martedì 2 settembre 2025

L'ATTESA


 L'ATTESA 
   di   Gianfranco Vecchiato

L'attesa degli uomini dinanzi agli avvenimenti della Storia è carica di interrogativi. Questa attesa è messa alla  prova dalla capacità e fertilità di saper rispondere, sia da parte della religione come dai sistemi politici, ai bisogni di giustizia sociale. Lo credeva Giorgio La Pira, un italiano profeta, politico e missionario a suo modo, quando da animatore di pace, nel 1958, organizzò per la prima volta in un convegno "Colloqui Mediterranei" , un incontro fra arabi ed israeliani, francesi ed algerini. Uomini di cultura ed Istituzioni trovarono e cercarono strade. Con un pellegrinaggio ad Ebron, presso la tomba di Abramo, padre comune delle tre grandi religioni monoteiste si aprirono prospettive di pace. Chiamando le nuove generazioni a scuotersi dal torpore, dalla rassegnazione, dall'apatia e invitandole ad  agire per guidare i comuni destini, sia personali che collettivi. La Pira riteneva servisse un governo mondiale dotato di poteri sovranazionali, in grado di corrispondere alle esigenze di un pianeta che ai nostri giorni è popolato da oltre 8 miliardi di persone. La attualità del suo pensiero è confermata dagli avvenimenti che stiamo attraversando, sia nel conflitto fra Russia ed Ucraina e sia nel calderone Mediorientale. Nuovi soggetti sono protagonisti sullo scenario mondiale, la Cina, l'India, il Brasile, l'Indonesia, l'Iran. Molte nazioni hanno assunto rilievo per crescita demografica, economica e militare e l'irrilevanza dell'ONU attuale, mai riformato, lascia il mondo instabile. L'Europa ricostruita e immaginata dai padri fondatori, A.De Gasperi, K.Adenauer e R.Schumann, come una federazione di Stati che si sarebbero strutturati sia economicamente che politicamente fra loro, è ancora lontana. Se l'obiettivo economico ha avuto successo, inglobando i Paesi dell'est Europa, un tempo chiusi nella sfera di influenza sovietica, politicamente la questione resta aperta. L'uso della forza per la risoluzione militare delle controversie ci riporta al passato. La violenza si manifesta in Natura dove l'animale più aggressivo prevarica sul più debole e sul nostro pianeta attraversato
Giorgio La Pira (1904/1977)
Foto tratta da Wikipedia Corriere d.Sera
da terremoti, dalle attività di vulcani,  di tempeste, di alluvioni, fino alle galassie che vengono inghiottite nell'universo dai misteriosi "buchi neri". Ma la violenza non è accettata supinamente dagli  uomini contemporanei che hanno cercato, costruendo faticosamente le loro civiltà,  di avere risposte dalla Filosofia, dal pensiero religioso, dalla forma sociale, dalla scienza.  Risposte possibili. Se l'attesa rivela una angoscia interiore, la scienza, fin da Lavoisier, pensa che in Natura nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Il motore del dinamismo è insito negli uomini e questo li fa progredire anche nel pensiero. Quando il milanese Cesare Beccaria scrisse tra il 1764 e 1766 l'opera "Dei delitti e delle pene", quel testo circolò in Europa influenzando la riforma di diverse legislazioni penali dell'epoca. L'Illuminismo e le idee liberali posero i diritti e i doveri dei singoli nella società, assieme ai principi di uguaglianza tra cittadini, rifiutando la tortura,  la limitazione o abolizione della pena di morte tra le pene da comminare ad un condannato. La violenza si combatte migliorando i fattori di giustizia. Ad esempio anche nelle parità di genere. Le donne hanno ancora un ruolo subordinato nelle società dominate dai "maschi". Pur se sono in aumento posizioni femminili di rilievo,  diverse culture non accettano l'uguaglianza fra i sessi. Secondo psichiatri e sociologi è questo uno dei meccanismi che generano frustrazioni e tensioni nelle comunità. L'uso della forza si alimenta con le frustrazioni nel controllo del potere, con le volontà di imporre il comando. Per rispondere alle condizioni di disagio sociale  il sistema economico ha cercato di rispondere, nei paesi Occidentali attraverso la produzione di prodotti di consumo. L'esasperazione di tale modello non si è rivelato un antidoto ma uno strumento che ha trasformato il valore in merce. Beatrice, modello astratto di donna, amata da Dante Alighieri che la vide come sua guida verso la Grazia e il Paradiso, ha ora un  profilo diverso ed emancipato. Tuttavia il sistema di mercato se ne serve in modo allusivo in quanto la figura femminile aiuta a vendere. Si comprende che le comunità musulmane, sempre più presenti nel nostro Paese, che vivono in questo tipo di società con costumi  molto diversi dai loro, facciano resistenza. Ma chiudendosi a cambiamenti che  dovranno anch'essi affrontare, come è avvenuto 
non solo nel nostro Paese.
La regista Lina Wertmuller nel 1963 diresse il film "I Basilischi", che raccontava la ristrettezza di vedute, di relazioni, fra tradizioni, chiusure, paure, rinunce e apatie, in un paese del sud Italia agli inizi della rivoluzione culturale e sociale degli anni '60. Un mondo in cui lo Stato appariva ingiusto e inadeguato alle domande sociali ed a cui si sostituivano poteri paralleli. L'attesa del Messia, invocato da alcuni, rifiuta l'Uomo della croce e specialmente le sue parole di perdono nella morte violenta a cui fu condannato. Anche l'urbanesimo delle megalopoli è una fucina di violenze e all'architettura spetta un compito rilevante favorendo  integrazioni e relazioni tra  forme e ambiente naturale. Il mestiere dell'architetto è espressione di sintesi tra forze in perenne tensione. E' la ricerca sperimentale di nuovi equilibri,  di contatti diversi, inclusivi  e positivi.  Nel nostro mestiere, come architetti, sappiamo che ogni progetto, germina da una idea che poi cresce, si consolida, e cerca il consenso. Così avviene per i diritti e i doveri che possono comporsi a formare  una società più equilibrata capace di affrontare e vincere le sfide del futuro.  Abitiamo su un unico pianeta dove si svolge la grande storia dei popoli e la piccola storia nostra. L'attesa degli uomini dovrebbe finire ed essere finalmente accompagnata dall'incontro e dalla pace.  

     

giovedì 28 agosto 2025

PELLESTRINA


 PELLESTRINA 
 di  Gianfranco Vecchiato    

Una visita all'isola di Pellestrina può trasformarsi in un viaggio a ritroso nel tempo.  Alle ragioni culturali e geografiche che identificano questa speciale Comunità di antichi pescatori, si sono aggiunte per me storie familiari. Posta alla estremità della laguna centrale e vicina più a Chioggia che a Venezia, a Pellestrina mio nonno materno Rodolfo andò a trascorrere le ultime settimane di vita nella speranza che l'aria di mare lo potesse aiutare a guarire da una malattia polmonare, quando non esistevano ancora antibiotici e penicillina. Morì a soli 37 anni dopo un ultimo saluto alla giovane vedova ed ai suoi due figli piccoli. Quella lontana tragedia unì il nome di Pellestrina al nostro. L'Isola emana un senso di mutevole serenità: da un lato guarda verso il mare Adriatico ed ai suoi umori, dall'altro è rivolta verso la Laguna dove Venezia appare assai lontana. Dall'estremità del Lido, a Malamocco, l'autobus  attraversato con il traghetto la "Bocca di porto" continua il suo viaggio verso l'altro capo dell'isola, percorrendo ben 11 km. Baluardo strenuo a difesa della laguna dal mare, possiede l'ultima grande opera pubblica alla quale dedicò  impegno e cura la Repubblica Serenissima al volgere della sua indipendenza, nel XVIII° secolo: i Murazzi.
Un lungo terrapieno rinforzato con pietre d'Istria, per chilometri fa da barriera alle onde del mare nei momenti di tempesta. Sull'isola la Comunità affonda le sue identità nel più autentico e lontano humus culturale che saldava fra loro le diverse popolazioni lagunari. Tradizioni, fede, costumi, hanno plasmato nel profondo il legame tra ambiente e società. Ciò che rende particolare quest'isola è il senso del confine: quello della terra, quello del mare, quello della Laguna e die due delle tre bocche o aperture, attraverso le quali le maree entrano ed escono dalla laguna di Venezia. A Malamocco ed a Chioggia. Le strutture che servono alle paratoie sommerse del sistema MOSE sono anche quelle tra cui transitano le navi portacontainer e le petroliere verso il Canale dei Petroli in direzione della zona industriale di Marghera o di navi passeggeri che giungono a Chioggia.  Canale contestato che ha creato una erosione costante dei sedimenti naturali, una ferita ambientale tra le più profonde nell'habitat lagunare. L'architettura di Pellestrina e la sua forma urbana appaiono con autenticità e colore: si sviluppa linearmente data la modesta profondità dell'isola e si volge verso la laguna con andamento prevalente a sud ovest.

Le tipologie delle case sono semplici e si accostano fra loro facendo largo a piccoli giardini e cortili ben curati. Le altezze di due piani, più raramente tre, affacciate  sulla riva o su calli strette ed alcuni campielli, segnano i caratteri presenti in gran parte del bacino lagunare. Le quattro chiese sono molto interessanti. In particolare quella dedicata a S. Vito e Modesto in cui la facciata si caratterizza per due guglie poste agli estremi e un sagrato modellato da un muro merlato curvo in mattoni. Il turismo di massa che sta devastando Venezia è qui assai rado e lascia intatta l'autenticità dei rapporti come ai tempi andati.
Impressionano le incisioni lasciate su targhe di pietra sui Murazzi, datate 1781 e 1791, anni che portarono alla conclusione progressiva delle opere di completamento della diga.  Mancavano pochi anni alla caduta dello Stato da Mar, e sembra che esse abbiano fermato il tempo.
Piccole spiaggie naturali sul mare, che scompaiono e riappaiono con le maree, ospitano solo alcuni coraggiosi che si portano asciugamani ed ombrelloni per qualche ora di sole. Tutto appare prezioso e primitivo. Un fascino silenzioso che si oppone al nostro tempo che tende a cancellare le tracce del passato o le rende irriconoscibili. In molti angoli di Pellestrina ho  ritrovato lo stretto legame tra epoche diverse. Il ritmo dell'acqua, quello agitato del mare e quello quieto della laguna, influenza il carattere degli abitanti, abituati a convivere in perenne equilibrio. Come avvenne nel tragico novembre del 1966 quando la furia del mare superò in alcuni punti le barriere dei Murazzi ed entrò in laguna. Dopo quella esperienza vennero negli anni successivi consolidate e rialzate le difese a mare di almeno 150 cm, rifatti gli impianti elettrici nelle case, ai piani terra, ricostruite le reti fognarie per impedire la risalita attraverso i tombini delle acque, ripavimentate le strade e i campielli. Un enorme lavoro di riqualificazione che introdusse esperienze tecniche innovative poi utilizzate anche a Venezia. Due ipotesi si fanno sull'origine del nome dell'isola. La prima deriverebbe dal nome di Filisto, generale siracusano esiliato ad Adria  che avrebbe fatto scavare in antichità fosse per collegare il fiume Adige alla laguna, la seconda, più simpatica, deriverebbe da "pelle strana" un riferimento dato alla pelle dei pescatori dell'isola, bruciati dal sole.
Dopo che nel 1380 Venezia vinse la guerra con Genova strappandole Pellestrina e Chioggia, fu il doge Contarini a ricostruire il nucleo abitativo che era andato distrutto. Incaricate quattro famiglie, l'Isola venne divisa in 4 Sestieri, tutt'ora presenti. Il silenzio, l'increspatura dell'acqua al tramonto, la musica tenue che esce da una finestra aperta, raccontano come alla base di ogni società, pur imperfetta, gli ingredienti migliori per rappresentarla siano dati dalla semplicità con cui si mescolano persone cose e dalla umanità con cui queste vengono rivestite. Tornando a casa e sentendo le notizie provenienti dalla Ucraina, dalla Russia, dalla Palestina mi sono chiesto perchè non far arrivare in questo lembo di terra e tenerli assieme per qualche tempo, i decisori di violenza. Forse quell'aria che non riuscì a guarire mio Nonno, potrebbe aiutare oggi a guarire la violenza e qualche male del mondo. 

venerdì 30 maggio 2025

AUTONOMIE

AUTONOMIE        di Gianfranco Vecchiato

Palermo:Edicola liberty
Palermo:Edicola liberty
Due territori, il Suedtirol/Alto Adige e la Sicilia,  posti  agli antipodi nella penisola italiana, nelle loro diversità storiche, culturali ed ambientali  si confrontano con le loro specificità sul piano istituzionale. Se  fu Silvius Magnago il fiero, tenace  ed abile rappresentante della SVP a condurre il gruppo di lingua tedesca, minoranza in Italia e maggioranza in provincia, alla approvazione dello Statuto di Autonomia configurato nel 1972 e certificato dall'Austria come potenza tutrice, secondo gli accordi assunti nel dopoguerra da De Gasperi-Gruber, anche la Sicilia ha avuto politici come  Salvatore Aldisio, Giuseppe Alessi,  Luigi Sturzo ed altri,  che sostennero  la "autonomia speciale" per l'Isola, che nel 1946 era attraversata da forti pulsioni indipendentiste. 
Andrea Buglisi Murale a Ballarò Palermo
La storia dell'Italia contemporanea, forse più che in altre nazioni europee,  porta con sè un mosaico di appartenenze linguistiche e culturali che si sono formate in millenni di storia. La Valle d'Aosta anch'essa a statuto speciale, ha minoranze linguistiche francesi, nel Friuli Venezia Giulia ci sono minoranze di lingua slovena, la Sardegna ha una identità del specifica, sia linguistica che culturale. E poi ci sono regioni come il Veneto che non hanno fin qui avuto riconosciuta alcuna autonomia pur avendo avuto una lunga storia e una lingua che usò in diplomazia nei mille anni in cui fu uno Stato indipendente. L'Alto Adige/ Suedtirol e il Trentino, furono parte del Tirolo austriaco fino al 1919 quando, dopo la sconfitta dell'Austria nella Grande Guerra, vennero annesse, fino al Brennero, al Regno d'Italia. Confini confermati anche dopo il 1945. 
Fu questa una svolta della storia ricordando che nel 1847 il cancelliere austriaco Klemens von Metternich sostenne che per Lui l'Italia era una "mera espressione geografica". All'epoca la corona asburgica dominava sulla nostra penisola sia direttamente che attraverso  i governi di diversi Stati italiani. La buona amministrazione che caratterizzò quell'Impero multilingue, formò un equilibrio politico e culturale centro europeo, la Mitteleuropa a cui appartenne anche il Tirolo italiano e per un periodo il Lombardo-Veneto. 
Cefalù: Recupero edilizio
Laces in Val Venosta (BZ)
Tuttavia il crogiolo dei nazionalismi avrebbe infranto con la 1^ guerra mondiale quel quadro di relazioni cosmopolite di cui in Europa si sente ancora l'assenza. Nella  mia regione, il Veneto e il suo nobile passato, venne calpestato con la occupazione e la resa ai rivoluzionari francesi nel 1797. Per oltre 60 anni seguì  poi l'occupazione austriaca e alle sue genti, fino al 1866, non furono risparmiate  umiliazioni. I veneti concorsero all'Italia unita pur aspirando ad una autonomia finanziaria, che in parte lo Stato riconobbe il 16 aprile 1973, alle peculiarità di Venezia con una "legge speciale". Incuneata tra due regioni a statuto speciale, il Veneto ha riproposto il tema della autonomia con deleghe dallo Stato. Materia complessa non ancora risolta. Si assiste quindi ad un altro paradosso. I cittadini altoatesini e trentini ma anche i friulani sono  più privilegiati dei veneti. L'antica "dominante" ha oggi meno peso politico di loro, dentro lo Stato.  Se dalle faglie etniche dei popoli sono avvenute passate rivoluzioni, i Veneti, che  gli antichi romani definivano popolazioni tranquille e laboriose, attendono di essere protagonisti istituzionali così come già lo sono sul piano economico e culturale.
Le tre regioni confinanti a Nord Est
Nel sud il Regno dei Borboni (1734/1860), di discendenza spagnola, a metà ottocento appariva uno Stato ricco di contrasti. All'avanguardia in alcuni settori economici e nel confronto tra i sistemi bancari preunitari, il regno vantava due splendide città capitali: Napoli e Palermo. Alcuni storici hanno evidenziato che nel 1860 il Banco delle due Sicilie si stima avesse nei depositi circa 440 milioni di monete d'oro che si confrontavano con la ricchezza monetaria degli Stati preunitari che non raggiungeva la metà di tale somma. Se l'annessione e la caduta del regno,  con la confisca di molte ricchezze del sud, furono traumatiche, occorre anche ricordare come vi fossero masse di persone che vivevano in condizioni di  assoluta arretratezza economica e culturale. 
Il nuovo Stato unitario affrontò certamente in modo predatorio la questione meridionale, imponendo e mescolando l'amministrazione sabauda a quella borbonica. Una politica in stile semi coloniale. 
Le Saline di Trapani
Profetiche furono le riflessioni dell'esponente della "sinistra storica", il napoletano Giustino Fortunato (1848/1932) sui problemi, in parte irrisolti, del "mezzogiorno" e che per la Sicilia lo scrittore Tomasi di Lampedusa (1896/1957) colse nel suo celebre romanzo il  Gattopardo. Queste terre lontane fra loro sono unite da questioni inseparabili,  nell'Europa contemporanea. Hanno valore nell'unità dello Stato e le loro specificità non lo indeboliscono ma ne consolidano la funzione di rappresentarle e coordinarle.  La tutela dei  cittadini di madrelingua tedesca, ladina e italiana, in A.Adige/Suedtirol  e quelle delle specificità storiche e culturali in Sicilia, sono atti di fiducia dello Stato che può a ragione vantare tra i modelli di convivenza , quello del Sudtirolo che ha pochi eguali al mondo. Esaminando lo stato di diverse minoranze in Europa, dal calderone balcanico, alle repubbliche baltiche, dai baschi ai catalani, dall'Irlanda al Kosovo fino alla Corsica, alla Turchia e poi osserviamo i drammi del Medio Oriente... Ora il tema è in continua evoluzione e si presenta con i milioni di nuovi cittadini extracomunitari nei paesi europei che hanno introdotto diversità di religioni, di culture, di idiomi.  Dobbiamo riflettere sul come vivere insieme, mantenendo ciascuno alcune tradizioni, traendo dalle esperienze del nostro Paese. Quindi l'Alto Adige e la Sicilia possono essere due casi di confronto.
Lago di Resia
Sicilia e Natura
In Sicilia la storia culturale è ricca per ambiente, per le architetture, i monumenti, le vivacità espressive dei quartieri popolari. Qui si sono  combattute nel tempo le baronie feudali, il malaffare amministrativo, l'atavica presenza della mafia. L'Assemblea Regionale siciliana che si riunisce nel Palazzo dei Normanni, già Palazzo Reale e scrigno di vicende storiche, riassume il mosaico di questa terra: prima greca e punica, poi romana,  quindi araba, normanna, spagnola, borbonica e infine italiana. Lo Stato italiano, sorto con fatica, si è trasformato  e saldato  nel corso del secondo Novecento più per merito della tecnica, con la diffusione  della televisione che ne ha amalgamato la lingua e per la progressiva industrializzazione, che per le retoriche nazionaliste del ventennio o il pur grande sacrificio delle trincee.
Veduta della Valle Aurina (BZ)
Negli  anni l'Italia è cambiata anche con il turismo che ha  contribuito a far conoscere gli italiani fra loro. Ci sono le nuove frontiere da affrontare e superare insieme, nord e sud: come favorire le relazioni tra comunità, come migliorare infrastrutture, come aprire chiusure culturali. Un mio recente viaggio in Sicilia mi ha fatto apprezzare alcuni trasporti pubblici locali, facendomi correggere prevenzioni negative, certificando che la bellezza di antiche architetture è un mezzo di comunicazione potente che aggrega e non divide.
Paesaggio Siciliano
Come in Alto Adige si è sviluppato un design di qualità che ha coinvolto opere pubbliche e private, mutando forse fin troppo le  immagini del vecchio Tirolo, anche in Sicilia l'architettura ha un posto di rilievo. I murali di Palermo vivificano lo sconquasso di quartieri degradati. Gli incroci si arricchiscono tenendo salde le tradizioni, la propria appartenenza, assimilando con intelligenza i nuovi venuti. Per affrontare i problemi di insicurezza sociale affiancati dalle intolleranze, si può attingere alle esperienze positive esistenti nel nostro Paese, posto all'incrocio geografico tra Centro Europa e Mediterraneo.
Una corte a Palermo in una sera d'estate
Ai nuovi arrivati  può essere efficace mostrare  esempi culturali virtuosi che meglio educano ai doveri oltre che ai diritti personali. Occorre sostenere i valori di convivenza. Molti sono i motivi per sentirsi  parte dell'Italia che fu sognata da W.Goethe e fu cara al mondo tedesco. Spinto ad un viaggio in Sicilia, tra i resti archeologici  della Magna Grecia o alle pendici dell'Etna, scrisse nel suo  "Viaggio in Italia"  (1787-1788):  " In Sicilia c'è la chiave di tutto", è un luogo fondamentale per la comprensione dell'Italia.
"L'Etna quella montagna colossale  che sembra innalzarsi e strappare il cielo, non è solo un monumento della Natura, ma anche un simbolo della forza e della potenza dell'Italia". Nasciamo e viaggiamo nel nostro tempo di vita incrociando e mescolando valori e sentimenti. Nel conoscerci possiamo meglio comprenderci reciprocamente. L'Italia come il futuro, non sarà più quello delle piccole patrie, che  resistono tra le pieghe dei territori.  Heimat è una parola importante. Si capisce che le radici non vanno recise.  Una Patria dove crescono i grandi ideali di libertà, di tolleranza, di rispetto comune, va costruita e sorretta. Quella è una Patria comune.  W. Goethe in una sua lirica, scriveva: Conosci il paese dove fioriscono i limoni? "Kennst du das Land, wo die Zitronen bluhn?" Brillano tra le foglie  cupe le arance d'oro. Una brezza lieve dal cielo azzurro spira... Tra i venti  che scuotono in questi tempi l'Europa, teniamo alte le comuni bandiere.  

lunedì 24 febbraio 2025

IL BORGO SOSPESO

 IL BORGO SOSPESO      di   Gianfranco Vecchiato


Atto di Donazione delle terre di Perlan
Anno 994
Diversi romanzi di successo traggono ispirazione da civiltà perdute. Ma queste non occorre cercarle tra le foreste amazzoniche perchè le loro tracce sono presenti nelle foreste urbane delle metropoli contemporanee. L'isolamento tra molte case di quartieri dormitorio favorisce la solitudine e la separazione delle individuali esperienze. Per questo la sociologia moderna si occupa dei contesti e non c'è dubbio che la disciplina urbanistica dovrebbe attingere fortemente da tali riflessioni, prima di indicare prospettive di sviluppo e di trasformazione dei contesti comunitari. Può accadere che ci siano nello stesso territorio, zone che resistono o sfuggono più di altre a tumultuosi cambiamenti e che si preservino delle condizioni di vita e di relazione più tradizionali ed umane di quelle ormai distrutte per le conseguenze indotte dai grandi processi commerciali che hanno svuotato i centri storici di molte città. Vorrei
Barchessa del 18° secolo oscurata da un condominio 

citare una esperienza tra le tante:la storia di un nucleo urbano minore all'interno del Comune di Venezia. Si tratta dell'area di Gazzera racchiuso  nell'asse viario che la attraversa per dividersi poi in due direzioni: Asseggiano e Brendole. Il toponimo è di incerta origine, forse dato dalla numerosa presenza delle Gazze oppure dal nome dialettale di antiche canne palustri. E' rilevante sapere che nel 1994 vi si celebrò un importante anniversario: il riconoscimento dei mille anni in cui queste terre vennero nominate in una editto dell'Imperatore del sacro Romano Impero Ottone III° che le diede in possesso alla casata dei


Collato che avevano il loro castello a Susegana (TV). La popolazione era contadina o dedita al piccolo commercio ma il territorio fu segnato, specie dal XVII° secolo al XIX° , dalla costruzione di diverse ville di patrizi veneti e di facoltosi proprietari che avevano qui la loro dimora e vaste terre agricole coltivate. Gazzera da fine 800, rimase divisa dal resto del territorio mestrino, dal cui centro dista circa quattro chilometri, da due linee ferroviarie a cui si aggiunse dal 1971 anche una tangenziale sopraelevata che  fisicamente la attraversa rendendola una appendice nello sviluppo che ha mutato il territorio circostante dagli anni '50 agli


anni '90 del Novecento. Non sono mancate le dissacrazioni al contesto che si presentava minuto ma organicamente ben conservato fino alla fine degli anni '40. Lungo la via Gazzera Alta, una strada di circa mille metri, si affacciavano  Ville antiche e alcune barchesse: Villa Paganello, Villa Letizia-Volpi-Pavan, Villa Pozzi, Palazzo Grassini, Oratorio S.Francesco, numerose case popolari a schiera con negozi dalla forma tipologica tutelata. E poi c'è un edificio di archeologia industriale che ospita macchine idrovore, realizzato nel 1913 per la espansione della rete idrica sul territorio. Quindi un forte, oggi dismesso, testimonia la sua funzione nell'ottocentesco  "campo trincerato" militare che con altri forti circondava e proteggeva l'entroterra di Venezia. Nell'esaminare la situazione che si è sedimentata nel tempo, appaiono  diverse incongruenze edilizie che nuocciono al tessuto urbano insieme ad alcune attività improprie rispetto al contesto residenziale. Assumendolo come esempio di analisi e di proposta, ho proposto delle ipotesi di rigenerazione e di recupero. Questo si ottiene demolendo e sostituendo 

dei segni urbani legati al contesto,  poi accostando un piano del colore, rafforzando il commercio locale di vicinato, migliorando l'arredo urbano, proponendo nuovi spazi di aggregazione sociale e comunitaria. All'interno di un percorso denominato itinerari mestrini, si possono saldare altre intuizioni già proposte in precedenza: il ruolo positivo dell'arte urbana per favorire il tessuto connettivo e di relazione fra edifici e spazi pubblici e privati, recuperando  scenografiche condizioni tutt'ora visibili, delle

settecentesche ville venete. L'itinerario coinvolge territori che hanno relazione con tutto questo, rafforzando e non isolando, le reciproche influenze, spesso volutamente tenute separate, indebolite, per favorire operazioni immobiliari sparse e scoordinate. Questa è la grave malattia, la epidemia, che ha colpito quasi tutto il Veneto, una regione ai vertici italiani ed europei per consumo annuo di suolo. Anche la recente approvazione del Parco fluviale del fiume Marzenego, che attraversa dopo 35 km dalla sua sorgente, questa zona e che verrà acquisito attraverso la realizzazione di moneta urbanistica per oltre 80 mila mc . Occorre recuperare invece molti segni antichi, come quelli presenti nei numerosi Oratori del settecento, perolpiù dimenticati,  dando all'architettura quel ruolo  che può rafforzare non solo il senso di appartenenza ad una storia collettiva, e non la somma di  individualità, e ridarle il valore che le è a lungo appartenuto nella storia.  



lunedì 30 dicembre 2024

DOUCE FRANCE

DOUCE FRANCE     di  Gianfranco Vecchiato

Centro Storico di Arras

Centro Storico di Bruges
Tre città visitate di recente mi hanno confermato quanto l'architettura  sia lo specchio delle identità culturali, economiche e sociali. Due si trovano nella Francia settentrionale e la terza in Belgio: Arras, Lilla e Bruges. Il viaggio è iniziato da Venezia e nel percorso lungo la Pianura Padana, una prima sosta è stata a Grazzano Visconti, provincia di Piacenza. E' un borgo molto noto nelle guide turistiche perchè è stato creato agli inizi dello scorso secolo per volontà del Conte Giuseppe Visconti di Modrone la cui famiglia anticamente era proprietaria di un castello, costruito alla fine del XIV° secolo. La originalità consiste nel singolare "falso" urbanistico e architettonico che caratterizza l'insieme di edifici realizzati in stile neogotico e rinascimentale, tra il 1906 e il 1915,  dall'architetto Alfredo Campanini. Mentre iniziava il razionalismo, il costruttivismo, il futurismo, in questo luogo si volle fissare il tempo remoto. In questo borgo, artificiale ma visitato da migliaia di turisti, si è fermato il tempo, coinvolgendo l'habitat naturale con parchi, prospettive mutevoli, angoli silenziosi. 
Lilla uno scorcio del centro 

Il viaggio è continuato con sosta a Pinerolo, alla base delle Alpi. Da qui ci si inerpica verso la frontiera del Monginevro, passando per Fenestrelle, con l' antica fortezza sabauda che si inerpica per il crinale della montagna. Una specie di piccola muraglia piemontese che serrava fino agli inizi del XIX° secolo,  l'accesso ad eventuali invasori provenienti da oltre alpe.  Prima del Monginevro si transita per Clavière. Fino al 1947 il passo era in territorio italiano, ma è passato alla Francia a seguito del trattato di pace. Nel 1976 una lieve rettifica confinaria ha riportato alcune case nel comune di Claviere. Da qui si scende verso Grenoble attraversando pochi paesi, in un paesaggio a tratti maestoso, divenuto riserva naturale ed ambientale.
Lorena, Paesaggio francese
La storia ricorda che questo tracciato fu percorso dalle legioni romane dirette in Gallia Transalpina. Lasciate le Alpi ho sostato a Lione e poi, attraversando vaste campagne ondulate, mi sono diretto a nord verso Arras. Ricordavo che la città dei tessuti, da cui prese il nome l'arazzo, gareggiava nel rinascimento, con le città di Lucca e di Vicenza. L'anima antica è incarnata nel suo centro storico, uno spazio di grande fascino costituito dall'insieme di architetture che si accostano nelle facciate, formando una trama urbana simile ai ricami di un merletto: portici, finestre, balconi, abbaini, lucernari, coperture di varia foggia, si susseguono senza interruzione avvolgendo lo spettatore. Ovunque, attraversando piccoli paesi, villaggi, cittadine, monasteri isolati, appare l'impronta radicata della presenza cristiana. Anche nel nome di tante località che portano il prefisso "Saint". E' questo un retaggio del profondo senso religioso un tempo presente nella società francese che oggi appare laica e poco incline al Sacro. Effetti della lontana Rivoluzione del 1789. Altra città Lilla, con le sue architetture nel centro storico tipiche della "Fiandra francese". Luogo natale di Charles De Gaulle. E quindi Bruges, magnifica città del Belgio fiammingo, già da me visitata in passato. Un borgo storico intatto attraversato da canali, caratterizzato da case in mattoni, da piccoli orti, da una composta convivenza. Il ritorno attraverso la Lorena, ha fatto dimenticare la stanchezza del viaggio. Un paesaggio sconfinato domina su ogni altro pensiero, punteggiato da boschi a da numerose pale eoliche. Non ho visitato musei, nè ho visto architetture contemporanee degne di nota.
Aosta: Nuova Sede Universitaria. Contrasti Urbani

Mi è stato sufficiente risentire le note di Charles Trenet, "Douce France", per non accorgermi dei numerosi centri commerciali che  rovinano alcune periferie e per fare infine il passaggio di ritorno attraverso la Svizzera e il Gran San Bernardo. La tappa italiana è stata ad Aosta, dove mi ha colpito, non favorevolmente, un grande edificio realizzato di recente, il nuovo polo universitario, nei pressi del centro della città e di fianco ad una storica ex caserma alpina, la Testafochi. Si tratta di una dissonanza contrastante, un landmark come lo definiscono i progettisti ma che secondo me, non dialoga con il contesto pur se urbanisticamente si apre al centro storico coinvolgendolo in nuove funzioni.Il soggetto si ispira ad un ghiacciaio che,  nella stagione invernale, può trovare una qualche mimesi con il paesaggio. Sulla forma si può discutere proprio per il contesto in cui si inserisce e per le finalità degli autori: dialogare con il passato. La dimensione di questa architettura sovrasta ogni altra cosa all'intorno, divenendo una forma aliena più evidente perchè situata ai bordi di una ampia area libera. Tuttavia il giudizio su ogni architettura è affidato al tempo ed alle generatrici che essa saprà o meno indurre al proprio intorno.  

mercoledì 4 settembre 2024

VENEZIA 1951/2024

VENEZIA 1951/2024     di Gianfranco Vecchiato

Joseph Heintz : Venezia 1673 Il Ponte dei Pugni
I 175mila residenti a Venezia nel censimento del 1951, erano il 20% in più degli abitanti di sei generazioni prima quando, nel 1797 il millenario "Stato da Mar", venne abbattuto senza grande resistenza, dalle truppe napoleoniche. La Città-Stato subì allora un fortissimo contraccolpo economico e sociale, essendo stata depredata e privata dei suoi territori e  di indipendenza. Ad Andrea da Mosto, che fu direttore dell'Archivio di Stato di Venezia,  si deve la pubblicazione del libro "I Dogi di Venezia",pubblicato nel 1960,  che raccoglie episodi e storie  sui 120 Dogi che si succedettero in mille anni di repubblica. Nel libro rientrano anche le vicende dell'aristocrazia veneziana, potente e florida, che impresse vivacità e diede allo Stato forza diplomatica e commerciale favorendo la diffusione artistica e lasciando, specie nei 4 secoli di maggiore splendore, testimonianze di rara bellezza. Molte di quelle opere che sono giunte  a noi, si trovano ora in contesti modificati dal tempo e perlopiù  stravolte da contesti in cui è venuto meno un equilibrio civico e sociale. Quel passato in cui molti vivevano in città in condizioni per noi contemporanei, deplorevoli e igienicamente insostenibili, va inserito in una idea diversa dei rapporti umani che era radicata tra classi sociali, che a Venezia abitavano in stretto contatto fra loro.  Uno degli ultimi dogi, Marco Foscarini vedendo l'avvicinarsi di grandi cambiamenti predisse:" Questo secolo dovrà essere terribile ai nostri figli e nipoti". Toccò all'ultimo Doge di Venezia, Lodovico Manin, la sorte più dura. Eletto in un periodo declinante di traumatica crisi finanziaria e politica dello Stato, comprese che le idee rivoluzionarie che dalla Francia si espandevano in Europa, sarebbero arrivate come una valanga a travolgere la aristocrazia veneta. il 12 maggio 1797 senza combattere, dopo un progressivo sfinimento, Venezia si arrese agli ultimatum. Quando il Doge e le Signorie, si presentarono dinanzi al generale Junot per consegnargli la città, questi non potè trattenere il sorriso vedendoli comparire vestiti con costumi d'altri tempi. Lodovico Manin ebbe tuttavia la dignità di non collaborare con l'occupante. Un altro Manin, Daniele, fu poi artefice del riscatto morale di Venezia cinquant'anni dopo quando nel 1848/49 si sollevò dalla occupazione austriaca per reclamare la sua libertà. Oggi la città è Patrimonio Unesco ma nel Novecento diversi bombardamenti la colpirono sia nella prima e in misura ridotta nella seconda guerra mondiale. Tra settembre 1943 e aprile 1945, Venezia occupata da tedeschi e repubblichini, conobbe il martirio di deportazioni, fucilazioni, torture. Tuttavia finita la guerra, all'inizio degli anni '50, la città appariva animata e vivace, strutturata attorno ai suoi campielli e sestieri, visitata "timidamente" da 1milione e duecentomila turisti in quell'anno, forte nelle sue tradizioni. Luogo culturale internazionale, attiva con le Biennali d'Arte e di Architettura, con la Mostra del Cinema, con le due prestigiose università di Cà Foscari e dell'Istituto di Architettura guidato da Giuseppe Samonà, con fondazioni come la Giorgio Cini inaugurata nel 1951 nell'Isola di S.Giorgio Maggiore, vocata al recupero ed al restauro. L'economia turistica contava ma era una parte della economia diffusa tra attività artigiane che coinvolgevano le isole lagunari, dal vetro ai merletti, dalla pesca, alla cantieristica. Porto Marghera si stagliava con le sue fabbriche sul vicino orizzonte senza che vi fosse in quel 1951 una diffusa consapevolezza dei rischi gravi portati dalle industrie inquinanti alla laguna ed alle pietre della città storica. Un cortometraggio in bianco e nero del 1950, di Enzo Luparelli con la dizione dell'attore Cesco Baseggio, dal titolo "I Nua" (Nuotano), mostra gruppi di ragazzi che si tuffano nei canali veneziani sotto la calura estiva fino all'imbrunire quando le voci delle madri li richiamano in casa. Il Comune si era allargato oltre le acque, coinvolgendo Mestre e gli ex Comuni di cintura e divenne questo il primo approdo di esodi demografici costanti. I progetti amministrativi sul futuro della città, proseguendo ciò che era avvenuto negli anni '20 e '30, con il profondo riassetto urbanistico di tutto il lato sud-ovest, dalla Stazione a piazzale Roma al Porto a S.Marta,  inserirono proposte di progressiva omologazione  che contrastavano con la storia e con l'ambiente. Alla Zona Industriale si portarono navi sempre più grandi scavando un "Canale dei Petroli" che contribuì a sconvolgere gran parte della laguna sud; l'assenza di controlli sugli sversamenti inquinanti in laguna, produsse gravi squilibri e danni alla salute per migliaia di persone. L'Ente Zona Industriale di Marghera era allora governato in autonomia senza che l'Amministrazione comunale di Venezia potesse incidere sulle scelte. Dagli anni '60 l'esodo dei veneziani divenne crescente, impetuoso, sostituendo vaste zone residenziali con esclusive attività ricettive. I cambi di destinazione d'uso, non impediti e controllati, l'assenza di normative specifiche, il sovrapporsi di competenze, ha cambiato in qualche decennio l'anima della città antica. E così settant'anni dopo, nel 2024 constatiamo che: i residenti che vivono stabilmente sono scesi a 49mila e ancora scendono. Sono saliti a tredici milioni e 500mila i pernottamenti nel 2023, e sono decine di milioni i turisti che impediscono relazioni normali in città. La creano nei trasporti, nei costi di manutenzione, nei rapporti sociali. Il turismo movimenta un forte indotto economico che però induce alla conversione di migliaia di alloggi in B&B, in affittacamere, in alberghi, in residence, alimentando speculazioni immobiliari, anche estere e abbassando la qualità della vita quotidiana nel tessuto storico. Un mondo precedente si è dissolto insieme al tessuto connettivo che lo animava.  L'arcipelago lagunare ed il suo modello sociale resta fatto da impasti diversi: demografici, culturali, economici, religiosi, ambientali, sociali, urbanistici. Tutto questo crea un equilibrio che ostacolerebbe diversi disegni di "rapina" ed è per questo che è stato più o meno consapevolmente indotto a sparire. Insieme agli abitanti si è assistito ad una costante dismissione anche di luoghi religiosi, a conventi chiusi trasformati per mancanza di ricambi e vocazioni. Tra debolezze amministrative e divisioni politiche Venezia raccoglie la sua storia dove sono transitate in poco più di una cinquantina di generazioni, circa 4 milioni di veneziani. 
Andrea da Mosto (1868/1960) Copertina del libro:
I Dogi di Venezia nella vita
pubblica e privata.
Loro hanno impresso per stratificazioni successive, i segni straordinari del loro passaggio e  
forme di civiltà  costituite, sorrette, vivificate, consolidate sorrette da tre elementi: rispetto e difesa  della laguna e delle altre acque,  domate in lotte continue, deviando i corsi dei fiumi, controllando e sperimentando le maree, assumendo vaste conoscenze anche empiriche nel campo idraulico.  La economia ed i  commerci,  attraverso navi che solcavano l'Adriatico ed il mediterraneo e univano culture diverse; poi attività agricole e terriere accompagnate dalla cura per l'architettura, l'arte e l'ambiente. Le grandi navi odierne sono incompatibili con il primo assunto e devono e possono trovare soluzioni in prevalenza fuori dalla laguna in modo da non comprometterne i caratteri. Il terzo fattore fu la struttura politica e sociale dello Stato. A Venezia l'aristocrazia regolava le sue funzioni e sottoposta al controllo da istituzioni che ne bilanciavano il potere. In quella società veneziana lontana e a noi quasi sconosciuta, c'era un Popolo che era la forza dello Stato e ne misurava la sua grandezza e permanenza. Da questo ne trassero giovamento i rapporti sociali, le tradizioni di fede e di lingua, le espressioni e la filosofia del pensiero, l'indole della sua gente.  Oggi la divisione e lo scarso coordinamento tra competenze di Enti autonomi crea distorsioni alla vita della città frenandone una armonica ed efficace evoluzione. Il Porto, l'Aeroporto, le Ferrovie, le Autostrade, le Aziende di trasporto, per lunghi anni l'Ente Zona Industriale di Marghera, le Sovrintendenze, la Regione, la Provincia, il Magistrato alle Acque, le Università, più di recente l'Ente Città Metropolitana, etc. sono parte delle complessità  di questo territorio. Se gli antichi pensavano al futuro i contemporanei lo temono. La "Regina dell'Adriatico" a metà del 1400, nella sua maggiore espansione commerciale e politica superò  i 200mila abitanti. Visitando le sale del Palazzo Ducale o dei Musei di Venezia si allineano i volti severi e dignitosi dei Procuratori, dei Savi, dei Magistrati, dei Dogi, dei Patriarchi. Nondimeno essi prendono vigore insieme a quelli dei marinai, dei condottieri, dei pescatori, dei letterati, degli artisti, del popolo.  Questa città anfibia, ben consapevole e fiera della sua originalità, nella "Festa della Sensa",   celebrava ogni anno lo "sposalizio" con il suo Mare. Una folta schiera di volti muti è presente tra le pietre antiche della laguna e giudica i contemporanei.  La grande industria turistica porta la città a galleggiare su un mare di soldi. Con diversi effetti:  drogano artificialmente e sostengono una scenografia di distorti fotogrammi tra gli scatti ed i selfie di luoghi che per molti non hanno alcun significato. 
Film Tempo d'Estate (1955)
Mi viene alla mente che nel 1955 un film di genere sentimentale, ambientato a Venezia e diretto da David Lean, dal titolo "Tempo d'estate" vedeva una scena in cui i due protagonisti, Rossano Brazzi e Katharine Hepburn, si trovano in campo San Barnaba dove si affaccia un canale  con barche che vendono  pesce e ortaggi ai residenti. Lei cade in acqua vicino al ponte "dei pugni" dove per tradizione si svolse per secoli lo scontro  tra due fazioni rivali i Castellani e i Nicolotti. Un quadro di Joseph Heintz il Giovane raffigura nel 1673 una scena dell'avvenimento. Il confronto spesso terminava con morti e feriti. Lo si fece cessare agli inizi del 1800, modificando caratteri e finalità. La complessità della società veneziana tra diverse identità, affacciate a decine di campielli, di corti, di Chiese e Parrocchie, di Santi, di mestieri, fra classi diverse, fra case diverse, fra provenienze diverse. Fondaci per i Tedeschi, per i Greci, per i Turchi, in un microcosmo fragile unito dalla lingua, dal cibo, dalle tradizioni, dalla fede. Pur se si è sostenuto che sia la più moderna città per il futuro, la sua urbanità a misura d'uomo, la possibile residenza di migliaia di giovani studenti, di grandi e piccole realtà economiche, Venezia potrà dirsi città solo se ritorneranno a viverla nuove famiglie, generazioni che crescono, che si evolvono, che mantengono vivo il linguaggio, le memorie, i bisogni, le tradizioni. Lo osservava qualche anno fa Salvatore Settis sul suo libro "Se Venezia Muore". Non può essere città una somma di cartoline, di fugaci presenze, di appartamenti di transito. Bisogna ricreare veneziani che non vendano l'anima al profitto,  rifacendo norme adeguate che ridiano un volto alla città senza ridurla a vetrina.  Entrando nella Basilica di San Giovanni e Paolo, il Pantheon veneziano, si può cogliere il senso  di un tempo remoto. Venezia non fu solo quella delle commedie goldoniane, o quella degli intrighi di Casanova e nemmeno quella di una città in perenne festa di carnevale. Fu uno "Stato da Mar", per mille anni indipendente, una grande potenza marittima e commerciale. In una parete della basilica si staglia una urna di pietra che raccoglie le spoglie e la pelle di Marcantonio Bragadin, Ammiraglio veneziano e Governatore di Cipro, scuoiato vivo dai turchi dopo l'assedio di Famagosta nel 1571. Reliquia laica di una antica Patria ora perduta. Ma che può sempre essere ritrovata.

martedì 7 maggio 2024

GIACOMO MATTEOTTI E IL POLESINE

 GIACOMO MATTEOTTI E IL POLESINE di Gianfranco Vecchiato

Giacomo Matteotti
A Fratta Polesine, l'architetto Andrea Palladio realizzò attorno al 1563 la celebre Villa Badoer, primo edificio palladiano in cui l'Autore inserì un pronao a colonne con un frontone in facciata. Le forme classiche testimoni di vaste proprietà terriere all'epoca della "Serenissima", sono a Fratta, raccontate da ben 15 diverse Ville, che segnano altrettanti fotogrammi  di un tempo remoto.  Se dal 2009 una barchessa laterale a villa Badoer ospita un museo archeologico nazionale, poco distante un'altra casa raccoglie un Museo etnografico della civiltà e del lavoro e gli strumenti di vita contadina. Qui una meridiana ammonisce: "Transit umbra sed Lux permanet". Ed è la permanenza,  il fattore che è richiamato anche da monumenti e lapidi, a indicare che questo luogo ha un posto di rilievo nella storia del Risorgimento italiano, perchè Fratta fu sede di numerosi "carbonari", tra cui  Antonio Fortunato Oroboni e Giovanni Monti,   arrestati nel novembre 1818 e condannati  poi al carcere. Alcuni nel castello di Lubiana e altri nella fortezza dello Spielberg in Boemia, la stessa in cui fu rinchiuso  Silvio Pellico, l'autore de "Le mie prigioni". Un libro che secondo il cancelliere von Metternich, costò all'Austria più di
Fratta Polesine: Villa Molin o della Carboneria
una battaglia perduta. Il piccolo monumento ai Martiri Carbonari, innalzato nel 1867, l'anno successivo alla annessione del Veneto al regno d'Italia, accoglie i visitatori nel centro di Fratta, testimoniando il sacrificio ideale di tanti giovani patrioti. Furono valori morali e civici a formare anche il giovane Giacomo Matteotti, che qui risiedeva.  Sullo sfondo di un viale alberato sorge la Casa che fu della sua famiglia, oggi Museo. Un miscuglio di sensazioni è quello che prende corpo camminando per le strade pavimentate in porfido e sassi. Da una parte ci sono le testimonianze della vita agra dei contadini e accanto quella dei signori che spesso li sfruttavano. Opere d'Arte e lotte politiche e sociali. E' il paesaggio che domina nel Polesine, con le distese orizzontali di pianura e l'intreccio d'acque, tra canali e fiumi. Qui accanto passa il Po che giunge al suo  delta, attraversando campi coltivati, unendo l'acqua, il cielo e la terra. E' un mondo diverso dall'altro Veneto, denso di strade, di case e di capannoni. Qualche diroccata casa colonica, testimone di un patriarcato familiare oggi scomparso, ricorda l'intensità delle migrazioni e degli abbandoni vissuti da queste terre. 
Villa Badoer 1563
Lo scrittore Nino Savarese (1882/1945) annotò negli anni'30 in  "Cose d'Italia": "... Un vago presentimento del mare è diffuso su tutta la pianura e si palesa sulla traccia di numerosi canali, di numerose paludi, che come aperture di luce marina solcano i campi...". 
Una vista del fiume Po
L'acqua è ancora una protagonista. Due alluvioni sono ricordate, quella più tragica del 1951 e quella disastrosa del 1966. Il 14 novembre 1951 il fiume Po  esondò e sommerse con 8 miliardi di mc d'acqua  metà provincia di Rovigo. Al bilancio di 100 vittime e di 180mila senzatetto si aggiunsero enormi danni alle attività agricole.  Se ne andarono oltre 80mila abitanti, circa il 25% della allora popolazione provinciale. Le cronache del tempo raccontano di scontri politici ed errori tecnici, di inadeguatezza nei soccorsi, di desolazioni intrise di coraggio, di pietà e di solitudini.  
Fratta: Museo vita contadina
Solo dopo cinquant'anni in provincia si ebbe una prima inversione demografica. La meccanizzazione dell'agricoltura, i lavori imponenti di assetto idraulico, lo spirito imprenditoriale, hanno in parte cambiato il vecchio Polesine depresso ed abbandonato, facendone per fertilità il granaio della regione. I problemi sono ancora molti.  E tra questi la risalita del "cuneo salino" dal mare Adriatico lungo il Po, nei periodi di siccità, mette a rischio kmq di zone coltivate: risaie, frutteti e ortaggi. L'altalenarsi di fenomeni ambientali estremi e le modifiche ittiche subite dal grande fiume per la diffusione di nuove specie, fanno del Polesine ancora una terra di frontiera. Lo è stata anche la storia politica e sociale di questa parte d'Italia. Anticamente qui giungevano i confini della Repubblica di Venezia che per alcuni secoli, oltre il Po, si confrontò prima con gli Estensi poi con lo Stato della Chiesa. Ma nella storia politica del Novecento, nel Polesine, come nel vicino Ferrarese, ebbe forza il pensiero socialista.  Giacomo Matteotti, che il 10 Giugno 1924, a  trentanove anni di età, venne rapito a Roma ed ucciso da un manipolo di sicari fascisti, segnò la svolta d'Italia per oltre vent'anni. 
Domenica del Corriere 
Matteotti restò vivo nella storia di quegli anni tormentati e la sua figura risorse nel dopoguerra. Egli conosceva la sua terra e le sue genti,   quando si ammalavano o morivano per la "pellagra", per la tubercolosi, per la povertà e per lo sfruttamento dei contadini. 
Campi di lavanda in Polesine
La  famiglia di Matteotti fu segnata da lutti: la morte del padre morto nel 1902 e di due suoi fratelli, per tisi, tra il 1909 e il 1910.
Fratta Polesine
Intransigente neutralista, si oppose all'intervento in guerra, sia in Libia  e poi nel conflitto del 1914, al punto da attirarsi accuse di simpatie per l'Austria. Si staccarono le sue posizioni da quelle del socialista Benito Mussolini, interventista. In seguito divenuto parlamentare Matteotti, che fu un ottimo oratore,
scelse la via del coraggio, consapevole dei rischi, denunciando le violenze, i soprusi,  i pericoli per la democrazia. Per questo lo ricordiamo insieme alla sua terra richiamata nella mia famiglia dalla vita di mio nonno Rodolfo che ben la conosceva. Simili paesaggi hanno ispirato il parmense Giovannino Guareschi e le storie di "Mondo Piccolo" : "Sull'argine l'erba è alta e piena di fiori rossi, gialli, bianchi, rosa, i fiori dei libri della mia fanciullezza...". Case, luoghi, tempi e persone, serrati nell'impasto che spesso modella la storia degli uomini e dei popoli.