mercoledì 24 marzo 2021

160 ANNI

 160 ANNI                  di    Gianfranco Vecchiato

Addio mia bella addio...
Giuseppe Garibaldi
La "damnatio memoriae" si ripete nella storia e coinvolge anche i fatti del nostro Risorgimento. La revisione storica  che condanna le azioni e  i pensieri di quei tempi complessi, proviene da società che sono state fondate dal valore di uomini che fecero, tra errori, una nuova Italia.  Dante Alighieri cercò  di unirla  nel linguaggio e nella fede ma occorsero oltre cinque secoli dopo la sua morte prima che quegli obiettivi si realizzassero.  
 Il Regno d'Italia fu proclamato a Torino dal nuovo Parlamento nel barocco Palazzo di Carignano. 
Era il 17 marzo 1861 e ancora era forte l'eco delle 60mila granate sparate dai piemontesi nell'assedio alla fortezza di Gaeta, estrema difesa del Re Francesco II di Borbone .
Torino: Palazzo Carignano
Seguirono alla formale unità del nuovo regno, anni tumultuosi e tormentati da repressioni militari in stile coloniale con molti resistenti tacciati da briganti. 
Scrisse in seguito Antonio Gramsci sulla"questione meridionale" e sulle condizioni che si presentarono dopo la proclamata unità: " 
Sala 1° Parlamento palazzo Carignano
La nuova Italia aveva trovato in condizioni antitetiche i due tronconi della penisola meridionale e settentrionale... da una parte la tradizione ad una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative ed esisteva una organizzazione economica simile a quella di altri Stati europei, propizia allo svolgersi del capitalismo e dell'industria.
  
Inno Regno Due Sicilie                           
 
Nell'altra le paterne amministrazioni di Spagna e dei
Fortezza di Gaeta
Borboni nulla avevano creato; la borghesia non esisteva, l'agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale. Non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che per sua conformazione la regione possedeva... L'unificazione pose in intimo contatto queste due parti della penisola
". I giganteschi problemi economici e sociali 
si imposero nel dibattito nazionale e furono segnati da imponenti migrazioni nelle Americhe,  assumendo i caratteri dell'emergenza, sempre frenata
Vittorio Emanuele II
da chi non voleva perdere le
Giuseppe Mazzini 

antiche posizioni di potere. Tomasi di Lampedusa li definì dei cambiamenti per non "cambiare nulla". Lo storico e politico Giustino Fortunato (1848/1932) e il filosofo Benedetto Croce (1866/1952) compresero che al sud andava aggredito il freno dei mali sociali e dell'arcaica arretratezza per l'isolamento infrastrutturale, formando nuove classi dirigenti. Ma il nostro Risorgimento è stato anche molto più di questo ed ha animato grandi ideali, spinto giovani generazioni a sacrificarsi tra situazioni interne e internazionali complesse, guidati dai canti del "Và pensiero" e della Patria "sì bella e perduta", musicata nel 1842 da Giuseppe Verdi.
                 Inno del Granducato Toscana
Dopo la seconda guerra di indipendenza del 1859, che aveva visto la annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, il terremoto politico innescato dallo sbarco in Sicilia di Giuseppe Garibaldi che alla testa di "Mille" volontari sbaragliò ripetutamente le truppe borboniche durante la sua marcia verso Napoli, diede l'esca a Cavour ed a Vittorio Emanuele II di intervenire. 
Crollarono nel 1860 uno dopo l'altro i Ducati di Parma, di Modena, di Lucca, il
Camillo Benso conte di Cavour
Granducato di Toscana, vasti territori dello Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie.  Mancarono  ancora all'appello il Lazio e Roma che furono annessi nel 1870, il Veneto nel 1866,
 il Trentino e l'Istria solo dopo  il 1918. Si era ormai fatta strada l'idea di Nazione in tutta Europa e si rifiutava il titolo di
Silvio Pellico: Le mie prigioni
"suddito". Fu un processo difficile ostacolato tenacemente dall'Austria che impose con la restaurazione post napoleonica il predominio aristocratico, la censura della stampa, pesanti carichi fiscali, persecuzioni poliziesche, massiccie presenze di controllo politico e militare. 
Goffredo Mameli (1827/1849)
Il libro "Le mie prigioni" scritto da Silvio Pellico, secondo il giudizio del cancelliere austriaco 
Ippolito Nievo
Metternich, fece più male all'Austria di una battaglia perduta. Poeti come Luigi Mercantini, Arnaldo Fusinato, Giovanni Berchet, scrissero epiche liriche risorgimentali. Sul ponte sventola bandiera bianca...Venezia insorta nel 1848 contro gli austriaci riscattò la ingloriosa fine del
L'Italia nel 1848
1797. Ippolito Nievo, che partecipò alla spedizione dei Mille scrisse le "Confessioni di un italiano" considerato un capolavoro del periodo risorgimentale.  Si è detto dagli storici che Nievo in seguito " espresse anche la
Giuseppe Verdi
 amarezza ed il disincanto di una generazione dal grande slancio politico-morale che divenne sempre più cosciente dell'illusione risorgimentale".  A 160 anni di distanza, il canto di Addio mia bella addio, accompagna degnamente quanto scrisse Luciano Manara cadendo in difesa della Repubblica romana nel 1849: " Noi dobbiamo morire per chiudere con serietà il Quarantotto, affinchè il nostro esempio sia efficace, dobbiamo morire". 
 
Luciano Manara
E con lui tra gli altri  morì a 21 anni anche Goffredo Mameli, l'autore delle parole del "Canto degli italiani", musicato da Michele Novaro ed eseguito per la prima volta a Genova il 10 settembre 1847.  Dal 12 ottobre 1946 è divenuto l'inno nazionale della Repubblica Italiana.  Se Papa Pio IX fu all'epoca dei moti risorgimentali un tenace assertore del potere temporale della Chiesa in Italia, l'attuale Pontefice, Papa Francesco, ha espresso una ammonizione che va considerata in ogni società e in questa nostra ricorrenza nazionale: " Il principale nemico della memoria è l'oblio, ma non è il più pericoloso. Il nemico più pericoloso della memoria è abituarsi a ereditare i beni dei nostri padri". 

                                     
  Inno Regno di Sardegna (1720/1861)

                                       Marcia Reale Inno Regno d'Italia ( 1861/1943)

                                         Inno Repubblica Italiana dal 1946