mercoledì 21 ottobre 2020

L'ESTRO ARMONICO

 L'ESTRO ARMONICO            di  Gianfranco Vecchiato


L'
      Enzo Mari: Vaso Pago-Pago 1969
estro armonico è il nome con il quale Antonio Vivaldi raccolse dodici suoi celebri concerti. E il musicista spiegava che in quelle sue opere aveva cercato la sintesi fra due  opposte pulsioni: la fantasia o estro che tende a esprimersi liberamente, senza vincoli e l'armonia che invece  costringe e conduce a seguire regole precise. In questo stesso modo si possono considerare le opere e la vita di due artisti che furono anche marito e moglie: il designer Enzo Mari  e  Lea Vergine critica d'Arte. Entrambi scomparsi a distanza di un giorno a causa del Covid. Enzo Mari, classe 1932, 
ha attraversato il periodo migliore dell'Italia contemporanea, come protagonista di quell'italian style  che fu segnato da persone come Bruno Munari, Ettore Sottsass, Joe Colombo, Vico Magistretti, Paolo Lomazzi, Gillo Dorfles. 
Enzo Mari 1932/2020
Apparteneva anche Mari alla schiera di artisti che hanno saputo trasferire negli oggetti  una visione ed un impegno sociale. Per Mari questo impegno fu  presente nei suoi studi di psicologia della percezione virtuale, con cui portava nel suo lavoro, nei  processi industriali, poesia e metodo. Un amico e protagonista come Alessandro Mendini disse " Mari è la coscienza di tutti noi".  Come insegnante portò ai suoi studenti nelle aule universitarie questo messaggio: "l'Utente non è un consumatore passivo ma diviene il fruitore di un oggetto e quindi di un processo in cui ha parte attiva". Questo rispetto per l'acquirente lo portava ad accusare il "marketing"  per aver deturpato lo scopo del design che si era trasformato, ma anche lasciato trasformare,  da strumento creativo a semplice interprete di tendenze". A chi lo voleva ascoltare  
Lea Vergine critica d'Arte
suggeriva di considerare "l'etica" come un obiettivo essenziale in ogni progetto. Non da meno la moglie Lea, straordinaria critica d'arte,  che espresse in una intervista una convinzione condivisa da Mari e cioè che  l'arte è "importante perchè non è necessaria. E il superfluo è ciò che ci serve per essere un pò felici." Scrisse testi di successo come "Il corpo come linguaggio" e "l'Arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche". Queste due persone controcorrente si completavano per le loro grandi capacità introspettive, fattori quanto mai necessari in epoche labili come la nostra. Ho preso tra le mani un oggetto  di Enzo Mari che ho in casa. E' un vaso in ABS dal nome Pago-Pago, che fu disegnato nel 1969 ed entrò in produzione nel 1972.  La caratteristica è che può essere usato sia dritto che capovolto, così da cambiare aspetto estetico a seconda delle esigenze del momento. In questa intuizione c'è lo spirito di Mari: l'oggetto non è passivo ma interagisce con l'utente
e si adatta secondo opportunità e movimenti.  Si dice spesso che chi muore lascia un vuoto. E  questo è  il caso perchè il suo era il mestiere di un uomo in ricerca, non solo nelle forme ma sul senso delle cose. Guardando i suoi oggetti si potrà ricordarlo insieme
 alla schiera di tutti coloro che hanno seminato nel tempo tra i colori, le sedie, i tavoli, i manifesti, le case e gli spazi vuoti. E' anche così che Alvar Aalto, Le Corbusier. Mies Van der Rohe, Gropius, Scarpa, Rossi, Wright e tanti altri, sopravvivono tra gli oggetti da loro creati e che fanno parte di migliaia di abitazioni.  
Il design si è innalzato ad Arte portando la semplicità, la funzionalità e il carattere dell'autore. Quell'oggetto attenderà sempre che uno sguardo o una mano, evochino un ricordo e provochino mute  emozioni  in chi lo possiede. Quando ciò accade è
 un sentimento che  si rinnova nel tempo trasformandosi in estro armonico. Un messaggio e un testamento.





martedì 20 ottobre 2020

STRAPAESE


STRAPAESE    
di    Gianfranco Vecchiato

Leo Longanesi (1905/1957)
Sull'onda del nazionalismo saldato sulle tradizioni e sul motto di
"Dio, Patria e Famiglia", si scontrarono durante il fascismo due movimenti letterari che assunsero  nomi stravaganti: "Strapaese" e "Stracittà".  L'inedita frattura che si creò nel mondo professionale per i nuovi piani urbanistici che squarciavano i centri storici, produsse nel ventennio critiche se pur blande, verso alcuni settori del regime.
Tale divisione rimase anche nell'Italia repubblicana  tra  conservatori e  progressisti ma furono spesso questi ultimi  a dover difendere sul piano culturale il valore delle preesistenze dagli sventramenti della speculazione  immobiliare. In quegli anni gli aderenti a " Strapaese" si impegnarono per difendere  il carattere rurale e paesano prevalente nella società italiana di allora, contrastando l'esterofilia e le idee di modernità ritenute  dannose per la integrità della Nazione.
Paesaggio italiano
L'associazione voleva "promuovere una civiltà cattolica, non bigotta, rurale, tradizionalista e anti urbana." Proponeva l'uso dell'Arte per agire sulla società e per sostenere una idea di "fascismo" non dittatoriale.  Leo Longanesi che fu scrittore, giornalista e disegnatore,  e tra i giovani animatori del movimento culturale, nella prefazione alla sua rivista "l'Italiano" scrisse: " I popoli nordici hanno la nebbia, che va di pari passo con la democrazia, con gli occhiali, col protestantesimo, col
Borgo lombardo
futurismo, con l'utopia, col suffragio universale, con la caserma prussiana, col cattivo gusto, con i cinque pasti e la tisi Marxista. L'Italia invece ha il sole e col sole non si può concepire che la Chiesa, il classicismo, Dante, l'entusiasmo, l'armonia, la salute filosofica, il fascismo, l'antidemocrazia, "Mussolini". Il fondatore di Strapaese che fu il toscano Mino Maccari, veniva da terre dalla tradizione verace che coltivava sentimenti anti intellettuali e anti borghesi. L'americanismo, ma non la letteratura americana,  fu avversato in quanto materialistico, mercificante e corruttore di costumi. Strapaese si battè anche contro la distruzione degli antichi borghi medioevali nei centri urbani e contro l'architettura razionalista vista estranea allo spirito dei luoghi. Una battaglia quest'ultima, non vinta.
Si cercava di modificare l'avanzante Novecento, salvando insieme ad una Italia cortigiana e aristocratica, anche quella fatta di campanili e di sagre di paese
,  mescolata tra l'eroismo d'annunziano e il paternalismo provinciale che fu in seguito ben rappresentato nelle pellicole di Federico Fellini e nel genere di "commedia all'italiana". Mentalità e modi di vivere imperniati sull'individualismo e sull'estro personale, sono caratteristiche nazionali, feconde a volte di eccentriche genialità. L'urbanistica  vide il successo di "Stracittà", che aveva visioni opposte e che contava su illustri architetti come Piacentini, Terragni, Libera, Mazzoni. Persiste ancora oggi un'area di provincialismo nella società italiana che si è modificata dagli anni '60  con l'industrializzazione e l'abbandono delle campagne. Longanesi se ne lamentava ma morì troppo presto nel 1957, per vederne gli effetti più radicali. Sostenne fino alla fine che: "La miseria è ancora l'unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge, è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane, sono custodite soltanto dalla miseria. Perchè il povero è di antiche tradizioni e vive in una miseria che ha
Razionalismo italiano
antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato. La sua ricchezza è stata facile a volte nata dall'imbroglio, da facili traffici o imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò quando l'Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un Paese di cui non conosceremo più nè il volto nè l'anima". Il problema acutamente e ruvidamente sollevato da Longanesi, quello di comporre una società in cui possano convivere tradizione e modernità, quello dove, come Egli denunciava, si preferiva alla manutenzione la inaugurazione. Non sono temi passati nè solo italiani  e riconsiderarli aiuta a spiegare quei salti culturali altrimenti incomprensibili  sui 
Roma: sventramenti nel centro storico anni '30
territori e nella vita quotidiana. Scrisse ancora Longanesi:" Noi italiani siamo il cuore d'Europa, ed il cuore non sarà mai nè il braccio nè la testa: ecco la nostra grandezza e la nostra miseria".  Di se stesso disse: "Sono un uomo inquieto uscito da una famiglia quietissima".  A distanza di tanti anni quei pensieri ci interrogano sul nostro tempo,  difficile e oscuro. Non c'è nostalgia per la miseria  ma per la semplicità e per le tradizi
oni, che  danno senso al passato e al futuro. Quelle tradizioni, secondo Jean Léon Jaurés che non consistono " nel mantenere le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma".
Tipi di edilizia popolare detestati da Strapaese