Amarcord - pensieri e parole - 1998 - 2005 -- Ottobre 1998



NEL RICORDO DI
CARLO SCARPA


Il 28 Novembre 1978 moriva Carlo Scarpa.
Il naturale sgomento che alla improvvisa tragica notizia colse i tanti che aveva contribuito a formare in 50 anni di insegnamento all’Istituto di Architettura di Venezia,
fece comprendere, ed anzi conferma, come e quanto quest’uomo avesse inciso nella coscienza e nella cultura di tanti architetti, lasciando un forte ineludibile messaggio anche nella storia dell’architettura italiana contemporanea.
Una scuola cosiddetta “scarpiana”, si era diffusa nel tempo, ed ancora sussiste, a dimostrazione del significato del suo modo originale, simbolico e colto, di intendere
il messaggio dell’architettura e dell’arte.
Due mondi che Carlo Scarpa vedeva assieme, proprio per la sua formazione culturale, di provenienza dall’Accademia di Belle Arti e per i decenni di esperienza
maturata nel mondo del vetro e dell’artigianato.
La grande conoscenza dei materiali, la sapienza del loro accostamento, il valore del silenzio, della luce, del rapporto intimo, sereno e profondo con le superfici e lo spazio, acquistavano la forma nelle sue opere tipiche del prodotto artigiano trasportato nell’architettura.
Le sue opere ed il suo mestiere furono oggetto anche di aspri contrasti da parte di settori professionali che culminarono con una serie di denunce per esercizio
abusivo della professione da parte dell’Ordine degli Architetti di Venezia tra il 1956 ed il 1963.
Da queste imputazioni Carlo Scarpa fu prosciolto con formula piena nel febbraio 1965 e dopo la impugnazione della sentenza da parte del P.M. in successivo dibattimento
il prof. Scarpa venne assolto pienamente nel novembre 1965.
Ora da queste vicende non ci se parano soltanto diversi decenni ma una più complessiva visione delle cose e degli avvenimenti che maturavano già sul finire degli anni ‘60.
Quando nel 1968 dalla Sorbona di Parigi, la contestazione studentesca si diffuse in occidente partendo proprio dalle facoltà di architettura, apparvero proclami, frasi, slogan che spingevano ad una riflessione totale sul modo di intendere e di immaginare il ruolo dell’architetto e dell’architettura.
Uno tra questi diceva: l’Urbanizzazione è un atto politico. No alle periferie. No alle città periferia. Con ciò introducendo un aspetto fondamentale nell’analisi di un mestiere che affonda le proprie lontane origini nello sviluppo del confronto sociale, economico e politico di ogni comunità.
Le Corbusier aveva dell’architettura questa opinione: è un gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi assemblati sotto la luce.
L’architetto quindi è un artista ma anche un tecnico; è un creatore che deve piegare il suo talento ad uno scopo preciso di cui molto spesso non padrone.
Così sovente la sua qualità di autore non è affatto evidente.
Tra l’architetto ed il suo pubblico ci sono una serie di personaggi che costituiscono quasi un diaframma.
La proliferazione di uffici, studi, di tecnici specializzati, di imprese, di committenti, sono tutti aspetti che sovente hanno messo ai margini l’opera dell’autore dell’idea e del valore della sua indipendenza artistica .
Spesso l’anonimato accompagna l’opera di architettura di cui a volte risulta
più facile ricordare il nome del committente piuttosto che quello del suo progettista.
Tutto ciò deriva da una progressiva evoluzione di origine del mestiere, dove sia in epoca romano - gotica come agli inizi del Rinascimento la nozione di maestro d’opera non si distingueva da quella di architetto.
Volendo semplificare il concetto si può dire che in quell’epoca l’architetto si accontentava di elaborare dei progetti senza preoccuparsi delle modalità di realizzazione, spesso non visitando neppure il cantiere che poteva essere distante centinaia di chilometri.
La figura del maestro d’opera si avvicina così a quella dell’impresario con
la differenza che il suo ruolo superava quasi sempre quello dell’esecutore
fino ad influenzare fortemente il carattere di molte architetture.
Quindi si visse, alle origini, una forte divisione tra la figura del progettista, autore, cioè l’architetto da quella dell’esecutore - imprenditore.
In epoca contemporanea nel momento in cui la pittura evade dalla tela, la scultura dallo zoccolo e la musica dalla partitura per incontrarsi su nuovi terreni, l’architettura è anch’essa attraversata da forti trasversalità per associarsi attraverso tecniche del tutto nuove a questo movimento di fusione delle arti che pare dover essere una delle tendenze essenziali del messaggio che il XX secolo lascia al futuro.
Anche in virtù di ciò l’opera di Carlo Scarpa, il suo modo di proporsi, ci appare oggi ancor più portatrice di valori che sono gli elementi essenziali per ogni vera architettura.
Proprio quei valori ci fanno comprendere come culturalmente Carlo Scarpa fosse davanti a molti altri nell’indicare una strada di passione, di forza, di carattere nel divagante incomprensibile mare di anonime e tragiche periferie urbane che sono
divenute molte città europee ed italiane nel dopoguerra.
Inespressività e rapacità economica che fu appunto alla radice della rivolta culturale nelle Università di Architettura alla fine degli anni ‘60 .
A Carlo Scarpa vanno molti riconoscimenti.
Alcuni li ebbe in vita, altri furono confermati dopo la morte.
Anche il nostro Ordine professionale, che in passato non seppe distinguere appieno tra questi due momenti di riflessione sull’uomo e sulla sua opera, deve a Carlo Scarpa delle scuse.
Lo facciamo con la consapevolezza dei limiti di un impossibile confronto tra le leggi ed il valore dei fatti, il valore del profondo antico riconoscimento del genio artistico sulle norme.
A Scarpa va il ringraziamento per aver riconciliato il senso del nostro mestiere di architetti con la fatica della conoscenza personale, con la materia, con la manualità, con l’arte, attraverso l’esperienza dei suoi disegni, le capacità artigiane di interpretare
le sue opere, la permanenza del suo spirito nelle cose che non poté realizzare e rimaste sulla carta.
Proprio l’esistenza di queste fragili e deteriorabili testimonianze ci fa ritenere
essenziale la creazione di una Fondazione che le raccolga e le conservi nel tempo.
Ed un vincolo generalizzato sulle sue opere come lascito importante nella storia dell’architettura di questa parte del novecento al futuro.
Nello scorrere veloce di un mondo in accelerata trasformazione, che appare sempre più povero di autentici valori anche etici, le opere di Carlo Scarpa ci sembrano simili a quel continuo, lento e dolce frangersi dell’acqua sulle rive della Venezia che tanto
amò, portatrici di verità nascoste per chi sa scrutare l’orizzonte.

Gianfranco Vecchiato

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