giovedì 27 dicembre 2018

PROVERBI

PROVERBI                     di  Gianfranco Vecchiato

L'antica società "Duri i banchi" venne fondata a Venezia il 12 dicembre del 1903. Il sodalizio impegna gli aderenti a difendere le tradizioni della città, ad aiutare il prossimo, a sostenere i valori di amicizia che legano una comunità, ad ispirarsi alla giustizia e al senso del "dovere" anche nel lavoro quotidiano. Il motto si rifà all'epoca in cui esso veniva pronunciato sulle navi da guerra veneziane quando in battaglia, prima dell'urto delle prue contro le navi avversarie, si ordinava a gran voce ai cannonieri di tenersi saldi alle panche fissate sulla tolda.
Col tempo il senso è diventato quello di "tener duro" nelle difficoltà e nelle traversie della vita. In un libro stampato nel 1978 dal titolo "Omaggio a Venezia", sono raccolte poesie e scritti sulla città. la prima pagina riporta alcune parole di Diego Valeri tratte dalla "Guida sentimentale di Venezia": " Andar in giro per calli e campi, senza itinerario prestabilito, è forse il più bel piacere che a Venezia uno possa prendersi. Beati i poveri di topografia, beati quelli che non sanno quel che si fanno, ossia dove vanno, perché a loro è riservato il regno di tutte le sorprese…" . 
Per ogni viaggiatore autenticamente interessato a scoprire la città, questo è il migliore dei consigli che può ricevere.
A 40 anni di distanza rileggendo gli impegni politici dell'epoca sul futuro di Venezia, c'è da chiedersi cosa sia avvenuto se molte di quelle promesse appaiono tradite. La scrittura è sempre un'arma a doppio taglio: "scripta manent", ammonivano i latini. Scorrendo le pagine si giunge ad un ampio capitolo dedicato a Cesare Musatti, nato nel 1846 e morto nel 1930- Dopo la laurea in medicina si dedicò allo studio della letteratura veneziana e alla raccolta dei suoi proverbi.  Tra questi: "Chi vede Venezia e non vede l'Arsenale, vede il manico ma non il boccale". E ancora: "Può far più male uno stupido che un cattivo". 
E infine : Il bene della povera gente, dura poco". La saggezza popolare nasce sempre e si arricchisce dalla viva presenza di una popolazione che cresce, si consolida, si tramanda tradizioni e saperi. Tanto del passato è andato perduto nelle ultime generazioni. Il lavoro artigianale è importante per la stessa cultura locale. E' come una lingua che scompare e che non viene più compresa dai contemporanei. Questi segnali sono sempre più frequenti a Venezia e segnano forse un declino irreversibile. Non sarà in questo caso l'architettura a sorreggere la fiaccola della tradizione ma un uso diverso della vita quotidiana e delle necessarie condizioni per farle sostenere il confronto con il tempo.
L'importanza fondamentale del restauro di un edificio antico prende le mosse da questo pensiero. Raccogliere il senso profondo della società che lo ha generato. Tradizioni, proverbi, mestieri, materiali, semplicità di vivere, sono ingredienti che sarebbero  necessari anche al bagaglio di ogni progettista. Ma questo non lo si insegna  nelle aule universitarie.
Si impara forse ed a volte con il tempo, se si hanno occhi e cuore che guardano oltre alle cose del nostro vivere quotidiano. Come fa dire ad un personaggio di una sua commedia, Carlo Goldoni, il più noto tra i commediografi veneziani del XVIII° secolo : "Il mondo è un bel libro, ma poco serve per chi non lo sa leggere…"

martedì 25 dicembre 2018

M9

M9                 di Gianfranco Vecchiato

Il Museo del Novecento porta la sigla "M9". E' stato aperto nella città di Mestre, dopo anni di attesa.  Non è un museo qualsiasi. Non ci sono quadri alle pareti ma immagini virtuali che dialogano e coinvolgono il visitatore. Dedicato ai cambiamenti sociali, economici, urbanistici, tecnologici e di costume avvenuti nel XX° secolo, il migliore e il peggiore dei secoli,  tale museo potrebbe essere replicato dovunque. Ogni angolo della Terra ha visto durante lo scorso secolo, cambiamenti straordinari, spesso cruenti ma anche tumultuosi che hanno trascinato molte ideologie e sistemi politici ad un tramonto inevitabile. La globalizzazione nella quale siamo immersi
ha fatto


pagare un costo alle identità dei territori ma ha  anche trasferito sull'economia, molti più compiti di quanti ne potesse assolvere. Mestre dista solo 5 km da Venezia ed il suo territorio è una parte amministrativa integrante  e complementare della città storica e dell'arcipelago metropolitano, formato anche da isole, laguna e mare. Il luogo in cui sorge il Museo fu per tre secoli un convento e per altri due una caserma. Il progetto realizzato fu scelto per concorso internazionale e gli autori sono gli architetti Sauerbruch ed Hutton con studio a Stoccarda. Il taglio diagonale dei percorsi collega due estremi di un isolato che fu da sempre intercluso all'uso pubblico. Si attraversa il portico dell'antico chiostro, in gran parte rielaborato e si esce accanto alla nuova struttura museale rivestita da tanti diversi tasselli colorati.
Ma ciò che più conta è ciò che si può cogliere visitando i suoi piani interattivi. L'archivio fotografico di cui dispone racconta una storia urbana fortemente compromessa e devastata da operazioni speculative ed industriali che hanno lasciato pesanti eredità ai contemporanei. Ed è a questo punto che il Museo affronta un bivio. L'operazione estetica dell'intervento pare riuscita, anche se alcune  demolizioni  hanno contaminato il restauro, negando in corso d'opera, quel percorso della memoria urbana che il progetto si apprestava a documentare e diffondere. E' il caso delle ex scuderie ottocentesche in mattoni che sono state demolite e sostituite da due volumi in cemento a vista; le facciate dell'ex convento sono state poi fortemente trasformate anche nelle parti rimaste integre. E' prevalsa una linea di restauro più usata in Germania, meno in Italia, dove il contemporaneo sovrasta il passato o lo contamina in modo prevalente. Tuttavia la questione riguarda un altro piano ed attiene alla funzione civica del museo ed al suo scopo utilmente "eversivo". Alcuni sperano che esso generi l'effetto "Bilbao" che innescò la rinascita della città basca con il Museo Guggenheim. Ma la capacità di lasciare al visitatore una idea critica sui meccanismi di sviluppo urbano, varrebbe più di ogni altro argomento perché porterebbe
in primo piano elementi valoriali, sempre di attualità, anche nella  città che ospita il Museo. A 60 anni dal primo Piano Regolatore per Venezia e per Mestre, sarebbe utile riflettere sui risultati di una lunga stagione urbanistica nel territorio, attraversata non solo da passioni civili ormai lontane ma, come anche altrove, da compromessi, abusi ed interessi vari, arretramenti ed avanzamenti culturali. Questioni che agitano le generazioni attuali e che per denaro, distorsioni ideologiche, modesta o diversa visione del mondo, esprimono  i tempi e la storia.
Al Museo serve attrarre un numero di visitatori elevato anche per sostenersi sotto il profilo economico. Per questo una parte consistente viene affidata al settore commerciale ospitato nella zona un tempo conventuale.  Il marketing anche in architettura, ha fatto sempre più avvicinare un manufatto ad un prodotto. Se il Museo sarà soprattutto una vetrina neutra su quanto avviene anche oggi al suo intorno, avrà in gran parte tradito se stesso. Resterà una scatola interessante per gli effetti scenici e anche per la sua architettura ma non per la diffusione del pensiero critico. Torna alla mente come il filosofo Socrate insistesse con i suoi alunni sulla propria unica certezza: quella di "non sapere". Egli non dava quindi mai delle risposte certe e preferiva orientare gli altri verso la verità. Le stanze di un Museo che ha queste ambizioni, dovrebbero essere attraversate dal "dàimon", la coscienza che si fa sentire per chiamarci alle responsabilità.
Compito arduo che si riassume in un altro pensiero di Socrate: "Esiste un solo bene, la conoscenza e un solo male, l'ignoranza". Ma una volta entrati nella conoscenza non si può restare inerti. Occorre sempre testimoniarla.
  


lunedì 26 novembre 2018

ALBERGHI

ALBERGHI                   di Gianfranco Vecchiato

John Ruskin (1819/1900)


Quando si manifestano interessi e bisogni contrapposti, le leggi dovrebbero servire a dirimere controversie ed a rispondere alle domande di giustizia. Ma qualche esempio può dimostrare quanto le visioni politiche e sociali possano essere piegate dall'economia.  Masse di persone  si muovono per fame e milioni di viaggiatori  si muovono per turismo o  affari.  I contrasti nella nostra epoca non potrebbero essere più evidenti e sono davanti  ai nostri occhi. Le idee socialiste e popolari da cui nacquero le grandi riforme dello Stato nel Novecento sono ricordi lontani. Ora è l'epoca che fu preannunciata da qualche visionario idealista già negli anni '60,  quella che ha "geneticamente" modificato i cittadini in "consumatori". Invece che essere alla testa di un pensiero alternativo e critico sugli sviluppi sempre più contrastanti del nostro tempo, molti intellettuali e tra questi metto anche gli architetti, si pongono in una condizione neutra e anzi adatta a dare soluzioni tecniche al perseguimento del massimo profitto economico. L'estetica a volte serve a coprire il più profondo e primario interesse dell'investimento. Ma occorre chiedersi se debba essere  così che si trasformano i territori e le città. I meccanismi sono semplici nella loro evoluzione: occorre attirare le Società di capitali, i Fondi di investimento e  di grandi gruppi finanziari privati, coinvolgere interi strati sociali.
J.Ruskin : Venezia-Il ponte dei pugni
In tal modo l'urbanistica si trasforma da mezzo di pianificazione e cultura politica a  strumento per attrarre risorse alle quali occorre garantire strade privilegiate. Le Amministrazioni Locali ricavano soldi dagli oneri edilizi, le imprese di costruzioni lavorano e con esse operai e aziende complementari, e tutta la filiera di progettisti e di mediatori, di agenzie immobiliari e sempre più spesso anche di settori opachi che con tali investimenti "ripuliscono" i proventi illeciti. Sotto inchiesta ogni tanto cadono nella rete le gare per appalti pubblici e i meccanismi per gli smaltimenti dei rifiuti urbani e tossici. C'è un settore che è da qualche anno in piena espansione, in particolare a Venezia e nel suo hinterland : quello
Venezia: Hotel Bauer
turistico ricettivo. Qualche tempo fa un quotidiano locale titolava: "I figli vendono le case di famiglia: più sfratti per far posto ai turisti". Il settore alberghiero ha piegato da tempo le politiche amministrative: l'albergo turistico e le sue derivate è divenuto l'obiettivo di grandi investimenti anche internazionali e dove proliferano  gli abusi tra le offerte di alloggi in locazione fiscalmente non registrate. L'uso turistico della città ha saturato in maniera impressionante tutta la Venezia storica, travolto ogni resistenza, superato ogni regolamento ed investito negli ultimi anni anche la vicina Mestre, dove l'offerta di nuovi posti letto ha avuto incrementi poderosi mai raggiunti nel corso degli ultimi trent'anni. Gli hotel acquistano condomini e case in prossimità delle loro sedi per trasformarli in strutture ricettive collegate e supplementari.

Ostello a Mestre
Cercando ( o fingendo) di contenere gli eccessi l'Amministrazione comunale ha varato un regolamento che blocca ulteriori progetti di trasformazione residenziale in uso turistico, a Venezia pur con diverse eccezioni. L'effetto è stato quello di incrementare nuove attività alberghiere in Terraferma, causando disservizi nelle linee di autobus dirette a Venezia con i turisti che salgono a frotte e che rendono il viaggio quasi impossibile ai residenti. Il sistema dei trasporti non è stato ancora adeguato.  Si affaccia per Mestre, un tempo definita "dormitorio" per gli operai che lavoravano nelle fabbriche di Marghera, un destino di nuova funzione sussidiaria. Zone che  stanno diventando dormitorio turistico con graduale espulsione di abitanti  sostituiti da persone per loro natura in transito, che quando non sono
Mestre: Albergo commerciale sopra la stazione
indifferenti sono inadatti a fornire risposte al dibattito democratico in una città. Se a Mestre e Terraferma nel 1977 c'era la disponibilità di 4.100 posti letto, nel 2016 tale offerta era cresciuta a 8.700 e solo attorno alla stazione ferroviaria saranno disponibili entro un paio d'anni altri 6.500 posti letto. Un progetto di albergo con struttura commerciale è addirittura proposto sopra ai binari della stazione di Mestre, e viene indicato come elemento di saldatura tra due parti urbane, transitabile pedonalmente, in un contesto in cui sono previste torri alberghiere alte 100 metri e poste a ridosso dei binari della stazione di Mestre. Queste operazioni urbanistiche sono fonte di contrasti. A chi sostiene che questi investimenti sono una risorsa economica collettiva si contrappongono  coloro che ne vedono gli effetti speculativi senza un reale
 interesse pubblico. A Venezia centro storico  si è passati da 12.578 posti letto nel 1977 a 34.106 nel 2016.   Si è quindi da tempo creata una  presenza irreversibile di turisti che superano ogni
Nuovi alberghi a Mestre
Proposta di funicolare in laguna
giorno il numero dei residenti stabili.  Essi visitano in maniera spesso ignorante e distruttiva questa fragile città, dimostrando i limiti di un accesso indistinto.   La parte di Opinione Pubblica che non ha perso lo spirito di proposta e di confronto necessario per impedire condizioni urbane artificiali che hanno già svuotato Venezia da diversi anni, combatte una battaglia disperata. Sono ormai lontani gli anni '50 e '60 quando si dibatteva sul progetto dell'hotel Bauer e sul Danieletto in riva degli Schiavoni.  Occorre per Venezia una nuova Legge Speciale ma servirebbe anche la moralizzazione di un tessuto umano drogato dagli eccessi: Grandi Navi, Grandi Opere, Grandi finanziamenti, Grandi numeri.   Per questa esponenziale crescita turistica, che consuma la città e a volte la vilipende,
Il discusso Hotel S.Chiara a Venezia
hanno concorso le normative della Variante urbanistica comunale del1999 che hanno liberalizzato le trasformazioni d'uso da residenziale a ricettivo. Si poteva immaginare che la crescita mondiale del turismo che catapulta su Venezia oltre 32 milioni di turisti all'anno, alcuni in visita per poche ore, avrebbe consumato le pietre, le Chiese, i ponti, gli angoli ancora coperti dall'antico suono della risacca dell'acqua che batte sui ponti. Questo fermento se porta anche ricchezza economica, togliendo dal degrado strade periferiche, innesca fenomeni 
che spostano continuamente le analisi sul futuro. Così se la società aeroportuale Save, propone il progetto di funicolari  sopra la laguna per i viaggiatori da Tessera verso Venezia, il Porto progetta altri alberghi nelle aree demaniali di sua competenza.  La mente corre al ricordo di John Ruskin (1819/1900), le cui visioni impregnate di cristianesimo sociale, lo videro schierarsi nel XIX° secolo contro il capitalismo selvaggio dell'epoca vittoriana. 
Lo storico hotel Monaco
Egli intuì e comprese che la fine della manualità artigiana a favore delle macchine, avrebbe potuto travolgere l'etica del lavoro e la stessa idea sociale della struttura urbana, frutto di secoli di artigianato ed arte. Venezia per Ruskin fu una sorta di "teatro del tempo perduto". Sostenendo che "se sai dipingere una foglia sai dipingere il mondo" perché non c'è niente di più perfetto anche sotto il profilo architettonico di una foglia, suggeriva di cambiare i valori e le gerarchie al pensiero dominante. Pur temendolo Egli non avrebbe immaginato che oggi noi posteri poco ci interessiamo del tempo, e poco cogliamo della poesia di una foglia o delle vecchie pietre. Ne intuiamo forse il fascino ma non ne sentiamo più lo spirito essendo noi stessi divenuti comparse in un gigantesco luna park  che attira folle di visitatori senza più mèta . Chissà se si è capito che la mostra che lo ha ricordato quest'anno a Palazzo Ducale, è diventata un monito e un atto d'accusa.

Cantieri per alberghi lungo i binari (2017)
Venezia: Albergo a piazzale Roma

Hotel Danieli e Danieletto

lunedì 22 ottobre 2018

L'ARMISTIZIO

L'ARMISTIZIO       di Gianfranco Vecchiato


Fronte del Basso Piave Novembre 1917
Sul Piave 1918
Marzo 1918. Nelle camere dell'ospedale
militare tra i
 feriti e ammalati portati dal fronte i posti non bastavano mai. Quel giorno venne ricoverato anche un fante dal nome Angelo. Il suo letto era vicino ad una finestra. Quando  sentì che lo  chiamavano dalla strada si  alzò con fatica e vide che c'era Maria  con i tre figli. Giuseppe, Ada e Carlo tenendosi per mano salutavano il padre in via di guarigione. L'anno prima era arrivata la chiamata alle armi anche per la sua classe più anziana. La cartolina precetto conteneva  ordini chiari e severi. La legge di guerra, per chi non si presentava prevedeva l'arresto e un immediato processo. Il dovere verso la Patria si mescolò con quello verso la famiglia il cui destino si legava al suo. I coscritti partivano allora cantando "Addio mia bella addio, l'armata se ne va e se non partissi anch'io sarebbe una viltà..." Al Distretto la visita medica incrociava uomini adulti e ragazzi della classe del "99". Furono tutti gettati nella mischia  in drammatici scontri sul fronte del Piave. Qui le armi non cessavano di alimentare il campo di battaglia. Oggi i ponti che attraversano quel fiume portano la scritta "Fiume Sacro alla Patria".
Trincee italiane nella Grande Guerra
L'esercito italiano, in guerra dal 24 maggio del 1915, dopo Caporetto fece un  immane sforzo per fermare la violenta avanzata delle truppe tedesche ed austroungariche in pianura. Il Re Vittorio Emanuele III° decise che sul fiume Piave vi fosse l'estrema linea di difesa. Una eventualità che era stata prevista dal Generale Raffaele Cadorna fin dal 1915. Angelo venne arruolato in un reggimento di fanteria nel settore tra il basso Piave-Sile  e la Laguna. Qui oltre al nemico imperversava la malaria. Alla sua diffusione  contribuiva il clima umido e nebbioso, il fango, l'acqua che era stato fatta defluire sui campi per scopi difensivi.
La scarsa efficacia delle pastiglie di  chinino con cui si curavano i sintomi della malattia creavano incertezza quotidiana sulla propria sorte.  Le trincee sugli opposti argini, erano distanti fra loro  qualche decina di metri. In prima linea si consumavano ogni giorno drammi personali ed atti di oscuro eroismo. Per alcuni chilometri di profondità, le trincee ed i canali si incrociavano con la foce  da dove i pontoni galleggianti della marina, si univano con le

Contraerea a Venezia 1917
 navi che dal mare difendevano la laguna e Venezia, con i cannoni di grosso calibro. I cappellani militari portavano su entrambi gli eserciti  le preghiere per la loro vittoria.
Il tenente austriaco Fritz Weber, così scrisse nel suo  libro di memorie, "Tappe della disfatta"   : "...i giorni di Attila sono tornati, dal cielo piove sangue e questa, che noi chiamiamo Madre Terra, divora i suoi figli..."  Dopo mesi di fronte, una febbre altissima portò  Angelo nella caserma ospedale a Mestre, in condizioni di estrema debolezza. Rischiò di morire anche se non sul campo di battaglia. Si è calcolato che la malaria colpì in quegli anni oltre 85mila soldati italiani.
Dopo la guarigione e una breve licenza, fu rinviato al suo Reggimento nei servizi di collegamento,  in un periodo in cui si erano consolidate le posizioni. A fine Giugno si ebbe la drammatica recrudescenza dei combattimenti. Era cominciata la battaglia che Gabriele D'Annunzio denominò del "Solstizio". Gli Austroungheresi  sfondarono il fronte in alcuni tratti e tentarono una spallata decisiva e disperata ma furono respinti da contrattacchi continui. Gli italiani  si erano ormai rafforzati e la Nazione si stringeva attorno all'esercito.  
Nelle città si soffriva la fame, si
Gen. Franz Conrad von Hotzendorf
subivano bombardamenti aerei e gli echi del rombo dei cannoni, teneva la popolazione in uno stato di continua tensione. 

Ogni famiglia possedeva una tessera alimentare che per nucleo familiare, fissava cosa e   quanto si poteva prelevare dalle razionate derrate alimentari.
Gen. Armando Diaz
Dai treni e dai carri scendevano feriti e salivano truppe. Il dolore si espandeva  ovunque. Mia nonna Maria si trovò, come migliaia di altre donne, a lottare ogni giorno  per mantenere i  figli e sorreggere il morale di casa.  Un fronte interno si  saldò con quello degli eserciti. E questo avvenne in tutti i campi di battaglia in Europa. Nelle provincie del Veneto non occupato, si temeva il ritorno austriaco, carico di vendette  annunciate dal Capo di Stato Maggiore, il Generale Franz Conrad von Hotzendorf, vecchio avversario degli italiani. Il suo piano di invasione puntava  alla Laguna Veneta ed a "Venedig", partendo dal fronte sull'Altopiano di Asiago.
Venezia: bombe su Chiesa degli Scalzi
Angelo
1917. Bombe vicino al ponte di Rialto.
Le scarne notizie che giungevano dai paesi veneti sul lato occupato dal nemico, parlavano di carestie e di maltrattamenti. Venezia in quegli anni di guerra, subì gli effetti, per la prima volta nella sua storia, di 42 incursioni aeree che sganciarono  1029 bombe. Esse causarono 52 vittime e 84 feriti. Ma fu il suo fragile tessuto storico ed urbano a venire più volte colpito, nella indifferenza nemica per i danni culturali che essa infliggeva a luoghi densi di storia e di valore artistico. Se vent'anni dopo la guerra aerea sarebbe stata vissuta in forme ancor più devastanti da molte città europee, in quell'epoca essa rappresentava una assoluta novità alla cui  difesa si era impreparati. Da una immagine scattata in quegli anni a Venezia  si vede come la contraerea fosse improvvisata:  un folto numero di fanti sopra una altana  punta i propri fucili in cielo cercando di sventare una incursione sulla città. 
Passaggio del Piave 1918
Caddero dovunque bombe : sull'Arsenale, nella zona del porto a  Santa Marta, sulla chiesa di Santa Maria Formosa. Andò perduto un capolavoro di Gianbattista Tiepolo nella chiesa degli Scalzi presso la stazione ferroviaria, crollarono case attorno a Rialto, a S.Samuele, si colpì l'Ospedale S.Giovanni e Paolo... 
Nelle notti serene,  si poteva  vedere l'infuriare della battaglia dalle vampe e dai bagliori delle granate sul lontano Monte Grappa. Uno spettacolo tragicamente coinvolgente. Nell'Ottobre 1918 dopo un estremo e spaventoso sussulto, la guerra finì. Intere divisioni austriache, soprattutto quelle formate da soldati croati, sloveni, cechi, slovacchi, si arresero.  Il 3 novembre 1918 a Villa Giusti, presso Padova, l'Austria-Ungheria firmò l'armistizio  
Venezia bombardata 1917
con l'Italia. Cent'anni fa l'esercito imperiale, dissoltosi dall'interno, si ritirò, come scrisse il Bollettino della Vittoria del generale Armando Diaz, "... in disordine dalle valli che aveva sceso con orgogliosa sicurezza..." Risuonarono canti e tacquero le armi,  migliaia di tricolori furono esposti alle finestre,   risuonarono campane superstiti su un Veneto distrutto. Cessò una lotta che in Europa fece più di 9 milioni di vittime e che distrusse tre Imperi. Non sapevano allora i reduci che se ne preparava una successiva ancora più disastrosa.  A distanza di un secolo, tutti sono scomparsi e vivono
Venezia: Danni a S.Maria Formosa 1916
accomunati nel silenzio e nel rimpianto che si deve alla Memoria. Non ci sono più nemici ma croci da visitare nei cimiteri di guerra. Milioni di uomini dopo quel  novembre 1918, tornarono alle loro case. Tra questi ci fu anche mio Nonno Angelo che giunto sulla porta guardò Maria e i suoi tre figli. Li abbracciò e pianse. Stanley Baldwin (1867/1947)  che fu per tre volte Primo Ministro del Regno Unito, osservò : " Le guerre non ci sarebbero più se i loro morti potessero tornare." 


Venezia agli inizi della Grande Guerra
S.Marco protetta dalle bombe aeree 1917




mercoledì 10 ottobre 2018

IL PASSAPORTO

IL PASSAPORTO                 di Gianfranco Vecchiato


Sfilata di Schutzen
E' diventato motivo di scontro diplomatico fra Italia ed Austria, l'obiettivo dichiarato dal Governo di Vienna di inserire in un disegno di legge di modifica costituzionale,
la concessione del passaporto austriaco per i cittadini (italiani) di lingua tedesca e ladina, residenti in provincia di Bolzano. In questo territorio abitano oggi 520mila persone che appartengono a tre gruppi linguistici: il gruppo tedesco rappresenta il 69,4% del totale ,il 26% a quello italiano, il 4,5% a quello ladino e 43mila persone sono di varia provenienza .   

Nel censimento fatto nel 1910 in quest'area il gruppo di lingua italiana contava 7.339 persone che erano meno del 4% della popolazione . Essi risiedevano solo in alcune città come Bolzano, Merano e Bressanone. 
Tuttavia il Brennero fu più volte indicato durante le guerre risorgimentali come un confine geografico e strategico. Tra gli anni '20 e '30 a seguito dell'annessione al Regno d'Italia e fino agli anni '50, crebbe di numero il gruppo di lingua italiana che per eterogeneità di provenienza,  tradizioni  culturali e idioma, si presentava diviso rispetto a quello compatto sudtirolese di lingua tedesca.   Nel censimento del
Scuola a Bolzano
1961 il gruppo di lingua italiana era salito a 128.271 persone;  negli ultimi 60 anni questa percentuale  è ora scesa  del 7%.  E'  frequente in Europa la presenza sullo stesso territorio di gruppi linguistici diversi. Due guerre mondiali nel Novecento e le grandi migrazioni da Asia ed Africa,  hanno ridisegnato confini mentre continuano a modificarsi  le composizioni delle popolazioni. Le Nazioni sorte con lo smembramento dell'Impero Asburgico dopo la Grande Guerra, hanno conosciuto lutti e rovine, fino ai recenti scontri nella ex Yugoslavia che ha visto sorgere le nuove repubbliche di Slovenia e di Croazia, la Serbia, la 

Tre Bandiere: UE/Italia/Sudtirolo
Bosnia Erzegovina, il Montenegro, la Macedonia, il Kossovo...  Nel 1919 con il trattato di Saint-Germain si divise il Tirolo storico. La parte meridionale delle Alpi con displuvio fluviale verso l'Adriatico venne inclusa nel territorio italiano. L'antico Sudtirolo denominato Alto Adige si estende per 7mila Kmq in provincia di Bolzano e per 6mila Kmq in provincia di Trento.
Nuove tradizioni in A.Adige/Sudtirol
La ricorrenza del centenario dalla fine del primo conflitto mondiale fa da sfondo a tensioni che il Ministro degli Esteri italiano ha indicato come portatori di "revanscismi anacronistici" presenti nella Destra austriaca ed in alcuni piccoli  partiti indipendentisti sudtirolesi. Per sostenere le ragioni di tale iniziativa, il Governo austriaco ha citato come esempio quanto l'Italia ha analogamente fatto negli anni '90, quando al dissolversi della Repubblica di Yugoslavia ed al sorgere degli Stati della Slovenia e della Croazia, essa concesse alla minoranza italiana residente in Istria e Quarnaro, il passaporto italiano accanto a quello dello Stato in cui viveva. Ma i due casi sono poco confrontabili. In quest'ultimo caso infatti si trattò di rafforzare le  garanzie di sicurezza per qualche decina di migliaia di nativi, discendenti da popolazioni 
"Casa Clima" esempio 
istro-venete, rimasti dopo l'esodo del secondo dopoguerra. Una minoranza che si trova ora divisa tra due Stati e che a parte il bilinguismo, non gode nemmeno lontanamente dei benefici fiscali, giuridici, istituzionali dei sudtirolesi di lingua tedesca nella Provincia Autonoma di Bolzano. La storia ci racconta che in Venezia Giulia ed Istria vi furono migliaia di infoibati e reciproche asprezze durate diversi decenni. L'autonomia dell'Alto Adige-Sudtirol è stata garantita sul piano internazionale da accordi sottoscritti con l'Austria, quale "Potenza Tutrice", della minoranza, nel 1946 da De Gasperi-Gruber . Dopo anni di tensioni e diversi attentati che inasprirono i rapporti fra gruppi etnici, si trovò una soluzione internazionale con l'approvazione del "Pacchetto" per l'autonomia che fu ratificato nel 1972, anche da Silvius Magnago, leader indiscusso e carismatico, della SVP, partito di raccolta del gruppo di lingua tedesca.
Nuovo Ospedale a Bolzano
A seguito della sua attuazione nel 1992 l'Austria sciolse la riserva e quindi cessò ogni sua tutela attiva per la minoranza austriaca in Italia. Da allora le questioni sono state affrontate sostanzialmente come parte di politica interna dello Stato italiano. Negli ultimi 40 anni  i benefici derivanti da quell'accordo sono incontestabili e visibili anno dopo anno. Sia nella qualità delle infrastrutture, dei servizi sociali, nello sviluppo della residenza e nel sussidio alle attività agricole e commerciali. Tantè che il reddito medio in Alto Adige è ai vertici nazionali e supera  quello dei Land austriaci confinanti.

Esistono certo i valori della memoria e permangono le radici identitarie della popolazione. Ma quest'area è un esempio internazionale per la convivenza etnica applicata da serie e rigide norme proporzionali che hanno creato peraltro dei problemi alla minoranza di lingua italiana in quella Provincia.  Uno Stato quindi non può abdicare alla propria sovranità giuridica e legale. E' lo Stato italiano che ha sovranità legislativa sui propri cittadini e rilascia il passaporto che nella sua versione recente vede impresso il nome anche di Unione Europea.  Quando mi reco in quelle valli,  forse modificate nel corso del tempo da eccessivi interventi immobiliari che ne stanno snaturando la fisionomia, ho l'impressione positiva di una terra che ha un benessere tra i più elevati d'Europa ma che affronta il futuro con molta capacità di innovazione.  Questo è anche un merito che va dato allo Stato italiano e penso che la grande maggioranza della popolazione di lingua tedesca lo possa riconoscere.
Edilizia recente in A.Adige/Sudtirol
I sondaggi fatti tra la popolazione dicono che  essa non vuole perdere i vantaggi e le specificità derivanti dalle  tutele di minoranza per approdare ad un ritorno storico con l'Austria. Ma tenere i piedi in "due staffe" non è consigliabile nemmeno in questo periodo storico  in cui in una Europa prevalentemente finanziaria, si stanno lacerando le conquiste di convivenza.
Convivenza tra alpini e schützen
Non si può non notare un contrasto stridente tra questi argomenti e ciò che proviene anche dall'architettura. Mentre il Sudtirolo è divenuto terra di alta sperimentazione edilizia con edifici moderni ispirati al tema di "Casa Clima", che si integra in villaggi e tra case tradizionali e nei centri storici, dimostrando una apertura culturale notevole, dall'altra si esprimono ritorni ideologici che frenano un giudizio positivo su tali esperienze. L'Italia possiede una varietà di condizioni ambientali e un patrimonio storico e culturale di cui il "modello" Sudtirolo fa parte. Si aggiunge al riconoscimento paritario che altre minoranze hanno come quello per i cittadini  di lingua slovena presenti nella regione  Friuli Venezia Giulia, del francese nella Valle d'Aosta, della Autonomia  Regionale Siciliana

e della autonomia della Sardegna la cui lingua ha provenienze antichissime. Se guardiamo alla stessa Austria che ha più di qualche problema con le sue minoranze croate, slovene e ungheresi, non possiamo che ricordare l'antica frase che : "Nessuno è profeta in Patria".  E' perciò meglio  non riaccendere reciproci nazionalismi. Fanno male a tutti e  soffiare sul fuoco che può covare sempre sotto la cenere, ce lo insegna il passato, non ha mai portato fortuna. Se l'architettura è una metafora di noi stessi dove si può intravvedere la
Campo Tures 
psicologia di una società come di un individuo, l'evoluzione che essa sta avendo in quella provincia mi fa ben sperare. Una generazione che traina altre sul terreno della bellezza e della tecnologia, attiva risorse che  spronano all'avvenire. E questa è una spinta positiva per l'intera Nazione di cui  trae vantaggio anche il Sudtirol/Alto Adige destinato ad essere un ponte e non una frontiera.