venerdì 21 agosto 2020

LA CASETTA

LA CASETTA          di  Gianfranco Vecchiato

La casetta rosa di Goffredo Parise a Salgareda (TV)
Corrispondente di guerra e giornalista per l'Espresso, dal Laos, alla Cambogia, dalla Cina, al Cile, a Goffredo Parise (1929/1986)  capitò di fare nel 1967 una magistrale intervista al generale William Westmoreland, comandante in Vietnam delle truppe americane. Così lo descrisse: "...  tentiamo di mettere insieme il volto di un console romano, la struttura ossea e muscolare del discobolo, l'autorità di Abramo Lincoln, lo scatto di James Bond, i poteri sovrumani di Superman e infine la dolce, familiare, universale marca Palmolive. Se questi elementi così diversi possono dare l'idea e l'immagine di un uomo, quest'uomo è lui..."
Goffredo Parise (1929/1986)
Osservava le persone come Darwin scrutava gli animali e le piante , e di cui lesse le opere all'inizio degli anni '60, restandone affascinato.
Si convinse  che le correlazioni tra gli uomini e la Natura dettano altre regole che noi abbiamo cambiato, e che segnano insieme i limiti e le stimmate della nostra esistenza .Lo scrittore non nascose mai il tormento sopportato per la sua nascita di figlio illegittimo e la malinconia per un torto subìto, solo  in parte riscattato da una vita fatta anche di successi. Sposato e poi separato, convisse poi con la pittrice Giosetta Fioroni ma con il tempo Imparò soprattutto a convivere  con la sua solitudine interiore rimanendo, come scrisse Cesare Garboli nel 1987: "... uno scrittore pieno di talento ma senza famiglia," e che, nella sua tesi di laurea su Parise, Ilaria Crotti  definì come "un illegittimo della letteratura". 
In altre parole fu uno scrittore che si fece da sè.  Aiutato dal Padre adottivo che era giornalista, ebbe poi diverse esperienze anche come sceneggiatore nei film: Agostino (1962) tratto dal romanzo di Alberto Moravia, Senilità (1963) tratto dal romanzo di Italo Svevo , l'Ape Regina (1963) di Marco Ferreri, e in un episodio nel "Boccaccio '70" di Federico Fellini.  Dal suo romanzo "Il prete bello"  scritto nel 1954, sarebbe stato tratto un film postumo (1989).  La personalità di Goffredo Parise induce ancora oggi a ricercarne le tracce.  Un viaggio erratico d'agosto mi ha condotto in riva al Piave di Salgareda, per vedere  quella che lo scrittore chiamò  la casetta delle fate, la sua "casetta" in mattoni rosa, che sembra uscita da un racconto di Hansel e Gretel. Il  rifugio in cui visse nelle sue lunghe soste in riva al Piave. Un luogo rischioso dove nell'ansa golenale poteva arrivare sempre l' improvvisa distruzione dalle sue acque.
Parise la acquistò comunque nel 1970 dopo averla vista, abbandonata e in vendita, mentre percorreva  a cavallo l'argine del fiume con l'amico Guido. Giungendo in via Gonfo ho incontrato un cagnolino meticcio, Lakj, che mi ha fatto da spirito guida fino al giardino della casa,  nascosta in parte dalla vegetazione. Isolata ma vicina ad un pugno di abitazioni sparse, nella quiete della campagna, circondata  dai vigneti che somigliano a greggi in attesa, stava seduto Pietro, che ebbe con la famiglia  molti rapporti con lo scrittore. Da una breve conversazione sono emersi ricordi lontani ed è parso che il tempo passato divenisse attuale. Nella casa museo di Ponte di Piave, a pochi chilometri di distanza, Parise ha  nel  testamento richiesto al Comune, che le sue ceneri fossero poste sotto alla statua in giardino.  In qualche modo Lui è ancora presente. Se altre città lo hanno ospitato, da  Vicenza dov'era nato,  a Venezia dove si formò culturalmente, da Milano dove lavorò al Corriere, a Roma,  approdò infine nel Veneto a lui caro.
Nelle terre fatte di tradizioni, di lin
gua parlata, di famiglie patriarcali, di robuste e semplici amicizie. Accanto ai luoghi di Andrea Zanzotto e di 
Giovanni Comisso, e dell'amico scrittore vicentino  Guido Piovene,  sentì ad un certo punto della vita, dopo aver girato il mondo, che serviva un ancoraggio per un'epoca al tramonto , dinanzi ai processi tumultuosi del consumismo e della tecnologia. In questo ebbe visioni analoghe a Pier Paolo Pasolini anche se fra i due corsero antipatie e contrasti. Se è difficile comprendere ogni storia con tanti protagonisti sconosciuti, si può cercare di  leggere tracce di cammino lasciate dalla letteratura che, come l'architettura, si può manifestare in modo concreto nelle emozioni che sa evocare. Ciò accade soltanto  quando e se i racconti, così come le costruzioni, dopo aver sondato  lo spirito si addentrano nella materia,  rifiutando le banalità del quotidiano. 
Una analisi sui comportamenti e i cambiamenti  sociali che avrebbero attraversato la fine degli anni '60 e dilaniato i '70, la si può trovare nel romanzo di Parise "Il Padrone" scritto nel 1964. 
Pur non amando le ambiguità della borghesia  non ne disdegnò alcuni feticci. Come la passione per le auto che lo portò a possedere una MG ed una Ferrari. Critico e polemico anche verso se stesso, fu accusato da alcuni di essere un "disimpegnato militante". Infastidito dalle  ideologie.  sosteneva che "la vita di un uomo si riduce sempre agli anni felici, essendo quelli infelici in qualche modo simili alla morte". Nei "Sillabari" si condensarono i suoi pensieri, ispirati da un progressivo decadimento fisico che ne preannunciò la fine. La casetta che fu di Parise resta un angolo di poesia. E' come se in quell'architettura spontanea la letteratura si fosse fusa insieme alle pietre.
Lo scrittore acquistandola non ne alterò la semplicità e la rugosità del tempo, limitandosi a interventi indispensabili e lasciando le tracce visibili sulla facciata dopo un suo ampliamento in mattoni. Nascosta al grande pubblico, pur aprendosi periodicamente agli incontri, sollecita al visitatore più domande che risposte. Nella alluvione di due anni fa il Piave la sommerse, danneggiando molti libri che vi erano esposti. Ma poi la furia devastatrice delle acque ha lasciato posto alla rinascita.
La gente è qui abituata a lottare ed a vincere. In questa terra si può ricordare un tempo remoto. I  mattoni di quella casa accanto al fiume sono un  piccolo mondo antico difeso e sospeso nella memoria tra il passato e il presente.  Essa mi fa riflettere su due opinioni di Parise . La prima è uno sguardo sul cambiamento sociale nella sua Regione: " ... mi chiedevo quale cultura potesse legare la solenne bellezza delle colonne palladiane, dei mattoni e dei portici padovani, dei ponti veronesi, della scintillante Venezia, alla enorme quantità di piccole e grandi fabbriche del Veneto e non ne trovavo nessuna salvo una e una sola: la forza barbarica della terra che ha prodotto lavoro dei campi fino a ieri ed ora produce lavoro nelle fabbriche..." La seconda è questa: 
"la mancanza di desideri è il segno della fine della gioventù e il primo lontanissimo avvertimento della vera fine della vita". Forse anche per questo Parise scelse di vivere nella semplicità. Tra quei vecchi mattoni  i desideri infatti riemergono ogni giorno, rinnovati dallo scorrere del fiume. E insegnano a invecchiare con le stagioni.