Quando muore una città? A questa domanda rispondeva qualche anno fa nel suo libro, "Se Venezia muore", Salvatore Settis: "...Una città muore quando gli abitanti perdono la memoria di sè e senza accorgersene divengono stranieri e nemici di se stessi. L'anima delle città non è data solo da quella dei suoi abitanti ma da una tessitura di storie e di racconti, di memorie e di principi, di linguaggi e desideri, di progetti e di istituzioni che ne determinano le sue forme attuali e che guideranno il suo sviluppo futuro". La "Memoria" non è quindi un fattore secondario che interessa medici e psicologi ma è un collante essenziale per tenere insieme il passato ed il futuro e per trasmettere alle relazioni quotidiane, ai progetti, alle forme ed alle visioni del mondo, un equilibrio dinamico dove l'innestarsi di nuove forme di pensiero e di architettura, possano innestarsi con armonia in quelle precedenti.
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Mestre (Venezia) Angolo piazzetta 22 Marzo 1848 |
Questo ragionamento non è astratto ma di natura "politica e sociale" dato che per aggregare e ricomporre relazioni è utile e forse necessario non spezzare in maniera traumatica il cordone ombelicale con i tempi che hanno generato forme e caratteri di un luogo. Si tratta di considerazioni sulle quali dovrebbero convergere quanti hanno responsabilità amministrative, economiche e culturali. Tra questi gli architetti e i costruttori che non dovrebbero farsi guidare dal solo profitto o dall'ego personale inserendo forme e volumi che paiono a volte incongrue escrescenze, avulse dai contesti.
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Murale proposto dall'Autore in ricordo dei Moti del 1848 (da quadro di E.Paggiaro) |
In realtà essendo noto che la resistenza culturale proviene dalla coscienza e consapevolezza della somma di tanti singoli individui, per far decollare certe operazioni immobiliari, si è proceduto quasi sempre prima contrapponendo opposti interessi, isolando i contestatori, poi eliminandone la memoria, togliendo i legami col passato, in modo da non essere frenati dal procedere con mutamenti
urbanistici radicali che non conservavano quasi niente. Nel libro ci sono diverse fondamentali riflessioni , come ad esempio quella di ritenere che "pensare la città " sia anche un fattore di qualità della democrazia e della politica. Occorre perciò conoscere il presente ed avere lo sguardo lungo sul futuro e sul passato". Serve a questo scopo un minore individualismo e una maggiore consapevolezza nel sostenere la funzione sociale del proprio mestiere, dato che gli individui e le città, sono il risultato di ciò che siamo stati e dei valori che abbiamo ereditato. Perciò quando da tempo propongo un progetto per "seminare" di racconti e di memorie, con l'arte muraria, diverse pareti che si affacciano su strade e su case divenute anonime ed estranee alla storia che le ha generate, lo faccio per contrastare l'oblio, per rispettare il passato, per testimoniare in qualche modo l'importanza della storia che ci ha preceduto, anche se non l'abbiamo personalmente attraversata. I regolamenti nei Piani urbanistici che contenessero tali considerazioni, dovrebbero conciliare le proposte di dotare di strumenti più efficaci i progettisti, dando forza agli storici, maggiore qualità alla pianificazione, modificando i parametri di riferimento economico e immobiliare basandosi non sul valore speculativo e della quantità dei volumi, ma sul grado di valore che ogni operazione aggiungerebbe all'interesse collettivo nel rafforzare e generare sviluppo armonico dato da nuovi rami entro cui scorre la linfa che proviene dalla solidità del tronco e delle radici del pensiero. Si tratta di materia viva, con strade, case, piazze, prospettive, in continua evoluzione, si mescolano con le nostre diversità. Il pensiero va alle devastazioni della guerra e di come saranno ricostruite in Ucraina, in un tempo speriamo prossimo, le città distrutte dai bombardamenti se non attingendo dalla loro storia e cultura.
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Paesaggio veneto (foto dell'autore) |
E' avvenuto dopo le due guerre mondiali nel Novecento che in ogni Nazione siano stati riproposti dei simboli collettivi dopo la loro distruzione perchè essi contenevano l'anima stratificata di generazioni. In questi casi valgono non solo le idee dei progettisti, architetto o ingegnere, ma quelle degli storici, del sociologi, degli economisti e degli uomini senza blasoni, perchè l'affresco complesso che si pone ai nostri occhi è continuamente mutevole nelle forme e nei caratteri ma costante nella sua morale. Le città e noi stessi non moriamo mai del tutto finchè resta memoria e traccia del nostro passaggio.
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