Amarcord- pensieri e parole- 1998-2005- Luglio/Agosto 1999



L'ARCHITETTO                               di Gianfranco Vecchiato



Mario Sironi
L'Architetto
1922-Olio su tela
Molti anni fa a Walter Gropius fu posta una domanda: “Qual è il compito dell’architetto, servire o dirigere?”. Rispose: “Mettete una “e” al posto della “o”: servire e dirigere appaiono
interdipendenti. Il buon architetto deve servire gli altri e simultaneamente svolgere una
reale funzione di guida, tanto del suo cliente, quanto del gruppo di lavoro che si raccoglie intorno all’edificio. Guadagnarsi la vita non può essere l’unico scopo di un giovane che vuole soprattutto realizzare le proprie idee creative. Perciò il problema (non di poco conto) è come serbare intatta l’integrità delle convinzioni e nello stesso tempo, guadagnare……”.
Secoli prima Vitruvio commentava: “Né è da stupire che ai più io sia sconosciuto; gli altri architetti pregano e brigano per fabbricare; a me fu insegnato dai miei maestri che per accettare un incarico bisogna essere pregati e non pregare ….”. Rispetto ai tempi di Vitruvio od anche di Gropius è più difficile dare oggi buoni consigli e specialmente esercitare il mestiere di architetto, perché è profondamente cambiata la società e sono mutati i valori e specialmente le regole con le quali si opera sul mercato. In Italia la Commissione Antitrust che è stata presieduta da Giuliano Amato attuale Ministro del Tesoro, ha raccomandato
la eliminazione degli Ordini Professionali e la costituzione al loro posto di “Associazioni” da iscrivere alle Camere di Commercio, valutando ed equiparando il lavoro professionale
ad attività di impresa commerciale. Ci separa da questo modo di pensare la valutazione che questo passaggio, ove si realizzasse, non sarebbe solo il prodotto di decisioni politiche ma soprattutto di diverse valutazioni culturali sulle funzioni del nostro mestiere che perseguendo la “liberalizzazione” della economia di mercato nel superamento di regole ritenute obsolete, eliminerebbe la specificità intellettuale e non commerciale e di profitto del professionista, la sua indipendenza ed unicità di prestazione per omologarla a quella di una società o impresa che ha funzioni economiche e giuridiche diverse basate sul profitto. Su questo versante anche le Università e quelle di architettura in particolare, stanno affrontando un passaggio fondamentale. La riorganizzazione interna delle facoltà con l’avvio dei corsi di “laurea
breve” che dà in tre anni la laurea di architetto, è stata ritenuta dai più una scorciatoia che
graverà in maniera decisiva sulla formazione culturale degli architetti.
Pertanto accanto ai concorsi di architettura, alla sfida internazionale, alle esigenze di preparazione e di sensibilizzazione dei laureati in architettura verso l’ambiente ed il paesaggio, per lo studio e la sperimentazione di nuove tecnologie, al bagaglio storico ed artistico necessario per raccontare passato e presente, troviamo in questi anni grandi contraddizioni che manifestano una forte confusione della classe politica, non meno che della società, dinanzi al senso e al ruolo che, per suo conto, l’architetto può svolgere per
migliorare il futuro. Credevamo che una più radicata conoscenza dei guasti prodotti anche
in un recente passato, che le emergenze ambientali, che il confronto internazionale,
facessero riflettere sul valore delle conoscenze e dei compiti affidati al nostro mestiere. Se è così debole la nostra funzione “in termini politici” più che in quelli professionali, è perché nell’Europa dell’Euro, stanno in parte equivocamente avanzando soprattutto le regole
dell’economia dell’esasperata concorrenza
del costo delle prestazioni. Ma non si punta in eguale misura sui risultati, sul valore aggiunto della funzione che un’opera di architettura trasmette a tutto il corpo sociale, questo almeno
in Italia. In un’intervista di quarant’anni or sono l’architetto Giulio Minoletti che fu tra l’altro
il disegnatore del famoso treno “Settebello” che faceva la spola tra Roma e Milano, e dell’allestimento del transatlantico “Andrea Doria” sosteneva: “fare l’architetto è bellissimo e difficile”. Non possiamo realizzare nulla da soli. Dobbiamo sempre essere “approvati” da
qualcuno o convincere qualcuno. Spesso per convincere le autorità o il pubblico o semplicemente il cliente, ci occorre tanto tempo che, quando ci siamo riusciti, è troppo tardi. Questo spiega perché gli architetti appaiano spesso arrabbiati e assumono talvolta atteggiamenti da predicatori …. L’architettura non è un’ arte pura e deve essere possibile dimostrare che ciò che è bello vale di più anche nel senso più volgare delle parole: può essere cioè “venduto più caro”. È una strada pericolosa piena di insidie eppure meno
pericolosa di quella dell’arbitrio”. L’architettura è arte quando lo è, cioè assai raramente.
E concludeva dicendo: “l’attuale edilizia italiana è specchio di una società che va totalmente rinnovata”. Possiamo affermare che a distanza di quarant’anni queste parole sono ancora di attualità, anzi proprio il rinnovamento in atto nella società deve far vigilare affinché all’architettura torni ad essere dato un compito fondamentale.
Con l’auspicio che il Ministro ai Beni Culturali Giovanna Melandri nel presentare il disegno di legge sull’architettura, affermava nel Convegno Nazionale degli Architetti tenutosi a novembre 1998 ad Assisi: “ …. Perché non vada dispersa un’altra generazione di architetti e perché l’Italia ritorni a credere nelle sue grandi tradizioni artistiche che hanno fatto nei secoli la sua storia”. 

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