Nel
1949 con i fondi del “Piano Marshall” si diede inizio alla
costruzione di alloggi popolari, INA-Casa. Il “Piano Fanfani”,
che ebbe una organica visione urbanistica, consentì in 14 anni la
costruzione di 350mila alloggi, dando lavoro ad oltre 600mila
persone. Quella iniziativa viene ancora citata per il contributo
nelle priorità date alla rinascita italiana del dopoguerra.
L’epidemia che ha costretto ai domiciliari milioni di persone,
porta profonde difficoltà all’intero sistema economico e sociale.
Questo fatto ha messo in evidenza le virtù e le fragilità delle strutture private e collettive e l’esigenza di ripensare alcuni modelli culturali.
E’ un nuovo dopoguerra quello che ci attende e il ricordo del passato torna per misurarsi con il presente.
Nel nostro territorio vi è sempre stato uno stretto legame tra economia urbana e struttura sociale e questo risulta dai numeri che periodicamente venivano censiti dal Coses. Se da un lato la crescita esponenziale del turismo ha trasformato l’uso residenziale di migliaia di abitazioni dall’altro la popolazione è in calo demografico frenata solo da un parziale saldo migratorio. L’età media è di circa 48 anni, al 2229° posto (su 7914 comuni).
C’è una alta densità abitativa distribuita in 123.779 abitazioni dove vivono 129.324 famiglie, spesso formate da 1 o 2 persone. Da noi la media dei figli per famiglia è di 0,90, mentre quella nazionale, già scarsa, è di 1,32. La superficie media delle abitazioni nel Comune di Venezia, nei dati del 2001, era di circa 87,70 mq rispetto ai 132 mq del Veneto. Il 69% dei veneziani vive in case di proprietà e il restante è in affitto, come nella media nazionale.
La qualità della
vita ci colloca un poco sotto alla metà tra le provincie italiane.
Dato che il patrimonio edilizio è stato per l’80% costruito prima
del 1990 e che ha elevati consumi energivori, andrebbe riconvertito,
ristrutturato e trasformato. Alla crisi economica che sta calando su
tutta la filiera produttiva e su quella turistico-ricettiva,
occorrerebbe, rispondere con grandi piani di riconversione verso
modelli compatibili tecnologicamente con l’ambiente. Considerando
che nell’indebitata Italia è assai diffusa la proprietà
immobiliare, mentre nella più ricca Germania questa si ferma al
51,4%, è stato osservato che questa ricchezza patrimoniale degli
italiani ha fin qui consentito di garantire al debito pubblico la solvibilità del Paese.
L’Italia, secondo dati Eurostat, si pone al 9° posto sui 28 Paesi UE nella classifica del maggior disagio abitativo. In queste settimane la qualità della vita delle famiglie è stata testata dentro alle proprie case. Diversi saranno rimasti insoddisfatti avendo dovuto vivere per lungo tempo in un contesto di scarsa privacy, in assenza di spazi in cui rilassarsi, di stanze in cui studiare e vivere o in contesti sociali dove questa situazione di isolamento si è esasperata. Accessi facili ai servizi, ai negozi, ad attività collettive e scolastiche, non sono gli unici schemi dove vivere meglio ma occorre che vi siano relazioni condivise che aiutano alla socializzazione ed alla solidarietà. Sono complessi temi da affrontare non estranei all’architettura che non è solo dettata da regole estetiche o tecnologiche.
E’ un nuovo dopoguerra quello che ci attende e il ricordo del passato torna per misurarsi con il presente.
Nel nostro territorio vi è sempre stato uno stretto legame tra economia urbana e struttura sociale e questo risulta dai numeri che periodicamente venivano censiti dal Coses. Se da un lato la crescita esponenziale del turismo ha trasformato l’uso residenziale di migliaia di abitazioni dall’altro la popolazione è in calo demografico frenata solo da un parziale saldo migratorio. L’età media è di circa 48 anni, al 2229° posto (su 7914 comuni).
C’è una alta densità abitativa distribuita in 123.779 abitazioni dove vivono 129.324 famiglie, spesso formate da 1 o 2 persone. Da noi la media dei figli per famiglia è di 0,90, mentre quella nazionale, già scarsa, è di 1,32. La superficie media delle abitazioni nel Comune di Venezia, nei dati del 2001, era di circa 87,70 mq rispetto ai 132 mq del Veneto. Il 69% dei veneziani vive in case di proprietà e il restante è in affitto, come nella media nazionale.
Villaggio S.Marco Mestre1958 Arch.Samonà-Piccinato |
Schema urbano del Villaggio S.Marco |
L’Italia, secondo dati Eurostat, si pone al 9° posto sui 28 Paesi UE nella classifica del maggior disagio abitativo. In queste settimane la qualità della vita delle famiglie è stata testata dentro alle proprie case. Diversi saranno rimasti insoddisfatti avendo dovuto vivere per lungo tempo in un contesto di scarsa privacy, in assenza di spazi in cui rilassarsi, di stanze in cui studiare e vivere o in contesti sociali dove questa situazione di isolamento si è esasperata. Accessi facili ai servizi, ai negozi, ad attività collettive e scolastiche, non sono gli unici schemi dove vivere meglio ma occorre che vi siano relazioni condivise che aiutano alla socializzazione ed alla solidarietà. Sono complessi temi da affrontare non estranei all’architettura che non è solo dettata da regole estetiche o tecnologiche.
Nel nostro Comune la presenza di
migliaia di studenti universitari, un tempo diffusi nel tessuto economico di Venezia ed espulsi dal mercato degli affitti per far posto al turismo, potrebbe trasformare la crisi prodottasi nel sistema urbano nella opportunità di invertire la tendenza riordinando una lunga lista di settori in crisi: il commercio di vicinato, negozi e botteghe artigiane, recupero di mestieri abbandonati, rinascita di un tessuto connettivo necessario alla residenza e che sospinga la qualità della vita di relazioni.
La storia delle città
dovrebbe condizionare le scelte di sviluppo, e tendere all'equilibrio tra i
contrasti che solo un virus improvviso ha interrotto nelle sue esasperazioni quasi ad
ammonire i contemporanei sul come guardare al futuro. La mobilità,
la qualità e la quantità di luoghi collettivi, sono strumenti di
crescita perché la solidarietà partecipativa, consente le
condivisioni nelle difficoltà. Questi ed altri elementi utili e
necessari per affrontare i cambiamenti possono ricordare l’antico
motto latino di Seneca, “Festina lente” (affrettati lentamente).
Esso è stato evocato in queste settimane di dolorosi isolamenti,
come una utile necessità di ripensare alle priorità e alle nostre
visioni di vita, come un valore che era stato dimenticato nel
passaggio tra generazioni.
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