Per
ogni storia c’è una controstoria e come sosteneva Bruno Zevi
nei suoi scritti “Saper vedere l’Architettura e l’Urbanistica”,
la realtà va letta ed interpretata con la conoscenza e lo spirito
critico. Si
tratta di strumenti che si formano e si rafforzano nella libertà di
pensiero, fondato sulla morale personale e sull’etica collettiva. Kant
oltre due secoli fa sosteneva “il cielo stellato sopra di me e la
legge morale dentro di me.” Molti temi cristiani e laici sono nati nelle agorà dell’antica
Grecia, alle cui radici si è ispirata anche la storia millenaria di
Venezia. La cultura contemporanea, influenzata dai “media” e dalla
“globalizzazione”, ha creato relazioni, strumenti di progresso
tecnico e scientifico, sviluppato processi tumultuosi e spesso scardinato
il DNA dei centri storici.
Si deve allora prendere atto che vi sono
proposte e progetti fra loro incompatibili e che tra le fratture del
corpo sociale, se la politica si smarrisce è perchè riflette il peso di
interessi contrastanti. E
dunque fino a che punto le idee diverse sono mediabili per non
rimanere sterili enunciati? Il
rischio è che gli obiettivi divengano di corto respiro perché
funzionali ai tempi brevi di ogni quinquennio amministrativo. E in certi luoghi, come a Venezia, non si può avere una visione corta ma occorre trasformarla in una lunga prospettiva. In questi decenni le mediazioni e i conflitti giuridici, le tante contese, indebolendo le scelte più incisive, rinviate ad un indistinto
futuro, sono rispuntate e si sono poi ridotte a slogan svuotati di
efficacia. Questo Arcipelago urbano è fatto di complessità segnate dalla natura, dal tempo e dalla storia.
Ed ora dal virus. Il bene
comune e quello dei singoli occorre che camminino per quanto possibile insieme.
Forse esiste un universo parallelo, come nei quadri di Ludovico De Luigi, che carica i recenti fatti di presagi e di parole che continuiamo a ignorare. Mi torna alla mente il nome di Riccardo Pazzaglia che fu uno scrittore, attore e regista, divenuto noto per il programma televisivo "Quelli della notte" e che poneva agli ascoltatori le sue filosofie sui massimi sistemi, dando risposte in apparenza surreali e sconclusionate. Spiegava Pazzaglia, una teoria su ciò che chiamava il “brodo primordiale” in cui dal caos si generò l’Universo. In quel “brodo” rimasero scorie che resero imperfetto il mondo. Pertanto le idee e le relazioni, difficilmente colgono gli obiettivi perché nel miscuglio la storia passata e quella presente, le persone note e anonime, gli opposti interessi, i difetti e le virtù formano reti che ogni giorno si combinano casualmente nella vita dei territori. Pazzaglia si poneva domande fondamentali e poi dava risposte spiazzanti: “Siamo soli nell’Universo? Speriamo di sì ! ”, “L’anima è immortale? E con ciò?...” Lui sapeva, da consumato attore, che spesso l’importante è porre il quesito, tanto la risposta vera non la possiede nessuno.
Forse esiste un universo parallelo, come nei quadri di Ludovico De Luigi, che carica i recenti fatti di presagi e di parole che continuiamo a ignorare. Mi torna alla mente il nome di Riccardo Pazzaglia che fu uno scrittore, attore e regista, divenuto noto per il programma televisivo "Quelli della notte" e che poneva agli ascoltatori le sue filosofie sui massimi sistemi, dando risposte in apparenza surreali e sconclusionate. Spiegava Pazzaglia, una teoria su ciò che chiamava il “brodo primordiale” in cui dal caos si generò l’Universo. In quel “brodo” rimasero scorie che resero imperfetto il mondo. Pertanto le idee e le relazioni, difficilmente colgono gli obiettivi perché nel miscuglio la storia passata e quella presente, le persone note e anonime, gli opposti interessi, i difetti e le virtù formano reti che ogni giorno si combinano casualmente nella vita dei territori. Pazzaglia si poneva domande fondamentali e poi dava risposte spiazzanti: “Siamo soli nell’Universo? Speriamo di sì ! ”, “L’anima è immortale? E con ciò?...” Lui sapeva, da consumato attore, che spesso l’importante è porre il quesito, tanto la risposta vera non la possiede nessuno.
Anche
a Venezia, abbiamo assistito ad atteggiamenti di tale genere. Su queste cose ragionò anche Voltaire, che nel periodo
illuminista discusse con Leibniz su quale fosse il migliore dei mondi
possibili: " Il problema del bene e del male resta, per coloro che cercano in buona fede di chiarirlo, un caos insondabile; per coloro che amano disputare è un gioco intellettuale: sono dei forzati che giocano con le loro catene.
Quanto alle persone del volgo, che non pensano, esse sono abbastanza simili a quei pesci che vengon fatti passare da un fiume in un vivaio: non sospettano di trovarsi là soltanto per essere mangiati in quaresima. Così noi, con le nostre sole forze, nulla sappiamo intorno alle cause del nostro destino.
Mettiamo dunque alla fine di quasi tutti i capitoli della nostra metafisica le due lettere dei giudici romani, quando non riuscivano a intendere una causa: N.L. "non liquet", la cosa non è chiara".
Quanto alle persone del volgo, che non pensano, esse sono abbastanza simili a quei pesci che vengon fatti passare da un fiume in un vivaio: non sospettano di trovarsi là soltanto per essere mangiati in quaresima. Così noi, con le nostre sole forze, nulla sappiamo intorno alle cause del nostro destino.
Mettiamo dunque alla fine di quasi tutti i capitoli della nostra metafisica le due lettere dei giudici romani, quando non riuscivano a intendere una causa: N.L. "non liquet", la cosa non è chiara".
L’importante pare insegnarci questa filosofia illuminista, è restare dentro al
“canale della storia” capace di intercettarne i respiri più
profondi. Il
passato infatti non è dietro di noi. Esso ci guarda e ci insegue. E a
volte forse ci tormenta.
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