venerdì 26 aprile 2019

SACRO E PROFANO

SACRO E PROFANO                   di Gianfranco Vecchiato 


Il volto dll'Uomo della Sindone
Secondo la tradizione cristiana, un telo di lino avvolse il corpo di Cristo deposto dalla Croce. In esso si impresse l'immagine di un uomo morto in maniera violenta. Sulla Sindone  non è quindi riportato un dipinto ma si è fissata una ignota energia come quando un ferro caldo lascia tracce di bruciatura su un lenzuolo. Quanto vediamo è forse il segno dell'istante della resurrezione? E' ciò che credono milioni di persone ma la scienza che indaga non ha ancora fornito risposte definitive e perciò quella "reliquia" turba e stupisce. I rivoli di sangue sul costato, i segni della brutale flagellazione, le ferite sul capo per la corona di spine, i fori su mani e piedi, richiamano la passione di Cristo descritta nei Vangeli.
  Il volto di Gesù secondo la NASA
    analizzando la Sacra Sindone
Le tecniche più recenti hanno dato un volto a quell'uomo antico e all'Università di Padova è stata realizzata una forma tridimensionale di quella immagine. L'altezza dell'Uomo è stata indicata tra i 183 e i 187 cm, il peso in 80 kg, il sangue è del gruppo AB maschile.  Secondo Pia che fu il fotografo della Sindone, quando il 28 maggio 1898, osservò per la prima volta i negativi di quella figura, come per gli apostoli che entrarono nella tomba vuota, vide e credette. Il viaggio della Sindone è stato ricostruito esaminando i pollini delle piante in essa contenuti.  Da Gerusalemme finì ad Edessa in Turchia, portata dai primi cristiani in fuga dalle persecuzioni romane.
Arch.Guarino Guarini
1624/1683
Per 8 secoli restò in quella città fino a quando l'Imperatore bizantino Romano I nel 943 la fece portare nella Chiesa di Santa Sofia  a Costantinopoli e qui esposta ai fedeli ogni venerdì. La notorietà del Sacro Lino attirò non solo pellegrini ma anche artisti che dipinsero il volto di Cristo ispirandosi all'Uomo della Sindone. 
Il Duomo di Torino
 S.Giovanni Battista
Quel ritratto divenne simile sia nelle icone orientali  che nei quadri rinascimentali.   Nel saccheggio della antica capitale bizantina, durante la IV crociata, ad opera di cavalieri veneziani e francesi, la Sindone venne trafugata e riapparve tempo dopo in Francia a Lery dove fu alcuni secoli dopo ceduta ai Duchi di Savoia e custodita prima a Chambery e poi a Torino. Qui tutt'ora si trova. La storia della sacra reliquia, che fa ancora discutere, incontrò l'architettura con Guarino Guarini, a cui venne affidato l'incarico straordinario di ospitarla nella nuova cappella del Duomo di Torino . Architetto e sacerdote dell'Ordine dei Teatini, Egli assunse l'incarico cercando di fondere nella sua opera, sia elementi di scienza e sia aspetti di fede. 
La cattedrale di S.Giovanni Battista su cui si accosta la Cappella, era stata costruita nel 1491 dall'architetto Amedeo Francesco da Settignano ma Carlo Emanuele I° di Savoia, volle che tra la chiesa e il Palazzo reale vi fosse una Cappella che potesse fondere in modo armonioso le diverse architetture.
La Cupola del Duomo
Dopo incarichi che non diedero un esito convincente, si pensò quindi a Guarini, uno dei migliori e brillanti matematici e architetti dell'epoca.  Egli iniziò il progetto nel 1668 ma non poté vederlo concluso nel 1690 perchè morì sette anni prima. Tuttavia l'intervento che porta il suo nome ne tramandò l'impresa a cui si impegnò considerandola la più importante della sua carriera per l'importanza anche spirituale dell'Ospite che conteneva. Guarini che aveva lavorato anche a Roma, si ispirò alla chiesa  di Sant'Ivo alla Sapienza di Francesco Borromini, immaginando che nella cupola si fondesse un vortice  a spirale che attraverso le luci che la invadono e la attraversano, lo sguardo fosse spinto a salire fino alla stella a 12 punte posta sulla cuspide, creando una apoteosi ardita di inesprimibile spiritualità. 
Nel progetto Egli indicò le condizioni per la fusione di diversi elementi: il sacro, la tecnica, il mistero, la speranza e la fede che si trasformano in un simbolo , mèta e luogo di pellegrinaggio. Poche discipline hanno il privilegio dell'architettura, di poter far dialogare il sacro e il profano e di fissare nel tempo le memorie e i sentimenti. Ci si serve di strumenti empirici per trasformare le idee in emozioni e in simboli e si scruta così, con la materia, anche nel mistero delle coscienze.  Quando si affida al futuro un'opera creativa, le risposte si infrangono sulle barriere del tempo.
Notre Dame
Ogni volta che l'Architettura si rapporta con il tema del Sacro, questi due elementi si fondono. Ciascuno contamina l'altro. Così si spiega perchè le fiamme che hanno avvolto la Cattedrale di Notre Dame a Parigi abbiano scosso tante coscienze. Come avvenne per la 
Notre Dame: incendio aprile 2019
Cappella del Guarini che nel 1997 rischiò di crollare per un incendio che la avvolse, travolgendo non solo la cupola ma anche la teca che ospitava la Sindone, così a Notre Dame ciò che bruciava dinanzi agli occhi dei francesi e del mondo ,non era solo un simbolo di architettura religiosa ma la Memoria di generazioni e un potente simbolo di fede. Anche a Notre Dame si conserva una reliquia della "passione di Cristo": la corona di spine che fu ottenuta nel 1238 da Luigi IX re di Francia dai veneziani che l'avevano in pegno per un prestito in denaro dato all'Imperatore di Costantinopoli Baldovino II.  Anch'essa è uscita indenne dal recente incendio e tramanda legami che fanno parte della Cultura di ogni tempo e di ogni Paese.
Febbraio 1997 : Incendio alla Cappella
del Duomo di Torino
Corona di spine a Notre Dame

La ricostruzione, a Torino come ora a Parigi, è stata subito assicurata. Si tratta di ricorsi storici che richiamano ciò che si fece dopo che la furia rivoluzionaria devastò sul finire del XVIII° secolo, Notre Dame che fu restaurata, divenendo un monumento eretto da Viollet-Le Duc anche a se stesso.  Se nell'architettura la funzione artistica e il ruolo etico che sono rappresentati, sono colti come aspetti 
attivi di ogni trasformazione dei luoghi urbani e dei paesaggi, le riflessioni critiche sulle scelte e sui meccanismi con i quali cambiano l'economia e la società, conducono a giudizi che non possono essere mai definitivi. Il tempo si serve di potenti mediatori.   Essi sono come i fari nel mare e l'architettura può esprimere con le forme, con la luce, con le pietre e con il silenzio, questa vocazione di guida e di approdo ad una idea nostra di eternità.
Come può accadere guardando un'opera d'Arte, il senso della bellezza cela sempre un Mistero e porta tante domande.   L'Uomo della Sindone ci parla anche della grandezza della Morte. E' stato scritto che il volto sofferente che è impresso su quel telo non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore. Anche chi non crede non può negare questa interiore emozione.

venerdì 5 aprile 2019

IL MESTIERE

IL MESTIERE                di Gianfranco Vecchiato


Ponte translagunare Ing.E.Miozzi
In tarda età l'ingegnere Eugenio Miozzi, nato a Brescia nel 1889 e morto a Venezia nel 1979, aveva la mente ancora piena di progetti. Il mestiere lo aveva imparato sul campo. Dopo la laurea nel 1912 a Bologna, aveva iniziato a lavorare nel 1914 per importanti opere pubbliche in Libia con la costruzione di strade coloniali come quella  da Bengasi e Derna, per la costruzione del molo del porto di Tripoli e per il nuovo piano regolatore di quella città.  Poteva quindi già vantare una esperienza tecnica robusta quando tornato in Italia assunse il ruolo di Ingegnere Principale di Sezione prima ad Udine e poi a Belluno. Dopo la Grande Guerra, tra il 1919 ed il 1927, progettò e ricostruì tutti i ponti distrutti nella vasta area del Cadore durante il conflitto inserendo nei suoi progetti uno stile architettonico armonioso. Esponente professionale del suo tempo, da funzionario pubblico seguì le linee dettate dal Regime ma seppe fondere nello stile razionalista  un alto livello  sia tecnico che formale. 
Ne sono esempi il ponte della Vittoria sul Piave a Belluno così come quelli a Ponte delle Alpi, ad Arsè sul Cismon, a Longarone, a Perarolo ed in altre località. Dal 1927 lavorò in provincia di Bolzano per opere pubbliche di miglioramento idraulico dei fiumi,  per la costruzione di scuole, di asili, di caserme, divenendo quindi Capo del Compartimento dell'ANAS delle province di Trento, Bolzano e Belluno. Da menzionare la costruzione di 207 km della strada del Brennero e di altre reti viarie locali,
Ponte degli Scalzi 1933
  di numerosi ponti tra Fortezza e Strigno, tra cui il più noto è stato il ponte Druso a Bolzano. Un'opera strutturalmente simbolica che sul piano estetico era decorata con fregi di aquile e di fasci a rappresentare o meglio ad imporre l'impronta di uno Stato conquistatore. Questi segni divennero nel dopoguerra un elemento di scontro politico finchè, dopo i fasci littori, nel 1974 anche le aquile vennero rimosse dai loro basamenti  e riposte in un Museo. La ulteriore e decisiva svolta nella sua brillante carriera si ebbe quando nel 1931 si trasferì a Venezia come vincitore del Concorso per Ingegnere nella Direzione dei Lavori Pubblici del Comune, divenendo un indiscusso protagonista nella trasformazione urbanistica e  infrastrutturale della antica città. Fu per oltre venti anni Capo del settore, fino a quando nel 1954 andò in pensione. Tuttavia continuò a lavorare in ambito privato. Eugenio Miozzi  è stato considerato un "innovatore e un restauratore dei vecchi sistemi costruttivi veneziani" e tale riconoscimento gli  venne
Ponte dell'Accademia 1934
tributato con un voto unanime dal Consiglio Comunale di Venezia nel 1973, che gli conferì il titolo onorifico di Ingegnere Capo Emerito del Comune. Tra le sue opere più importanti vi fu la radicale trasformazione dell'area urbana ovest di Venezia, posta tra la ferrovia e il porto.   La costruzione del ponte "Littorio", il ponte automobilistico translagunare poi denominato della "Libertà", con il piazzale Roma e il Garage razionalista, l'escavo del Rio Nuovo, il Ponte degli Scalzi e più oltre il ponte dell'Accademia, costituirono un unicum per complessità e per tempistica. Questi interventi vennero realizzati in pochi anni tra il 1932 e il 1937. 

Quindi una miriade di altre opere minori tra cui:
il Ponte dell'Arsenale, il palazzo del Casinò al Lido nel 1938, la sistemazione urbanistica dell'area del Palazzo del Cinema. Si occupò del restauro del Teatro la Fenice e i suoi disegni di archivio si rivelarono essenziali per la sua ricostruzione dopo l'incendio del 1996. Una forte impronta fu da Miozzi lasciata sul piano urbanistico con il progetto per il risanamento di Venezia insulare e per la costruzione dell'Isola Nuova del Tronchetto, l'ultima sua opera  come funzionario comunale. Nel 1956 fu ispiratore di un contestato progetto per una strada sublagunare che dal Tronchetto avrebbe dovuto passare per le Fondamenta Nuove, l'Isola
Scavo del Rio Nuovo 1932
della Certosa
Casinò-Lido 1938
e giungere al litorale del Cavallino per poi collegarsi con il Lido. Fu promotore di un nuovo porto sulle barene di fronte a Malamocco e de
lla costruzione dell'autostrada Venezia-Monaco, che più volte venne discussa e mai  attuata. Miozzi ebbe  la capacità di cimentarsi con la fragilità e l'arte della città, riuscendo a costruire due ponti nuovi sul Canal Grande: un fatto unico e irripetibile, anche per qualità di risultato.  
Ponte dell'Arsenale

Ponte lungo Rio Nuovo
Autore ingegnoso di molte soluzioni e raffinato cultore di storia, fu precursore di proposte  che sono ancora fonte di dibattiti e di contrasti. Le idee  urbanistiche di quel periodo e gli sventramenti fatti sul tessuto di Venezia, furono anche temi  divisivi. Passarono perché il Regime imponeva le sue direttive e non c'era alcun dibattito democratico anche se gli scontri non mancarono. A Miozzi venne contestata la prevalenza della prassi esecutiva sulla complessità della teoria multidisciplinare. Questo da un lato consentì modifiche urbanistiche oggi impraticabili con l'evoluzione legislativa e  culturale. Occorre però ricordare che la città era giunta  alla
Ponte della Vittoria- Belluno
modernità novecentesca in condizioni di arretratezza e di semi isolamento. Basti pensare  che nel 1951 un censimento aveva rilevato 6.080
abitazioni sovraffollate, con 50.300 persone, 9.300 abitazioni inagibili e che  se 14.500 persone vivevano in 2.320 alloggi senza acqua, 24mila alloggi erano anche senza latrina ad acqua corrente. Tre quarti della popolazione, circa 50mila abitanti, abitavano in baracche, "tuguri malsani, case pericolanti".  La sua figura  celebrata e  discussa, ha attraversato un periodo storico e politico che pone ai contemporanei molte riflessioni. Miozzi il "mestiere" lo cercò e lo affrontò non solo con responsabilità e con capacità tecnica ma da protagonista. 
Il contesto storico e politico che gli consentì di realizzare  una quantità straordinaria di interventi ci fa pensare oggi al confronto con la pesantezza dell'Amministrazione Pubblica, alla burocrazia, ai grovigli legislativi, e alla fuga dalle responsabilità decisionali. E' probabile che se fosse vissuto ai nostri giorni, anche l'Ingegnere Eugenio Miozzi avrebbe potuto portare a termine forse il 10% di quanto fatto nella sua carriera, ma certamente lo avrebbe saputo fare magistralmente.  Constatiamo  che se pur il nostro tempo dispone di mezzi e di strumenti operativi e materiali inesistenti all'epoca di Miozzi, questi da soli non bastano. Serve che a guidare i processi di sviluppo vi sia la capacità di esercitare bene un Mestiere ma anche la pazienza di coinvolgere pienamente la società negli interventi. Se un  mestiere viene umiliato dalla cattiva politica, dalla cattiva amministrazione, dalla corruzione, dalla scarsa capacità professionale, dalla mancanza di servizio al Bene Comune, da una società interessata a difendere i singoli privilegi, non bastano le soluzioni tecniche e formali. Occorre perciò crescere culturalmente nella partecipazione democratica e questo riguarda sia gli uomini che le cose. A prevalere dovrebbero essere i grandi pensieri che dian
Aquila sul Ponte Druso
o sostegno all'ambiente, ai trasporti integrati, all'economia di base e non solo a quella finanziaria, alla lettura critica della storia ed a quella quotidiana in cui tutti siamo protagonisti, fino a risolvere i bisogni degli ultimi nella scala sociale.
Aquila rimossa dal ponte e posta in Museo
C'è una storia europea e non solo italiana, che attende di essere rinnovata e raccontata . La crisi del nostro sistema attuale è questa:  una Società che dibattendo dinanzi alle scelte spesso o non sa dare risposte corrette o non sa come porre domande. L'archivio di Eugenio Miozzi non è andato disperso, si trova presso l'Istituto di Architettura IUAV di Venezia, dove il mestiere di una persona e del suo tempo è raccontata attraverso i progetti e le realizzazioni. Sono questi i testimoni che un ingegnere od un architetto, lascia come messaggio e come fonte di studio alla società ed al futuro.


Isola del Tronchetto