lunedì 17 ottobre 2016

CREATIVITA'

CREATIVITA'      di  Gianfranco Vecchiato

Architetto Giuseppe Gambirasio (1930/2016)
La notizia è giunta dal giornale. E' morto a 86 anni l'architetto e urbanista bergamasco Giuseppe Gambirasio. Professore all'Università di Architettura di Venezia, fu con Lui che in anni lontani preparai la mia Tesi di laurea. Ne ho sempre serbato un grato ricordo. Aperto e antiaccademico, aveva un rapporto diretto e semplice con gli studenti dai quali si lasciava dare del "Tu".  D'altra parte Gambirasio si nutriva di quel  legame culturale che per secoli ha unito Bergamo,  alla antica Venezia lasciando tracce profonde nei rapporti tra le due città. Egli trasse dall'urbanistica e dall'architettura le tensioni sociali e le passioni civili, unendole alla teoria ed alla buona pratica professionale. Le sue attitudini alla sperimentazione ed all'analisi si formarono nell'Università di Architettura di Venezia dove anch'egli si laureò e
Bergamo: Villa bifamiliare 1999
da Maestri come gli architetti Albini e Gardella, tra i migliori che ebbe  quella Scuola, anch'essi di

Torre residenziale
origine lombarda. Tra i tanti riconoscimenti ebbe nel 1989 il premio nazionale IN-ARCH e nel 1991 quello della Associazione Nazionale dei Centri Storici Artistici. Il suo impegno nella pianificazione, lo portò alla sintesi tra l'analisi morfologica dei territori e la  progettazione architettonica che riteneva dovesse essere rispettosa dei luoghi ma innovativa nelle forme e nell'uso dei materiali. Dichiarò: "insegnare è una presunzione di essere utili..." E quanto a questo, Gambirasio ha formato nella utilità e concretezza  migliaia di studenti fin dal 1958 quando iniziò  ad insegnare fin dall'anno successivo alla sua laurea. In una intervista ricordò di aver trascorso un periodo in Finlandia con Alvar Aalto,  dal quale apprese che tra gli ingredienti che costituiscono un progetto, è sufficiente un lievito del 5% di creatività, per dare il carattere al restante 95%  che deve essere fatto dalla inventiva, dalla esperienza e dalle conoscenze tecniche. Nelle sue architetture,
Palazzo Duse
Bergamo Piazza dei Mille
Gambirasio aveva il gusto dell'innovatore e del rivoluzionario gentile. A volte dissacrando delle ovvietà edilizie e costruttive per approdare al nuovo. Quindi le dissonanze dei volumi, i rapporti di luce, la scelta dei materiali, cogliendo gli insegnamenti di Carlo Scarpa, 

Convento di S.Antonio (BG)
fecero la loro comparsa nei suoi progetti. Così fu nel 1969 per il palazzo multifunzionale a Piazza dei Mille a Bergamo, denominato "Duse" dal nome del preesistente Teatro. E' un fabbricato concepito con ironia per sfuggire al monumentalismo circostante, che ha piani sovrapposti e sfalsati che si compenetrano  dal piano terra fino in copertura tra
Arch. Gambirasio e Zanoni
Quartiere via Carducci a Bergamo 1976/79
volumi e diversi spazi abitativi: uffici, residenza, garage, negozi. Seguendo questo pensiero dall'uso pubblico dei percorsi a terra, mano a mano che si  saliva  si incastonavano gli ambiti privati. In questa costruzione, tutt'ora originale nel panorama del centro di Bergamo, si compone anche spazialmente una utopia ed una immagine eclettica  di architettura. Un altro progetto sempre a Bergamo, che fece discutere fu il Convento di S.Antonio, nella cui Chiesa   sono stati celebrati i suoi funerali. E' uno spazio sacro strutturato diversamente dai luoghi di culto del passato, tale da confondersi nel profilo quasi ad una fabbrica, dentro un contesto popolare e di periferia.

In questo caso concepì gli spazi interni, secondo i dettami delle nuove idee del Concilio Ecumenico che univano l'assemblea attorno al celebrante.  Rimanendo in attività fino all'ultimo, i suoi lavori  hanno avuto delle successive genesi temporali che compaiono in  opere residenziali in progressiva evoluzione sempre attenta ai contesti.  Si è cimentato nel 2009 con la costruzione dell'Urban Center di Bergamo  e nel 21010 nel recupero dei borghi antichi ad Aviatico.   Così come sono degni di nota  il  progetto del  "Triangolo" e delle Terrazze fiorite. Ha lasciato lavori anche a Venezia dove con altri ha progettato il riuso dell'ex Birreria Dreher. Aveva
Palazzo Duse
l'attitudine ad una finezza intellettuale sempre più rara in architettura. La si coglie nei suoi lavori, seminati da un pensiero creativo che ha segnato qualche territorio. Si conferma in tal modo, anche ai nostri giorni,  che all'attenzione ed alla cura del particolare si giunge per strati mentali, con l'autonomia delle idee e con la forza delle esperienze . Incontrando un'architettura lo spazio che la circonda acquista un valore e una dimensione. Forse da questo nasce l'illusione  che  ogni Autore approdi nell'Olimpo dove dimorano le Idee. I creativi risiedono  anche dopo la morte nei luoghi da loro modificati. Sono quelli nei quali ora immagino riposi "Peppino". Lo ricordano i suoi ex allievi, grati e consapevoli dei pensieri da Lui trasferitisi oltre il suo ed il nostro tempo. 




Tra urbanistica e architettura: case sulla collina



Venezia: Ex Birreria Dreher
Recupero  uso residenziale
1980/1990

mercoledì 5 ottobre 2016

IL FONDACO

   IL FONDACO         di  Gianfranco Vecchiato

Venezia:
Il Canal Grande visto dalla terrazza del Fontego
Estranei a Venezia e contro i suoi interessi.  Così appaiono a molti degli abitanti rimasti, gli oltre 30 milioni di turisti in transito che ogni anno crescono di numero, consumano le pietre, spingono all'esodo i residenti e  portano alla mercificazione tutto ciò che si può convertire in occasioni di profitto. Ma anche se l'anima di molti veneziani è stata comprata, qualcuno si ribella,  manifestando per la qualità della vita, per la dignità della storia, per la natura delle relazioni personali. Per i monumenti c'è una stretta simbiosi di destini.  Sigmund Freud che aveva studiato le relazioni tra psiche ed ambiente, riteneva che la malinconia si generava come conseguenza della privazione di un bene amato. Nel caso della perdita del valore identitario di un oggetto architettonico si tende istintivamente al suo ritrovamento con la sua ricostruzione del dov'era e com'era.  
Fontego dei Tedeschi: vista dalla terrazza
A Venezia ciò è avvenuto con la ricostruzione del campanile di San Marco dopo il crollo del 1902.  Si è discusso di questo anche per l'edificio che fu il Fondaco dei Tedeschi, ora riaperto ad uso commerciale come un grande magazzino del lusso.  Già antica sede dei mercanti di Norimberga, Augusta e Judenburg, il fabbricato  fu il terzo per imponenza a Venezia, dopo il Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco. Concepito nel XII° secolo, venne distrutto da un incendio nel gennaio del 1505 e ricostruito rapidamente nel 1508 secondo i principi classici e vitruviani, dall'architetto Girolamo Tedesco con l'aggiunta di affreschi, su alcune pareti, dei Maestri pittori Giorgione e Tiziano Vecellio. 
Un crogiolo di lingue, di persone, di interessi, si muovevano allora tra le calli, tra i canali e le isole. Solcando i mari o attraverso le strade, su Venezia convergevano mercanti attratti da un magnete di straordinaria vivacità urbana, sociale ed economica. L'edificio fu  un simbolo della città antica, un punto culturale ed economico collocato in una zona strategica, tra il ponte di Rialto e il Canal Grande.
I tre livelli di portici prospettanti su una corta quadrata interna e a cielo aperto, contenevano magazzini, sedi di rappresentanza e di lavoro. Caduta nel 1797 la Repubblica, le sue funzioni decaddero e l'edificio deperì. Gli interni subirono pesanti modifiche strutturali con opere in cemento armato nei restauri che negli anni '30 del '900 lo adibirono a sede di uffici e servizi postali. Poi in anni recenti la svolta. La Società Benetton, già attiva in città, acquistò lo stabile dal Demanio e stipulò una convenzione con il Comune, che tolse i vincoli urbanistici all'uso pubblico. Mise mano ad un progetto di recupero per finalità commerciali, superando  i ricorsi amministrativi  fatti da  associazioni veneziane per l'assenza di specifici usi pubblici.

Ingresso del Fontego
La gestione commerciale fu quindi acquisita dalla catena DFS, tra le più note al mondo nel settore del lusso quali la gioielleria, la profumeria, le calzature, gli orologi, i vini e liquori ed altri prodotti suddivisi in 700 marchi. Il progetto di restauro e di recupero, dopo una selezione privata, venne dai Benetton affidato all'architetto olandese Rem Koolhaas che per un  periodo fu anche Direttore della Biennale Architettura di Venezia. In quella decisione alcuni videro già dei metodi progettuali al restauro che sarebbe stato fatto, date le note opinioni di Koolhaas sulla autonomia dell'architettura contemporanea nel rapporto con il passato e nei centri storici. Infatti le prime scelte rese note del suo progetto,  proponevano scale mobili di colore rosso, fluttuanti sullo spazio del cortile interno, dove prospettano i tre ordini di portici  e la creazione di un quarto livello sotto la copertura, con un lucernario, dove si proponeva  un ristorante e bar con accesso su una ampia terrazza panoramica in copertura. Si sollevarono polemiche  anche verso la Soprintendenza
che normalmente è assai rigida nel  prescrivere limiti nei restauri di ben più modesta consistenza. Alcuni
Interni del Fontego
architetti restauratori veneziani, esposero pubblicamente con
 osservazioni  documentate  e competenti, delle osservazioni a Koolhaas che ritenne di assumere un atteggiamento riflessivo, pur ribadendo le sue opinioni. La Soprintendenza limò quindi l'estensione della terrazza in copertura ma non la vietò; non accolse il progetto delle scale mobili fluttuanti ma le consentì in parte mascherate tra le colonne interne; non accolse la proposta del ristorante e del bar al quarto livello che si allargò in sala conferenze e per mostre e vietò l'esposizione di sedie o tavoli sulla terrazza panoramica. Altre critiche sono piovute sul
Gente in fila per andare sulla terrazza
materiale usato per le finestre che è assai simile all'alluminio anodizzato  di colore bronzo, che è vietato dalla Soprintendenza per gli edifici nel centro storico. E anche sui proprietari del Fontego, i Benetton, che sono Imprenditori tra i più noti al mondo nel campo dell'abbigliamento, sono piovute  diverse osservazioni. Alcuni hanno ricordato gli esiti di loro operazioni finanziarie a Venezia : dall'acquisto all'eliminazione dell'ex Cinema San Marco, dalla cancellazione del Teatro del Ridotto allo sfratto della libreria Mondadori, dai lavori di pesante restauro per il loro  negozio a San Salvador e per  operazioni finanziarie sulla Stazione  di Santa Lucia.

Ipotesi scale mobili scartata
Le scale mobili rosse
Ma dopo tante polemiche il 1 Ottobre scorso il soprannominato "T Fontego", è stato aperto al pubblico. Occorre dire che le reazioni popolari sono state perlopiù positive. L'edificio è tornato all'esterno a nuova vita. Il pubblico è stato affascinato dalla bellezza delle merci esposte, dalla illuminazione, dall'impatto visivo della struttura e soprattutto dalla vista di Venezia dalla terrazza, che può accogliere fino ad 80 persone,  che vengono controllate a rotazione ogni 30 minuti. Il restauro ha riportato le  attività commerciali e non ha trasformato l'edificio nell'ennesimo albergo. Poteva essere diverso in questa fase storica e in questa società dei consumi? Cosa e come  avrebbe operato un architetto-artista come Carlo Scarpa, al posto di Koolhaas? Come avrebbe risolto il tema dei particolari, delle esposizioni, delle balaustre, dei colori, delle luci ? E'  possibile immaginare che avrebbe operato così come fece con il Negozio Olivetti od alla Querini.  E che gli arredi espositivi sarebbero stati pensati come un "format" esclusivo e coerente. Inoltre Scarpa è molto probabile che non avrebbe utilizzato quel materiale per i serramenti, né inserito quegli elementi ad "U" rovesciato lungo i corridoi e tra le colonne. Le lezioni di Scarpa si sono perse da tempo a Venezia, purtroppo,  mentre alla progressiva espulsione di residenze si sono aggiunte opere contrastanti  come è avvenuto per il "Cubo" dell'Hotel Santa Chiara di piazzale Roma.  Dallo scrittore e sceneggiatore americano Stephen King, viene un pensiero che può essere un obiettivo per il futuro:  
Antico Fontego
"Niente è perduto per sempre. Niente che non possa essere ritrovato". Sono entrato con questi pensieri nel cortile del Fontego del centro commerciale. Guardando le luci,  i portici e  cercando di immaginare cosa qui avvenisse secoli fa. I pensieri per quegli uomini lontani, le cui voci sono imprigionate nelle pietre, non vengono suggeriti dalla esposizione tra scaffali, vetrine e oggettistica. Quel racconto straordinario che è anche il valore del Fontego, avrebbe potuto essere riproposto da immagini e suoni in qualche zona del cortile interno , suggerendo un legame, una evocazione dello "spirito" con il suo passato. Il visitatore, che è un potenziale cliente, viene  invece avvolto soprattutto dal ridondante presente. Non è sufficiente che su alcune pareti sia stata lasciata visibile qualche traccia di antico graffito e alcuni segni delle sue tormentate trasformazioni con travi di cemento. 

Architetto Rem Koolhaas
Occorre segnalare che il pubblico, anche quelli che non acquistano nulla, hanno libero accesso in copertura. La terrazza è l'elemento più sorprendente del progetto La scena non è più il Fontego ma la città di Venezia vista dall'alto.  Nel mio caso l'ho contemplata nel momento più magico: quello del tramonto. Una bellezza commovente, nel silenzio ammirato di persone di tutte le lingue e continenti, che stavano assieme su quel palcoscenico naturale.  Ad un certo punto le campane di diverse chiese hanno iniziato a suonare nell'ora del Vespro. Dopo quelle sensazioni sono ridisceso ed ho fotografato il vecchio ingresso con la scritta "Poste e Telecomunicazioni" .  Di strada nel tempo, questo edificio ne ha fatta tanta. E 
su quella terrazza  Rem Koolhaas è stato assolto. Per la suggestione e la vista sulla città.




Il Fontego a fine '800