giovedì 9 luglio 2020

TRIBUTO A RAFFAELLO

TRIBUTO A RAFFAELLO                 di Gianfranco Vecchiato

Raffaello Sanzio
Autoritratto

La vera forza di un popolo sta nella sua Cultura che rappresenta un bene universale che circola nelle vene della Storia e che attraversa il tempo di ogni generazione. Confrontando questa qualità presente nelle tradizioni popolari e nelle opere dei grandi artisti, vediamo come ciò  abbia segnato le peculiarità dei territori, delle città, delle popolazioni.  Possiamo quindi  immaginare quale potrà essere il futuro di una Nazione solo se ne preserveremo nel tempo i caratteri.  

Raffaello con un amico 1520
L'Italia ha una storia antica e da diversi secoli si trova impegnata in una difficile battaglia per salvaguardare la sua identità ed il suo patrimonio culturale. Gli esiti di tale perenne scontro sono rimasti a lungo incerti e occorre ricordare, a tal proposito, un episodio storico che riguarda un grande italiano: Raffaello Sanzio di cui quest'anno ricorrono i 500 anni dalla morte. Agli inizi del XVI° secolo il fiorire del Rinascimento portò artisti di straordinario talento a cimentarsi in qualità e grandezza  nella pittura, scultura e  architettura. Diversi luoghi lungo la Penisola ne serbano tracce profonde. Nella Roma di Papa Giulio II°, il papa guerriero, e di Leone X°,  sorsero e si ampliarono  magnifiche residenze nobiliari a cui lavorarono  artisti  al servizio delle più potenti famiglie dell'epoca quali i Barberini, i Colonna, gli Orsini, i Borghese, i Chigi, e diversi altri. Una diffusa e colpevole indifferenza per la conservazione  di  antiche rovine, portava a prelevare dai monumenti superstiti,  statue, colonne, marmi, mattoni  per farne  calce e materiali da  utilizzare nelle costruzioni di case e di chiese. Le grandi famiglie non temevano divieti ma lo scandalo degli eccessi che durò a lungo giunse all'apice nel corso del XVII° secolo con la famiglia dei Barberini, tanto che si diffuse tra il popolo il motto: "a Roma più dei barbari fecero i Barberini".
Se una grande quantità di reperti andò perduta, in altri casi essi trovarono nuova vita  tra i saloni e le facciate dei palazzi, nei giardini, nelle fontane, nelle piazze, nelle Basiliche dove si mescolarono con opere d'arte dei più noti artisti dell'epoca. 
Roma - Pantheon : Tomba di Raffaello
Il nostro Paese è stato per centinaia di anni  uno scrigno depredato non solo da eserciti stranieri ma anche da chi se ne servì per  le necessità quotidiane. L'ignoranza che attraversò molte generazioni, segno di decadenza,  si stemperò molto avanti nel tempo con la formazione di una coscienza  nazionale che portò solo nel 1909 con la legge n.364, al vincolo di alcuni beni immobili da parte dello Stato.  Il fatto che tali reperti e testimonianze rappresentino una sorta di DNA collettivo, è una idea moderna giunta con grande ritardo e fatica e che ancora oggi non viene pienamente condivisa.   Secoli fa,  dato che quasi nessuno se ne scandalizzava, nè esisteva una "pubblica opinione" in grado di esercitare un qualche controllo istituzionale, la consapevolezza di ciò che non poteva essere perduto fu nelle mani e nelle menti di pochi. Agli inizi del 1500 questo tema angustiava persone colte come Raffaello Sanzio, celebrato ed ammirato anche  dai suoi contemporanei. Avendo ricevuto l'incarico da Papa
Roma : Il Pantheon
Leone X°, suo mecenate,   di registrare i marmi antichi sparsi per Roma allo scopo di servirsene per la grande costruzione della Basilica di San Pietro,   nell'esaminare e studiare quelle strutture, servendosi di rilievi accurati e sistematici, Egli sentì crescere  la sua ammirazione per la antica cultura classica e  anche la necessità di misurarsi con essa per elevarsi a "paragone de li antichi". Per Raffaello questo divenne allora un fattore ed una condizione  intellettuale di somma importanza e precorrendo di alcuni secoli ciò che sarebbe avvenuto con maggior vigore tra Settecento ed Ottocento, si battè perchè  non si distruggessero le testimonianze del passato. In una lettera del 1519, scritta al Pontefice, espresse il suo dolore per la condizione in cui versavano quei monumenti, chiedendo che venissero preservati sia a futura memoria che a maggior insegnamento. Fu per questo  un antesignano contestatore di quella che noi chiameremmo  la "speculazione
 
edilizia" della sua epoca, sapendo scindere il proprio interesse personale da quello per una Etica superiore emanato dalla Storia.  I tempi dei viaggiatori  intellettuali romantici e crepuscolari  che sarebbero scesi nel Mediterraneo per capire e apprendere le fonti della classicità  greca e romana erano ancora lontani.  Dopo che nel 1748 sotto Carlo III di Spagna e poi dei re Borbone si iniziarono gli scavi sistematici di Ercolano e di Pompei si ebbe  una prima evoluzione formativa nel campo della archeologia. Ma Raffaello fu un precursore anche in pittura. Nei suoi soggetti religiosi, nel volto delle sue Madonne dipinte,   rappresentò immagini  di modelle di una raffinata laicità borghese.  Cercò in questo modo di superare la precedente ortodossia e la sua pittura divenne la guida delle Accademie artistiche che si ispirarono per secoli alla sua scuola.  
Raffaello osò  poi rivolgere lo sguardo verso lo Spirito e nel suo grande affresco dedicato alla "Scuola di Atene" la pittura racconta, con un singolo "fotogramma", come  la ricerca della Verità avvenga 
La Scuola di Atene (1509/1511)
attraverso la Scienza e la Filosofia, che integrano la Fede. Tra le idee espresse nel Rinascimento molti di noi  contemporanei sentono che oggi c'è qualcosa che non siamo più in grado di rappresentare. Pare che il cammino tra il tempo e la storia si sia interrotto  con quella creatività feconda  che ha lasciato a noi la consapevolezza  del  limite. Oggi  ci siamo come perduti tra la tecnologia, la globalizzazione, le pulsioni esoteriche e grandi idealità smarrite nella ricerca. Scrisse Marcel Proust: "Noi non cesseremo l'esplorazione. E la fine di tutte le nostre ricerche sarà di giungere là dove siamo partiti e conoscere il luogo per la prima volta".

Particolare da La scuola di Atene

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