filmato è Civita di Bagnoregio, tutt'ora in costante pericolo di sopravvivenza geologica e rinomata mèta turistica per il paesaggio straordinario che la circonda. In un secondo documentario intitolato "Donne in Carnia" del 1959, il regista veronese Axel Rupp, classe 1924,  porta l'attenzione sui paesi dell'alto Friuli, a lungo spopolati dalla emigrazione, dove erano rimasti solo i vecchi e le donne a cui restavano la fatica e il dolore. Le donne lavoravano la terra e accudivano i figli. Gli uomini validi lavoravano lontano, spesso in altre Nazioni. Le immagini le colgono con le gerle di vimini sulle spalle mentre salgono tra i boschi a raccogliere legno e fieno. La cinepresa indugia su volti severi e stanchi, tra povere case di legno e pietra, rimaste ferme a secoli lontani, con l'acqua attinta dalle fontane del paese. E' un messaggio forte che non lascia indifferenti. Quelle popolazioni che poi nel 1976 vennero drammaticamente colpite da un disastroso terremoto, dimostrarono di che tempra fossero fatti i loro caratteri. Hanno ricostruito tutto ciò che era crollato, comprese le testimonianze più antiche e l'anima racchiusa in quelle pietre non è andata perduta. Il terzo documento riprende una giornata tra i ragazzi in un quartiere di periferia all'inizio degli anni anni '60. I giochi nel cortile tra nugoli di adolescenti e l'avvicendarsi delle attività dei genitori. Siamo al passaggio di un'epoca e di cambiamenti interiori nella pubertà. Ma si respira in quelle scene la coesione tra famiglie che si affacciano tra caseggiati popolari, in un ambiente proletario e di piccola borghesia. E' un mondo di relazioni strette fra adulti e ragazzi che oggi manca o si è fatto distante. Questi racconti sono diari di un tempo passato che mostrano problemi superati o travolti dai processi veloci di progresso economico e tecnologico. Meno superati sul piano culturale perchè contengono elementi e valori di una ricchezza antica che andrebbe recuperata. Questi filmati mostrano ingredienti indispensabili per rifondare nelle città i caratteri di solidarietà, di forza morale, e di processi di vita che riguardano nel bene e nel male intere comunità. Da questo impasto ha origine l'identità complessa di un popolo e da esso derivano le relazioni urbane, le contaminazioni spaziali e temporali, gli usi dei materiali, dei colori, dei suoni. Cose che si imparano dalla storia e sulla strada, molto più che nelle aule universitarie.