sabato 21 dicembre 2019

ARCHETIPI

ARCHETIPI      di Gianfranco Vecchiato


A.Rossi
Spinoza, Voltaire, Beccaria, hanno ciascuno scrutato nell'animo umano indicando come sia necessario per l'equilibrio tra i singoli individui e le comunità l'esercizio del libero pensiero. A distanza di secoli questo obiettivo non è stato ancora  raggiunto. Nella attuale visione del mondo, così diversa dall'antichità, resta senza risposta anche l'indecifrabile origine del male,  "un abisso di cui nessuno, secondo Voltaire, ha mai scrutato il fondo."  Quando le  teorie praticate dalle religioni conosciute, non fornirono ai filosofi illuministi  nessuna spiegazione convincente, l'utopia della concordia universale si infranse contro la realtà di una perpetua battaglia. Voltaire raccontò una favola, dove alle Olimpiadi si presentarono la Ricchezza, il Piacere, la Salute e la Virtù, ciascuna reclamando il primo premio.
Se la Ricchezza riteneva di essere  il sommo bene,  perchè avendola, chiunque poteva procurarsi qualunque altra cosa, il Piacere vantava per sè il primato sostenendo che "gli uomini cercano la ricchezza per avere me". La Salute fece  presente che senza di lei non vi poteva essere piacere ed era inutile la ricchezza. Ma infine fu la Virtù che pretese la superiorità sulle altre tre perchè con la ricchezza, coi piaceri e con la salute, si può tuttavia ridursi alla infelicità se non si sa vivere. La Virtù ebbe il premio ma per Voltaire  la Virtù non doveva vincere perchè non è un Bene, ma un Dovere: "appartenendo  ad un genere differente, ad un ordine superiore che non ha niente a che vedere con le sensazioni dolorose o piacevoli." 
Arch E.Louis Boullée 1728/1799
Aldo Rossi 1931/1997
Fu così che si lasciò irrisolta la questione del Sommo Bene. E questo fatto perdura. La continua competizione tra il male ed il bene, porta l'uomo  ad agire secondo sua  convenienza. Come entrano l'Architettura,  l'Urbanistica,  la Musica, la Pittura e la Scultura in tale discussione? Ci entrano sotto il profilo etico e per il ruolo che assumono nella società.  Non sono neutrali e sono state spesso strumenti docili nelle mani dei potenti. 
Centro direzionale Fontivegge (PG) Aldo Rossi
Questo "carosello" gira in ogni generazione e lungo la storia.  Cesare Beccaria  nel testo "Dei Delitti e Delle Pene" scritto nel 1764, riguardo ai diritti dell'uomo, commentava: "alcuni delitti distruggono immediatamente la società o chi la rappresenta... Ogni cittadino vedrà che le passioni di un secolo sono la base morale dei secoli futuri;  vedrà che le passioni forti, figlie del fanatismo e dell'entusiasmo, indebolite e rose dal tempo, diventano la prudenza del secolo e lo strumento utile in mano del forte e del prudente.
A.Rossi: Il Teatro del Mondo
In questo modo nacquero i nomi di onore e di virtù e tali sono perchè essi si cambiano con le rivoluzioni del tempo che fa sopravvivere i nomi alle cose..."  Prima di lui Spinoza , ragionando sulla libertà di pensiero, osservò che "la pietà più alta è quella che ha per oggetto la pace e la tranquillità dello Stato,  tuttavia, si può anche stabilire che nello Stato sono sediziose quelle dottrine la cui osservanza implica l'annullamento del patto per cui i singoli hanno rinunciato al diritto di agire secondo il loro arbitrio.
Cesare Beccaria 1738/1794
Aggiungeva Spinoza che perciò "occorre salvaguardare la libertà della Ragione, sapendo che la fedeltà verso lo Stato la si può conoscere soltanto dalle opere, cioè dall'amore verso il prossimo. Ciò che è impossibile proibire va quindi necessariamente concesso  e per prima
Voltaire 1694/1779
la libertà di pensiero che è una Virtù ed è insopprimibile". Il Bene Comune si riconosce quando genera concordia e progresso civile. Per questo gli interessi dei singoli devono essere     sottoposti  agli interessi generali e lo Stato nel garantire la libertà di pensiero ne garantisce anche la libertà culturale. L'Architettura traendo dagli "archetipi" sepolti nel grande magazzino della sua storia, può quindi credere ancora di perseguire il bene comune alle condizioni
 vitruviane della Firmitas, della Venustas, della Utilitas ? E limitarsi ad esse? 
A.Rossi -Cimitero di S.Cataldo -Modena
Baruch Spinoza 1632/1677
Etienne Louis Boullée le mise già in discussione, due secoli or sono ma provò a ricomporle nel Novecento più di qualche scuola di pensiero. L'architetto Aldo Rossi ad esempio  affrontò il tema della forma urbana, dell'architettura e del design, nella evoluzione dei bisogni delle nuove classi sociali,  utilizzando gli archetipi per fondere stili ed emozioni.  Costruì un linguaggio architettonico singolare, molto imitato ma spesso banalizzato. Mentre l'architettura di Aldo Rossi era una poesia emotiva che finì con la sua scomparsa avvenuta nel 1997, alle soglie del nuovo secolo. Così gli interrogativi di Voltaire risorgono quando incontrano pensieri fragili.  Il filosofo Herbert Marcuse, che fu l'ideologo dei giovani contestatori negli anni '60, nell'opera l'Uomo ad una dimensione", scrisse che "una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico. Si tratta di una libertà che dà solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi." La generazione attuale riconosce questo pensiero e non ne fa più una bandiera. E' un fatto che a molti questa situazione sta bene . L'utopia  settecentesca della concordia universale  continua ad infrangersi, anche ai nostri giorni,  contro la realtà in una perpetua battaglia. 

Lo stile del Novecento visto da Aldo Rossi

martedì 19 novembre 2019

AQUA GRANDA

AQUA GRANDA                       di Gianfranco Vecchiato

Piazza S.Marco :Aqua Granda
Il giorno della "sensa"
Desponsamus te, mare. In signum veri perpetuique dominii.  Nel'antico rito  dello sposalizio del mare,  un corteo di barche seguiva il "bucintoro" del Doge nel giorno dell'Ascensione (della Sensa) e giunti al largo di S.Niccolò del Lido, la tradizione, la poesia, la leggenda, la ragion di
Anno 1825: Piazza S.Marco allagata
Vincenzo Chilone (1758/1839) 
Stato, si univano al mare Adriatico, che i veneziani consideravano l'alleato più forte per la difesa della città e il più temibile per la loro  sopravvivenza. Storicamente gli allagamenti a Venezia sono stati meno frequenti in passato ma presenti nella vita della città. Un quadro del vedutista Vincenzo Chilone è stato riproposto in questi giorni e mostra piazza S.Marco allagata nell'anno 1825. Tuttavia le questioni si sono fatte più complesse e drammatiche per la concomitanza di problemi che hanno modificato profondamente la vita della città e l'ecosistema lagunare. 

Il professor Luigi D'Alpaos, considerato tra i massimi esperti di idraulica della laguna, ha più volte espresso la convinzione che non siano  risolvibili tre temi che da tempo sono in conflitto fra loro. 
E cioè : la difesa di Venezia e delle Isole dal progressivo innalzamento del livello del mare, la salvaguardia dell'ecosistema lagunare e le risposte fin qui date alle esigenze della portualità e della zona industriale in gronda lagunare. Per D'Alpaos "oggi come ieri, continuano a dominare i portatori di interessi privati che sostengono i loro obiettivi senza chiedersi quali siano le ricadute sull'ecosistema lagunare". Se questi tre aspetti non possono coesistere con equilibrio, si pone il problema di cosa e come scegliere. Ci sono aspetti scientifici, ambientali, socio economici, politici, culturali. Nel Novecento si è tagliato corto.  
L'uscita dei sedimenti in mare

Si volle realizzare una grande zona industriale sui terreni vergini a sud della Laguna e in collegamento con il mare e la ferrovia. Nel 1917 fu siglato il progetto e negli anni '20 partirono i lavori. Si eliminarono diversi Comuni in Terraferma e si saldò il progetto di una "Grande Venezia" che avrebbe dovuto gestire oltre che la vita in laguna anche l'hinterland di terra.   Mestre e altre località di cintura, subirono gli esiti di una profonda trasformazione urbanistica che si riflesse anche su Venezia. La costruzione della città giardino di Marghera fu accompagnata dall'interramento di vaste aree lagunari con ghebi e velme. La costruzione di canali industriali modificò profondamente la morfologia lagunare. Nel secondo dopoguerra gli interventi si fecero tumultuosi e realizzati in spregio per la salute di maestranze e popolazione mentre si sversarono inquinanti in laguna ed in atmosfera. Quel periodo durato fino agli anni '80 è in parte terminato ed ha lasciato cicatrici profonde non rimarginate.  Le opere di  disinquinamento della zona industriale in laguna, classificata area SIN (Sito di Interesse Nazionale), iniziato molti anni fa, è fin qui costato 781 milioni di euro e non si è ancora concluso. Mancano da perimetrale 3,5 km di margini attorno alle aree dell'ex Petrolchimico. 
Ponte translagunare
La  conversione di aree dismesse mette in evidenza le diverse competenze dell'Autorità Portuale e di altri Enti con la burocrazia che regna sovrana. La storia industriale di Marghera è un pezzo di quella d'Italia e del Veneto. Negli anni '60 Marghera contava 40mila operai e fu il più importante bacino industriale del nord-est italiano. Il tramonto di modelli economici incompatibili con l'ambiente e l'abbandono di alcune produzioni ha lasciato sul territorio  un modello urbano complesso e non definito.  Su tali argomenti il tema dell'acqua resta centrale perché il terreno circostante è anfibio. Lo  
Opere di marginamento a Marghera
"Statuto Speciale" richiesto a più voci per   Venezia richiederebbe di  definire priorità, competenze, risorse e strategie. La classe dirigente locale ne sarebbe all'altezza? Per la mobilità non serve raddoppiare il ponte translagunare realizzato nel 1933, come da recente proposto da alcuni, per agevolare le auto in arrivo nei parcheggi al Tronchetto ma avviare finalmente un regolare servizio metropolitano di superficie.  Il tema dell'acqua  è centrale per Venezia, ma si interseca e confonde il dibattito sulle priorità.  Il tema della salvaguardia lagunare , occorre leggerlo partendo dai dati dell'ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale) che ha calcolato in un
Venezia, Laguna e Zone industriali
milione di mc di sedimenti quanto sarebbe necessario per togliere la laguna al suo degrado morfologico. Con la creazione della zona industriale e con lo scavo del canale dei petroli in attività dal 1965,  si sono accelerati i fenomeni degenerativi facendo uscire dalla bocca di Malamocco e di S.Niccolò,  quantità crescenti di sedimenti dalla laguna. Il Porto ha per anni cercato di fornire dati diversi. Ma la realtà è fotografata dai satelliti, dove è evidente ciò che avviene.  Le petroliere e le  navi di grande stazza  entrano in laguna per giungere sulle banchine della zona industriale od alla Marittima.  Le esigenze del traffico navale in costante espansione, richiedono scavi sempre più profondi. Nei progetti di un nuovo porto crociere dentro alla laguna si confrontano le proposte del terminal a Fusina, alla fine del primo tratto del canale dei petroli con quello a nord di Marghera. Il progetto di un porto crociere in mare è ostacolato dai settori economici e politici di diverse e trasversali forze politiche. 

Pietro Paleocapa (1788/1869)
13.XI.2019
E' stato proposto di  riaprire il canale Vittorio Emanuele III° realizzato negli anni '20, che collega Marghera con il canale della Giudecca e di consentire che  alla fine del transito nel canale dei petroli allargato, le navi da crociera giungano all'attuale scalo passeggeri a Venezia provenendo da sud-ovest. Le  pressioni delle Compagnie di crociera, del Porto, di lavoratori e dell'indotto,  sono fortissime. Ad esse si oppongono Comitati di cittadini, Italia Nostra, Associazioni sparse. Solo alcuni settori politici minoritari  hanno assunto una  posizione di appoggio. 
Isola di Burano
Così su molte proposte alternative  non vi è mai piena condivisione. E anche in questo caso D'Alpaos spiega che si cerca di far "quadrare un cerchio".  Egli auspica che il porto per tutte le navi da crociera e commerciali sia creato in mare, fuori dalla laguna. Questa scelta riporterebbe al centro i temi della salvaguardia ambientale con ipotesi diverse e forse risolutive.  Il futuro esercizio delle paratie del MOSE, chiudendo per ore la laguna al mare, renderebbe
Canale dei petroli
necessario l'uso di opere complementari per le navi in sosta in mare.  In caso di alte maree, si aprirebbe un avamporto che per alcuni già appare insufficiente. Nello stesso modo delle condotte
 collegherebbero le cisterne con i depositi delle raffinerie di Marghera. Da un secolo gli sviluppi industriali hanno interrato  2200 ha  di barene e di velme nell'area ad ovest di Venezia ed altre centinaia di ettari per una eventuale terza zona industriale, poi fermatasi con l'alluvione del 4 novembre 1966.   Questo ha ridotto sensibilmente la capacità espansiva della maree dentro alla laguna contribuendo ad alzarne il livello.
13.XI.2019
I fenomeni di subsidenza del suolo di Venezia furono accelerati dall'estrazione d'acqua dalle falde freatiche, attinte per decenni dalla zona industriale, ora sospese. La massiccia monocultura turistica, ha favorito l'espulsione di residenti e alimentato la spinta speculativa nel settore immobiliare. Molti vincoli legislativi sono stati  superati da interpretazioni e sentenze. La legge speciale per Venezia del 1973 e le indicazioni del Piano di Area della Laguna di Venezia (PALAV) nelle versioni del 1986/1996/1999, non sono bastate nè a frenare l'esodo nè a salvare le acque interne.  La Legge Regionale sul turismo nel 2013, equiparando Venezia alle altre città venete, ha favorito i cambi d'uso turistico di abitazioni, poco tutelate anche dal Piano Regolatore. 
1966: I.Montanelli nella battaglia per Venezia
Tutte queste cose insieme alla sovrapposizione di competenze fra Enti e la divaricazione delle proposte sui progetti per i transiti delle Grandi navi da crociera dentro o fuori dalla laguna,  attestano le preoccupazioni riassunte da D'Alpaos e condivise da una grande parte della città.  Che però non è forse ancora maggioritaria altrimenti le cose non sarebbero incagliate da tempo. E' dal 1987 che si è iniziato a discutere del progetto denominato MOSE. L'opera è stata assunta dallo Stato e doveva garantire certezza su costi e tempi di realizzazione. Dopo anni di discussioni e ipotesi, è prevalsa l'idea ingegneristica più costosa e con molte criticità: il MOSE. Un sistema di paratie mobili che sono ancorate sul fondo del mare e sospinte da aria compressa verso l'alto quando la marea superi i 110 cm. Un livello oltre il quale a Venezia si avrebbe l'acqua alta. Il via ai lavori è stato dato solo nel 2003.  
Prove sulle barriere mobili in costruzione
Il loro termine era stato fissato per  l'anno 2010, poi spostato  al 2014 ed ora al 2020. Quest'opera  ha divorato una marea di soldi, circa 7 miliardi di Euro e altri ne richiederà per la continua manutenzione sottomarina. Dopo gli scandali sulla corruzione che ha scoperchiato tangenti e malaffare  tra alcuni politici e imprese, per completare l'opera  serve ancora del tempo. Il giorno 13 novembre 2019 le paratie non si sono alzate e si sono ripetute a 53 anni di distanza le scene già viste il 4 novembre 1966 quando  l'Aqua Granda, giunse alla impressionante quota di 195 cm di altezza. Tutta la laguna fu coperta dal livello del mare.

Questa volta l'acqua sospinta dal vento di scirocco, è cresciuta fino a 188 cm sul  medio mare e cioè è arrivata a circa 80 cm sopra il pavimento di piazza S.Marco.
Nella sottile isola di Pellestrina, che fronteggia il mare per circa 20 km, gli abitanti hanno vissuto ore drammatiche. Saltate le centraline della corrente, inondati i piani terra, le onde  hanno invaso l'abitato.  Stesse scene si sono avute a Murano, a Burano e Torcello. Un moto di solidarietà ha unito gli abitanti di terra e di acqua, mentre lungo la costa altre emergenze sconvolgevano il litorale. Si contano i danni. In mezzo secolo Venezia ha perduto 
Progetti di intervento a S.Marco
 i due terzi degli abitanti mentre sono esplosi  i flussi turistici.  L'acqua ha lambito anche la statua di  Pietro Paleocapa, uno dei più grandi ingegneri idraulici che ebbe  Venezia. Entrambe le città di Torino e di Venezia gli dedicarono un monumento. A Torino nel 1871 per i meriti acquisiti da ministro dei lavori pubblici  nel Regno di Sardegna (1846/48 e 1849/57) dove fu tra i promotori del traforo del Frejus. A Venezia nel 1873 . La statua realizzata da Luigi Ferrari, fu posta in Campo S.Angelo ma poi fu spostata ai giardini di Papadopoli, presso Piazzale Roma, dove ancora si trova.
Opere marittime per il MOSE a S.Niccolò
Nelle sue "Memorie idrauliche sulle regolazioni dei fiumi Brenta e Bacchiglione" del 1843, l'attualità ci sorprende. Per secoli la Serenissima mantenne la simbiosi tra la sua vita civile con quella delle acque. Leggi severe e opere gigantesche preservarono le isole dall'interramento dei fiumi, deviandone i corsi, modificandone gli argini, innalzando le rive, lottando con il mare con cui si "sposava" ogni anno  continuando fino alla sua caduta (1797) con l'ultima opera del rafforzamento dei Murazzi, a difesa delle isole lagunari dI Malamocco e Pellestrina dall'Adriatico. Paleocapa continuò in quest'opera fino alla fine della sua vita, nel 1869. Nel vedere la situazione attuale penso inviterebbe i veneziani a seguire l'esempio degli olandesi ed a ripetere con l'acqua un patto di nuova armonia. 
Il Settecento sovrapposto alle Grandi Navi
Quando le onde portate dal vento di scirocco il 13 novembre si sono infrante su marmi, colonne e muri di 80 chiese, di negozi, di alberghi e di case, alla fragilità dei monumenti si è opposta la forza della gente.   La salsedine entrata nei materiali, col tempo può sgretolarli.  Le  battaglie popolari e civili condotte dai veneziani negli anni '60 sono ancora di attualità anche se molti di quei protagonisti sono scomparsi.  
Sandro Meccoli che con Indro Montanelli ed altri si battè negli anni '60 contro il gigantismo
4 Novembre 1966
della zona industriale di Marghera e contro lo scavo del canale dei petroli, così annotò: "le arginature in disordine, le chiese, i palazzi, le case che marcivano, in disfacimento l'immenso patrimonio artistico; l'equilibrio idraulico della laguna che i veneziani avevano tutelato per secoli con leggi severissime, come il bene più prezioso, infranto ormai dagli scavi e dagli interramenti imposti indiscriminatamente dallo sviluppo industriale..."

Occorre dire che un grande lavoro sul tessuto urbano è stato  fatto in questi decenni anche se porta in sè molte contraddizioni. Se non si affrontano le questioni di fondo e si pensa di rinviarle, una generazione dopo l'altra, i nodi fondamentali delle compatibilità tra sviluppo, preservazione e salvaguardia e azioni politiche conseguenti, chiedono prima o poi il conto.  Troppi soldi fanno male e l'eccesso di turismo ha avvelenato i pozzi.  
Molti edifici sono stati restaurati, sono state innalzate delle fondamenta, aggiustati ponti, recuperati spazi preclusi, ma i danni al tessuto sociale non sono stati  riparati.
Ludovico De Luigi
I negozi tradizionali e di vicinato sono scomparsi. E' come se si fosse perduta l'anima della città. Indro Montanelli nel 1968  espresse scetticismo  e pessimismo sul futuro di Venezia e sui veneziani.  Vedeva una città preda di interessi contrapposti che aveva perduto il senso della sua Storia. Forse quest'ultima Aqua Granda, è stato un segnale, un monito che il Mare ha dato alla "regina dell'Adriatico".  
" Non si sa se il mare invada la città o la città si affondi nel mare. Non si sa se il mattino la città si bagni nel mare o al crepuscolo il mare si addormenti nella città". (Madlena Serdyuk)
Nessuno lo confessa ma nell'inconscio  ogni veneziano ha paure che il pittore Ludovico De Luigi rappresentava nei suoi quadri,
 immaginando un futuro in cui la perdita  di Venezia, sommersa dalle acque, diventava la metafora della fine della  bellezza nel mondo. 
Scriveva Carlo Goldoni: "Il mondo è un bel libro ma a poco serve a chi non sa leggere". Centinaia di giovani hanno saputo leggere quel libro che è scritto sulle pietre di Venezia e vincere il pessimismo.  Chiamati gli  "Angeli dell'Acqua" , organizzati dalla associazione "Venice Calls" a centinaia, alcuni con loro professori, sono scesi nelle calli, sulle rive, nelle abitazioni, ripulendo dai rifiuti, raccogliendo oggetti abbandonati, testimoniando la solidarietà.
Carlo Goldoni

E' così che una città non muore. Quei gesti, richiamando ciò che dopo l'alluvione del 1966 altri giovani, i loro nonni,  fecero a Firenze, hanno acceso una speranza. Essa richiama  una frase di Sant'Agostino : " La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno è per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle". 

mercoledì 30 ottobre 2019

VIA CIMAROSA

VIA CIMAROSA             di Gianfranco Vecchiato


Strade, case, persone. Le piccole e le grandi storie nascono dall'impasto dei passaggi tra generazioni. I ricordi con gli anni lasciano quasi sempre il posto all'oblio. Il culto antico per gli "Avi" ed i loro territori, è stato sostituito  dalla fragilità dei rapporti identitari. E' il risultato della globalizzazione che mescola e muove le persone e le rende nomadi nel mondo. La Memoria viene conservata e studiata  negli Archivi, nelle Biblioteche, nei Musei,  ma quei documenti e quelle immagini  raccontano solo alcuni degli innumerevoli frammenti di vita  che ciascuno lascia ogni  giorno alle sue spalle. Partendo da questo, l'artista tedesco Gunter Demnig nel 1992 propose di fissare qualche memoria sul selciato delle città in cui vissero i deportati ebrei.
Chiamò "pietre d'inciampo" le formelle in ottone, di forma quadrata, di 10x10 cm su cui sono incisi i nomi e le date di eventuale morte, di chi entrò nella storia  nel modo più tragico.   Ne sono state fissate circa 74mila fino ad oggi, sparse in quasi tutti i Paesi europei. Ogni luogo contiene  e raccoglie le ombre di chi l'ha attraversato. L'inciampo delle piastrelle in ottone non è di tipo fisico ma morale. Esse invitano a fermarsi ed a riflettere.
Pietra d'inciampo
Il capitolo intero che racconta le  storie di tante persone vissute nell'anonimato,  non è  quasi mai scritto. Questo  priva molte analisi urbane  di importanti strumenti di conoscenza necessari per decidere.
Arch. H.Tessenow  case a Hellerau
Poichè non viviamo in un deserto  ciascuno lascia dietro di sè nei luoghi dove ha vissuto, le proprie pietre di inciampo. L'incidenza delle complessità sociali può essere temperata dalla semplicità dei rapporti individuali,  e l'effetto di una "urbanità" positiva può essere favorita dalla fusione di tali condizioni anche per mezzo dell'architettura.  Tra i riferimenti storici della architettura organica e poi razionalista del primo Novecento, vi sono  i quartieri e le case progettate da Heinrich Tessenow (1876/1950) che  ebbe un significativo ruolo culturale durante la Repubblica di Weimar. Modelli simili si riscontrarono anche in Italia e  tra questi vi fu la città giardino  di Marghera dell'Ing. E. Emmer e le zone del Quartiere Piave a Mestre, che inglobarono anche la via Domenico Cimarosa che  ne conserva tracce su alcune case con giardino.
Arch.H.Tessenow Teatro Hellerau 1911
La mia strada è carica dei ricordi di mio Padre e di mia Madre, raccoglie i suoni di un pianoforte e di un violino e quelli delle adunate della vicina caserma, l'abbaiare dei cani tra il vociare di ragazzi, il canto ossessivo delle cicale tra i rami dei platani nei giorni estivi, i tuoni, le piogge  e l'arcobaleno sui tetti, la vista dei profili dei monti nei giorni sereni e l'odore della  laguna, l'acqua nel vicino fiume tra i campi, il colore dei fiori in gara tra le aiuole delle case, l'andirivieni di insetti operosi tra i sassi, l'esplorazione dei giardini di villa Sofia e di villa Querini dove si scalava la copia del "ratto di Proserpina" la cui statua del Bernini datata 1621, si trova a Roma,   le fila di ragazzi davanti alla fontanella d'acqua fresca che sgorgava in strada. La vita  era in comune tra i ritmi  quotidiani ma si ripeteva senza ossessioni.
Via Miranese/Cimarosa 1935
I giochi dei ragazzi avevano quel vago sapore descritto nel 1907 dal libro  di Ferenc Molnàr :  "I ragazzi della via Pal".  I protagonisti di quel passato reso misterioso dal tempo, sono cambiati. Giuseppe che ha fatto l'architetto, a 95 anni è il decano della strada. Nel suo  cortile crescono ancora i melograni e le viti d'uva bianca. Dalla sua memoria escono nomi a noi ignoti, visioni che sono il manifesto di un Novecento preindustriale. La strada dei sabbioni  era ricca di villette, costruite dopo la Grande Guerra. Sulla prima abitò Gino, Maestro elementare, su un'altra un tassista e su un'altra un commerciante, quindi un medico e di fronte un fabbro e su un'altra ancora un  sacerdote e poi un vigile del fuoco ed un astronomo.
All'angolo della strada c'era la "botteghetta" di alimentari, dove Angelo vendeva caramelle e gelati. Nei pressi abitava  un senatore antifascista decorato in guerra, che fu medico ed antesignano nell'uso dei raggi Roentgen e poco oltre case di funzionari della Milizia che vestivano in divisa e stivali.  Tra quei ragazzi degli anni '30 Albano, Luigi, Mino, Cesare, Giovanni, Antonio, Lilly, Lia, un giorno qualcuno si inventò un nome stravagante e cominciarono a scriverlo dovunque con il gesso. "Viva Papioca"  comparve sui muri e  sui vagoni dei treni merci.  Al punto che la polizia prese ad indagare. Era una sfida alle Autorità? Dopo qualche tempo i ragazzi di via Cimarosa furono scoperti. Seguì una punizione che coinvolse le famiglie. Ne scrisse anche la stampa locale. La burla fu una sfida alla censura e per quel tempo un gesto di libertà. Mia Madre lo ricordava spiegandoci le differenze con i tempi nuovi della democrazia. Negli anni di guerra la strada si svuotò. Sopra  alle case volarono in formazione centinaia di fortezze volanti. Bombardavano la
Il ratto di Proserpina
ferrovia e il 7 aprile del 1944,  giorno di venerdì Santo, giunsero su Treviso, scaricando un tragico carico di morte.
Manifesto di guerra
In quegli anni furono colpite diverse case attorno a via Cimarosa e sui campi vicini restarono a lungo i crateri  delle  bombe cadute. Poi con gli anni divennero  stagni per le rane.  La strada nel dopoguerra si rianimò e con il ritorno di alcuni dalla prigionia, si contarono gli assenti. Alfonso che poi sposò Isetta, tornò dalla Germania,  Armando che fu marinaio imbarcato  nella corazzata Zara, riprese il suo lavoro in fabbrica, Giuseppe e Mino finirono gli studi. Si voleva guardare al futuro. Così  la nuova generazione nata dopo la guerra fu a cavallo tra due epoche. Si giocava sotto lo sguardo della signora "Nea"  coperta dal suo scialle nero, quando le donne  dopo i 50 anni si vestivano da anziane.

Villa Querini
Il pilastro d'angolo pur se ferito dalle auto, ancora resiste e fu  il  riferimento per tutti quelli che giocavano a nascondino. In  estate passavano il carretto del ghiaccio,  la lattaia, l'ombrellaio, l'arrotino, l' ambulante di frutta e verdura. Con la televisione si aprirono nuovi orizzonti e con i cambiamenti della economia molti 
mestieri scomparvero
Ma rimase a lungo l'abitudine di ritrovarsi alla sera a parlare davanti a casa, seduti nei giardini al lume di qualche lampada fioca o rischiarati solo dalla luna.
La Caserma 
Libera uscita
La solidarietà era diffusa e si condividevano gli avvenimenti familiari. Nella vicina caserma di artiglieria le ore si scandivanoì coi suoni che si spandevano intorno: dalla sveglia, alle adunate, dal rancio, al silenzio. La sentinella nella sua garitta attendeva il cambio della guardia. Con la libera uscita centinaia di militari invadevano le strade e si incrociavano i dialetti di mezza Italia. L'antica Villa Sofia che fu trasformata 
Parco villa Querini
 in una clinica privata,  conservò a lungo un parco con grandi alberi 
che divenne la foresta incantata per i ragazzi del quartiere. La Soprintendenza che avrebbe dovuto e potuto tutelarla, quando l'edificio fu messo in vendita non intervenne con alcun vincolo e quindi  fu abbattuta per far posto ad anonimi condomini. Con gli anni e col tempo uno alla volta sono cambiati gli abitanti di quella via Pal domestica. 
Oggi non c'è più il vociare di una volta, tutti camminano in fretta.
Villa Sofia
I nuovi ragazzi percorrono una strada  occupata da auto in sosta. Restano però incisi in anni lontani, dei nomi su un vecchio pilastro in mattoni ed è questa  la mia pietra di inciampo.  
Via Cimarosa  è una metafora, una frontiera sul mondo che si può raccontare  con le parole del poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, lette sui muri di case a  Sant'Arcangelo di Romagna ed a Pennabilli.  Sono i testamenti della sua filosofia di vita:  " Bisogna creare luoghi per fermare la nostra fretta e aspettare l'anima".  
Questi luoghi a volte ci sono già e sono le strade della nostra Memoria. In ogni strada lo sguardo si affaccia tra due mondi:  sul primo  c'è  il domani ignoto  che si sorregge sull'altro  dove vivono i ricordi.