venerdì 11 dicembre 2020

IL GIOCATTOLO

IL GIOCATTOLO                  di Gianfranco Vecchiato

Amsterdam/Rijksmuseum: la casa delle bambole
sec.XVII°

La sinfonia dei giocattoli è un'opera di fine settecento attribuita da alcuni ad Haydn, da altri a Leopold Mozart. Si rivolgeva non solo ai ragazzi ma ad una platea che si andava allargando, in quella Vienna multiculturale dove la musica ispirava anche la società in cambiamento. I giocattoli diventavano un soggetto di analisi non solo musicale. La creatività che è un aspetto strutturale nella vita umana, inizia da bambini e si sviluppa anche attraverso il gioco. L'inglese John Locke (1632/1704) fu il primo pedagogo ad affermarne l'importanza nella formazione evolutiva ma tale assunto faticò ad affermarsi nella Inghilterra  metodista dove prevaleva una idea religiosa ed austera di educazione civica e personale che non dava molto spazio ai sentimenti. Fu il dibattito illuminista a spezzare queste barriere e i temi delle libertà individuali coinvolsero anche gli aspetti ludici. Nel 1762 , scrivendo l'Emilio,  Jean Jacque Rousseau sostenne non solo l'utilità ma la funzione positiva del gioco necessaria a procurare divertimento e gioia nei piccoli e negli adulti. 
Questo aspetto veniva messo in relazione con lo sviluppo delle libertà espressive. Il giocattolo fu quindi inteso come un mezzo per formare la creatività e mettere in relazione il mondo interiore con quello esterno. Le complessità delle invenzioni tecniche ed industriali aggiunsero dalla fine del '700, fino a tutto il XIX° secolo, nuove tipologie meccaniche al tradizionale giocattolo, le cui antichissime origini si trovano anche tra le tombe etrusche e dell'antica Roma, come in Cina e in tutti i continenti.  Le idee pedagogiche di Friederich Frobel a metà ottocento, poi di Jean Piaget ed altri,  l'uso educativo nel metodo scolastico sviluppato da Maria Montessori contribuirono alla consacrazione dell'utilità formativa del gioco e del giocattolo: " i giochi dell'infanzia sono i germi di tutta la vita a venire...". Si sviluppò una imponente  industria del giocattolo, specialmente in Germania, in Francia ed in Gran Bretagna, dove nuovi strati sociali chiedevano prodotti sempre nuovi e migliori.
Palazzo Rospigliosi (Zagarolo) Museo del giocattolo
Lanterne magiche, bambole parlanti, giocattoli di latta, meccani, navi, trenini, carrozze e poi automobili, soldatini, piccole case in miniatura, si aggiunsero ai classici giochi dell'oca, della tombola, degli abecedari. Una storia a parte è quella del gioco degli scacchi che ebbe una antica origine orientale, introdotto in Italia attorno all'anno mille. Ritenuto un gioco sottile e nobile venne adottato dalla aristocrazia come elemento di distinzione. Un esempio di tradizione urbana viene dalla città murata di Marostica sulla cui piazza è disegnata una grande scacchiera che ospita ogni due anni dei tornei con persone in costume. Nel 1899 sorse a Brooklin il Children Museum, il primo Museo dei bambini, seguito da un secondo museo che si aprì a Boston; oggi negli Stati Uniti se ne contano circa 300. Gli Stati Uniti sono poi la patria di Walt Disney che rivoluzionò con i cartoni animati il cinema moderno. In quei cartoons i giocattoli si animano di vita
Il soldatino di stagno (Andersen)
propria e  uno dei più noti si ispira alla favola di Hans Christian Andersen, "il soldatino di stagno", dove si immagina che allo scoccare della mezzanotte, i giocattoli nella stanza dei ragazzi  prendano vita e per qualche ora esprimano i loro sentimenti.  In Italia a Genova nel 1998 è stato aperto l'Mper Ebanisteria, che si rivolge al settore dell'intaglio e dell'intarsio, un'arte antica che ebbe in passato grandi tradizioni con la creazione di vere opere d'arte. Un noto esempio è dato dalla "casa delle bambole", capolavoro di miniatura del XVII° secolo che un privato, Johannes Brandt regalò alla moglie Petronella Oortman. L'opera è esposta al Rijksmuseum di Amsterdam. In questo settore l'Italia ebbe ebanisti di fama indiscussa. Nel 2005 in provincia di Roma a Zagarolo è stato aperto nel Palazzo Rospigliosi un museo del giocattolo che è per dimensione il più grande d'Italia. Numerose collezioni private non hanno ancora in Italia un adeguato pubblico e questo settore, che può certamente avere una funzione culturale e pedagogica potrebbe essere un tema per realizzare nuove diverse realtà sui territori di più antica tradizione.  

venerdì 20 novembre 2020

IL MATTONE



IL MATTONE
                 di  Gianfranco Vecchiato

Ricostruzione grafica di Giuseppe Brombin del Castello di Mestre
Tratto da: Mestre trasformazione di una città. Ediz.Uomo d'Ombra
Quando le piazze erano circondate dalla campagna, i ragazzi passavano dai cortili agli  orti e scalavano i vecchi muri in mattoni.  Per arrivare a quel rudere antico vicino ad una trattoria si camminava da un viottolo laterale all'antica torre. In estate mentre dagli alberi frinivano le cicale e le imposte delle case filtravano il sole, quel muro diventava la mèta per osservare dall'alto l'acqua un po' torbida che dal fossato, scorrendo attorno alle pietre che cinsero per secoli il castello e le sue torri, girava poi davanti alle scuole ed entrava in un parco, trasportando paglie di fieno tagliato. Quel mondo raccontato dagli anziani non c'è più ma ne restano tracce tra le case.  Quei mattoni sono rimasti prigionieri nel cortile di una banca, inutilmente dimenticati. Ci fu un tempo in cui il castello, perdute le funzioni di difesa, fu in parte demolito per usarne le pietre come materiali da costruzione. Ma la più grave decomposizione urbanistica si ebbe nel corso del secolo passato, con l'assalto senza cultura di una espansione immobiliare nella indifferenza per la tutela dei monumenti.
Schizzo di nuovo progetto . Notare
il rapporto di scala con la Torre 
Quando iniziò una lenta presa di coscienza molte radici storiche erano andate perdute. Ciò che restava venne generalmente considerato un valore da proteggere e da riqualificare. Come quel muro di mattoni, ad esempio, che avrà una età di circa  900 anni, risalente alla costruzione del  Castelnuovo. Se si pensa che  negli anni della posa di quei mattoni, non era stato ancora scoperto il Nuovo Mondo, il fatto si dovrebbe fare interessante anche per un profano.  E' certamente una cosa modesta, nella Patria delle grandi rovine archeologiche,  ma comunque ai sopravvissuti si dovrebbe rispetto e onore. 
Occorre ricordare che ogni realtà urbana si arricchisce per i rapporti e le gerarchie. In un progetto di percorso pedonale sul perimetro delle vecchie mura castellane, questo reperto farebbe da trait-d'union con altre murature sopravvissute e visibili qualche decina di metri più avanti.   
Ieri e oggi (grafica G.Brombin) tratto da
Trasformazione di una città
Quindi quel muro "prigioniero" potrebbe contribuire a far capire le sedimentazioni della storia presenti in città.  Una occasione di proposta potrebbe essere data da un  intervento edilizio previsto là accanto in sostituzione di un vecchio fabbricato. Sarà realizzato un edificio con 18 appartamenti di lusso. Ma ecco sorgere alcuni interrogativi: intanto l'altezza prevista di 7 piani pare eccessiva per il contesto anche perchè ciò dovrebbe confliggere  con i vincoli monumentali stimando che tale edificio sarà più elevato rispetto all'altezza della Torre medioevale, simbolo della città,  che dista solo 40 passi in linea d'aria. Il Codice dei Beni Culturali e del paesaggio, (D.L.42/2004) che tutela il patrimonio culturale secondo l'art.9 della Costituzione italiana, nei primi articoli definisce che "la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio ed a promuovere lo sviluppo della cultura; sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano interesse archeologico di cui occorre garantire la protezione e la conservazione della memoria; i privati proprietari sono tenuti a garantirne la conservazione."  E quindi 
Il muro prigioniero
Mestre presso le mura (grafica G.Brombin)
da Trasformazione di una città 
Ieri e oggi (Grafica G.Brombin)
sul retro a sin. del fabbricato c'è il rudere 
di  mura del castello
si dovrebbe applicare tutto questo anche al  valore testimoniale di quel rustico e per ora incomprensibile muro.  Quello che si vede non è ciò che resta dopo un bombardamento e  metterlo in relazione con l'intorno darebbe più forza anche al nuovo progetto.  Si spera quindi che questa ipotesi rientri tra le indicazioni progettuali. D'altra parte le 
Mattoni  di mura medioevali
riflessioni sulle trasformazioni avvenute nelle città possono essere aiutate in diversi modi. Uno tra questi proviene dalla lettura di una pubblicazione a tre mani, dovuta alla iniziativa del prof. Corrado Balistreri-Trincanato, del giornalista Pierluigi Rizziato e del grafico Giuseppe Brombin. Si è guardato alla città, mettendo a confronto visivo alcuni luoghi urbani tra il presente e il passato. Disegnando, comparando e sottraendo virtualmente alcuni interventi edilizi realizzati in tempi recenti, il risultato appare sorprendentemente efficace. Si capisce con immediatezza che un piano urbanistico dovrebbe essere esaminato usando anche questa lente che può servire per migliorare le scelte. Oggi si possono ottenere elaborati informatici che non hanno però lo stesso fascino reso da una sapiente grafica. Ed è questo ciò che appare nelle tavole del libro per merito del grafico Giuseppe Brombin. La simulazione diviene un metodo di analisi storica e semantica con cui ripercorre lo sviluppo urbano di qualsiasi città dove abbondano e si perpetuano le incongruenze.  Gli studenti universitari di architettura che poi divengono professionisti dovrebbero dare maggior valore alla conoscenza della storia e non dimenticare che anche le cose che perdurano nel tempo acquistano un'anima. Indagine storica, analisi, discussione e confronto e infine scelta progettuale, questa è la catena che fu sempre proposta dalla "dottoressa" Egle Renata Trincanato. Una figura storica essa stessa nella stagione della rinascita del dopoguerra e tra le generazioni di studenti di allora.  Si può prendere spunto da un semplice mattone,
Antico mattone romano
che è l'elemento fondamentale ed antico, il "lidium" citato e descritto nelle opere di Vitruvio e di Plinio, fatto di argilla frammista a paglia, quel mattone romano che si ritrova ad Altino e poi in nuove forme a Venezia. Esso è stato e resta la fonte di grandi opere durate secoli, bastione e strumento di progresso, parte dell'anima di Venezia e delle nostre antiche case contadine. L'ultimo lembo di un passato remoto, specie protetta, testimone muto.

 





mercoledì 21 ottobre 2020

L'ESTRO ARMONICO

 L'ESTRO ARMONICO            di  Gianfranco Vecchiato


L'
      Enzo Mari: Vaso Pago-Pago 1969
estro armonico è il nome con il quale Antonio Vivaldi raccolse dodici suoi celebri concerti. E il musicista spiegava che in quelle sue opere aveva cercato la sintesi fra due  opposte pulsioni: la fantasia o estro che tende a esprimersi liberamente, senza vincoli e l'armonia che invece  costringe e conduce a seguire regole precise. In questo stesso modo si possono considerare le opere e la vita di due artisti che furono anche marito e moglie: il designer Enzo Mari  e  Lea Vergine critica d'Arte. Entrambi scomparsi a distanza di un giorno a causa del Covid. Enzo Mari, classe 1932, 
ha attraversato il periodo migliore dell'Italia contemporanea, come protagonista di quell'italian style  che fu segnato da persone come Bruno Munari, Ettore Sottsass, Joe Colombo, Vico Magistretti, Paolo Lomazzi, Gillo Dorfles. 
Enzo Mari 1932/2020
Apparteneva anche Mari alla schiera di artisti che hanno saputo trasferire negli oggetti  una visione ed un impegno sociale. Per Mari questo impegno fu  presente nei suoi studi di psicologia della percezione virtuale, con cui portava nel suo lavoro, nei  processi industriali, poesia e metodo. Un amico e protagonista come Alessandro Mendini disse " Mari è la coscienza di tutti noi".  Come insegnante portò ai suoi studenti nelle aule universitarie questo messaggio: "l'Utente non è un consumatore passivo ma diviene il fruitore di un oggetto e quindi di un processo in cui ha parte attiva". Questo rispetto per l'acquirente lo portava ad accusare il "marketing"  per aver deturpato lo scopo del design che si era trasformato, ma anche lasciato trasformare,  da strumento creativo a semplice interprete di tendenze". A chi lo voleva ascoltare  
Lea Vergine critica d'Arte
suggeriva di considerare "l'etica" come un obiettivo essenziale in ogni progetto. Non da meno la moglie Lea, straordinaria critica d'arte,  che espresse in una intervista una convinzione condivisa da Mari e cioè che  l'arte è "importante perchè non è necessaria. E il superfluo è ciò che ci serve per essere un pò felici." Scrisse testi di successo come "Il corpo come linguaggio" e "l'Arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche". Queste due persone controcorrente si completavano per le loro grandi capacità introspettive, fattori quanto mai necessari in epoche labili come la nostra. Ho preso tra le mani un oggetto  di Enzo Mari che ho in casa. E' un vaso in ABS dal nome Pago-Pago, che fu disegnato nel 1969 ed entrò in produzione nel 1972.  La caratteristica è che può essere usato sia dritto che capovolto, così da cambiare aspetto estetico a seconda delle esigenze del momento. In questa intuizione c'è lo spirito di Mari: l'oggetto non è passivo ma interagisce con l'utente
e si adatta secondo opportunità e movimenti.  Si dice spesso che chi muore lascia un vuoto. E  questo è  il caso perchè il suo era il mestiere di un uomo in ricerca, non solo nelle forme ma sul senso delle cose. Guardando i suoi oggetti si potrà ricordarlo insieme
 alla schiera di tutti coloro che hanno seminato nel tempo tra i colori, le sedie, i tavoli, i manifesti, le case e gli spazi vuoti. E' anche così che Alvar Aalto, Le Corbusier. Mies Van der Rohe, Gropius, Scarpa, Rossi, Wright e tanti altri, sopravvivono tra gli oggetti da loro creati e che fanno parte di migliaia di abitazioni.  
Il design si è innalzato ad Arte portando la semplicità, la funzionalità e il carattere dell'autore. Quell'oggetto attenderà sempre che uno sguardo o una mano, evochino un ricordo e provochino mute  emozioni  in chi lo possiede. Quando ciò accade è
 un sentimento che  si rinnova nel tempo trasformandosi in estro armonico. Un messaggio e un testamento.





martedì 20 ottobre 2020

STRAPAESE


STRAPAESE    
di    Gianfranco Vecchiato

Leo Longanesi (1905/1957)
Sull'onda del nazionalismo saldato sulle tradizioni e sul motto di
"Dio, Patria e Famiglia", si scontrarono durante il fascismo due movimenti letterari che assunsero  nomi stravaganti: "Strapaese" e "Stracittà".  L'inedita frattura che si creò nel mondo professionale per i nuovi piani urbanistici che squarciavano i centri storici, produsse nel ventennio critiche se pur blande, verso alcuni settori del regime.
Tale divisione rimase anche nell'Italia repubblicana  tra  conservatori e  progressisti ma furono spesso questi ultimi  a dover difendere sul piano culturale il valore delle preesistenze dagli sventramenti della speculazione  immobiliare. In quegli anni gli aderenti a " Strapaese" si impegnarono per difendere  il carattere rurale e paesano prevalente nella società italiana di allora, contrastando l'esterofilia e le idee di modernità ritenute  dannose per la integrità della Nazione.
Paesaggio italiano
L'associazione voleva "promuovere una civiltà cattolica, non bigotta, rurale, tradizionalista e anti urbana." Proponeva l'uso dell'Arte per agire sulla società e per sostenere una idea di "fascismo" non dittatoriale.  Leo Longanesi che fu scrittore, giornalista e disegnatore,  e tra i giovani animatori del movimento culturale, nella prefazione alla sua rivista "l'Italiano" scrisse: " I popoli nordici hanno la nebbia, che va di pari passo con la democrazia, con gli occhiali, col protestantesimo, col
Borgo lombardo
futurismo, con l'utopia, col suffragio universale, con la caserma prussiana, col cattivo gusto, con i cinque pasti e la tisi Marxista. L'Italia invece ha il sole e col sole non si può concepire che la Chiesa, il classicismo, Dante, l'entusiasmo, l'armonia, la salute filosofica, il fascismo, l'antidemocrazia, "Mussolini". Il fondatore di Strapaese che fu il toscano Mino Maccari, veniva da terre dalla tradizione verace che coltivava sentimenti anti intellettuali e anti borghesi. L'americanismo, ma non la letteratura americana,  fu avversato in quanto materialistico, mercificante e corruttore di costumi. Strapaese si battè anche contro la distruzione degli antichi borghi medioevali nei centri urbani e contro l'architettura razionalista vista estranea allo spirito dei luoghi. Una battaglia quest'ultima, non vinta.
Si cercava di modificare l'avanzante Novecento, salvando insieme ad una Italia cortigiana e aristocratica, anche quella fatta di campanili e di sagre di paese
,  mescolata tra l'eroismo d'annunziano e il paternalismo provinciale che fu in seguito ben rappresentato nelle pellicole di Federico Fellini e nel genere di "commedia all'italiana". Mentalità e modi di vivere imperniati sull'individualismo e sull'estro personale, sono caratteristiche nazionali, feconde a volte di eccentriche genialità. L'urbanistica  vide il successo di "Stracittà", che aveva visioni opposte e che contava su illustri architetti come Piacentini, Terragni, Libera, Mazzoni. Persiste ancora oggi un'area di provincialismo nella società italiana che si è modificata dagli anni '60  con l'industrializzazione e l'abbandono delle campagne. Longanesi se ne lamentava ma morì troppo presto nel 1957, per vederne gli effetti più radicali. Sostenne fino alla fine che: "La miseria è ancora l'unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge, è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane, sono custodite soltanto dalla miseria. Perchè il povero è di antiche tradizioni e vive in una miseria che ha
Razionalismo italiano
antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato. La sua ricchezza è stata facile a volte nata dall'imbroglio, da facili traffici o imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò quando l'Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un Paese di cui non conosceremo più nè il volto nè l'anima". Il problema acutamente e ruvidamente sollevato da Longanesi, quello di comporre una società in cui possano convivere tradizione e modernità, quello dove, come Egli denunciava, si preferiva alla manutenzione la inaugurazione. Non sono temi passati nè solo italiani  e riconsiderarli aiuta a spiegare quei salti culturali altrimenti incomprensibili  sui 
Roma: sventramenti nel centro storico anni '30
territori e nella vita quotidiana. Scrisse ancora Longanesi:" Noi italiani siamo il cuore d'Europa, ed il cuore non sarà mai nè il braccio nè la testa: ecco la nostra grandezza e la nostra miseria".  Di se stesso disse: "Sono un uomo inquieto uscito da una famiglia quietissima".  A distanza di tanti anni quei pensieri ci interrogano sul nostro tempo,  difficile e oscuro. Non c'è nostalgia per la miseria  ma per la semplicità e per le tradizi
oni, che  danno senso al passato e al futuro. Quelle tradizioni, secondo Jean Léon Jaurés che non consistono " nel mantenere le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma".
Tipi di edilizia popolare detestati da Strapaese



venerdì 25 settembre 2020

ETICA ED ESTETICA

ETICA ED ESTETICA   di  Gianfranco Vecchiato

Una facciata liberty: tra Etica ed Estetica
La vita secondo il filosofo Lucio Anneo Seneca si divide in tre tempi: il presente, il passato ed il futuro. Di questi il presente è brevissimo, il futuro è dubbioso, il passato è certo. Questo fatto biologico determina altri aspetti. Tra questi vi è una visione etica della vita le cui conseguenze ricadono sugli atti che compiono i singoli e le Comunità. Possiamo osservare ad esempio come una buona etica risulti utile non solo per ragioni morali ma anche per finalità sociali ed economiche dato che nel regolare i comportamenti, aiuta a trovare un equilibrio tra i profitti personali e i bisogni collettivi.
Lucio Seneca
L'Etica si rafforza con la conoscenza. Ventiquattro secoli fa Socrate riteneva che la natura umana fosse votata al Bene e che il male compiuto si generasse per ignoranza. Consigliava perciò ai suoi allievi di esaminare prima di tutto se stessi perchè molte azioni sbagliate provengono dal nostro comportamento. Perciò quando anch'Egli confessò  la propria ignoranza dimostrò che la prima forma di sapienza parte da noi stessi. Ma per finalità di potere e "Ragioni di Stato" il toscano Niccolò Macchiavelli agli inizi del XVI° secolo consigliò visioni diverse.  Nel suo trattato "Il Principe" raccolse le sue esperienze fatte in diplomazia. Egli cancellò una certa idea dell'Etica piegandola senza problemi a diverse abiezioni:  espedienti, inganni, trame e tradimenti, pur di raggiungere e consolidare il potere. 
Socrate e l'Etica
Una visione dai caratteri danteschi presente nelle Corti italiane ed europee dell'epoca. "...Dal momento che l'amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati".  Macchiavelli rifletteva poi che "se invero talvolta mi accade di dire la verità, la nascondo tra tante menzogne che è difficile scoprirla". Il tema etico è tuttavia rilevante e coinvolge la storia quotidiana.  Le leggi sono finalizzate al Bene Comune? Tra le letture che ne danno gli storici, quella di Franco Cardini, studioso dei rapporti tra l'Occidente cristiano e l'Islam riflette come l'attualità manifesti un forte affievolirsi del ruolo pubblico e un sempre più debole controllo della politica.   Si emargina e indebolisce  il ruolo di popoli e di nazioni, che vengono sostituiti da un "primato del profitto gestito da alcune élite chiuse che monopolizzano decisioni e guadagni". Cardini si riferisce al ruolo predominante assunto dalla globalizzazione commerciale e finanziaria nello scardinare molte identità, ridisegnare rapporti sociali, economici ed estetici, pur se ciò ha coinvolto e sfamato miliardi di persone che un tempo  erano al di fuori dal ciclo produttivo mondiale.
L'estetica del passato perdura nel presente
Tra i settori in cui vi è un rapporto tra estetica ed etica c'è l'Architettura che ha avuto nella storia anche un ruolo morale e sociale oltre che economico, oggi incrinatosi per le condizioni sopracitate. La qualità in ogni architettura è anche un tema etico perchè, come osservava l'urbanista Bernardo Secchi,  un progetto ha in sè le caratteristiche di poter incrementare o ridurre le diseguaglianze sociali. La politica e l'etica, descritte nel libro "Architettura e Democrazia" da Salvatore Settis,  dovrebbero poi nutrire il lavoro del professionista perchè con il proprio lavoro si interviene sugli assetti di una città, di un territorio e di un paesaggio. Non in senso puramente estetico ma come luogo "in cui vive una comunità e nello spazio sociale in cui si esprimono valori e diritti". Secondo l'architetta Lina Bo Bardi, che fu attiva in Brasile nel dopoguerra, "l'architetto deve essere un combattente attivo nel campo della giustizia sociale  e deve alimentare in sè il dubbio morale, la coscienza dell'ingiustizia umana, un sentimento acuto di responsabilità collettiva".
Trento: Equilibrio urbano
Osserva poi Settis che un progetto di architettura si muove in spazi di contrattazione e di negoziato tra l'autorità pubblica e i proprietari di aree, investitori e immobiliaristi. In tali situazioni raramente il pubblico assume posizioni di forza. Ne consegue che "i risultati sono il frutto di calcoli economici e finanziari prima che intraprese di architettura." Settis punta il dito
René Magritte: Les amantes 1928
sulle "Archistar" che offrono brillanti coperture professionali ad operazioni che mirano soprattutto al profitto privato a cui andrebbe fatto notare che la qualità dell'estetica e una efficiente resa energetica e ambientale non possono essere il "decorativo belletto di una sfacciata speculazione". Come se la funzione di un architetto non riguardi anche il dove, il perchè e il per chi si costruisce e sia indifferente il fatto che anche un singolo edificio debba essere il frutto di una corretta pianificazione urbanistica. Walter Gropius sosteneva che il compito dell'architetto era di realizzare l'equilibrio tra la conoscenza e l'esperienza e in questo vi doveva essere anche la consapevolezza delle proprie scelte morali ed etiche. I due volti coperti nel quadro di René Magritte, gli amanti, simboleggia un aspetto profondo e insondabile della nostra natura. I sentimenti superano il mistero dei volti e indicano le due volontà ma tra etica ed estetica l'attrazione ed il distacco segnano un incerto destino.

venerdì 21 agosto 2020

LA CASETTA

LA CASETTA          di  Gianfranco Vecchiato

La casetta rosa di Goffredo Parise a Salgareda (TV)
Corrispondente di guerra e giornalista per l'Espresso, dal Laos, alla Cambogia, dalla Cina, al Cile, a Goffredo Parise (1929/1986)  capitò di fare nel 1967 una magistrale intervista al generale William Westmoreland, comandante in Vietnam delle truppe americane. Così lo descrisse: "...  tentiamo di mettere insieme il volto di un console romano, la struttura ossea e muscolare del discobolo, l'autorità di Abramo Lincoln, lo scatto di James Bond, i poteri sovrumani di Superman e infine la dolce, familiare, universale marca Palmolive. Se questi elementi così diversi possono dare l'idea e l'immagine di un uomo, quest'uomo è lui..."
Goffredo Parise (1929/1986)
Osservava le persone come Darwin scrutava gli animali e le piante , e di cui lesse le opere all'inizio degli anni '60, restandone affascinato.
Si convinse  che le correlazioni tra gli uomini e la Natura dettano altre regole che noi abbiamo cambiato, e che segnano insieme i limiti e le stimmate della nostra esistenza .Lo scrittore non nascose mai il tormento sopportato per la sua nascita di figlio illegittimo e la malinconia per un torto subìto, solo  in parte riscattato da una vita fatta anche di successi. Sposato e poi separato, convisse poi con la pittrice Giosetta Fioroni ma con il tempo Imparò soprattutto a convivere  con la sua solitudine interiore rimanendo, come scrisse Cesare Garboli nel 1987: "... uno scrittore pieno di talento ma senza famiglia," e che, nella sua tesi di laurea su Parise, Ilaria Crotti  definì come "un illegittimo della letteratura". 
In altre parole fu uno scrittore che si fece da sè.  Aiutato dal Padre adottivo che era giornalista, ebbe poi diverse esperienze anche come sceneggiatore nei film: Agostino (1962) tratto dal romanzo di Alberto Moravia, Senilità (1963) tratto dal romanzo di Italo Svevo , l'Ape Regina (1963) di Marco Ferreri, e in un episodio nel "Boccaccio '70" di Federico Fellini.  Dal suo romanzo "Il prete bello"  scritto nel 1954, sarebbe stato tratto un film postumo (1989).  La personalità di Goffredo Parise induce ancora oggi a ricercarne le tracce.  Un viaggio erratico d'agosto mi ha condotto in riva al Piave di Salgareda, per vedere  quella che lo scrittore chiamò  la casetta delle fate, la sua "casetta" in mattoni rosa, che sembra uscita da un racconto di Hansel e Gretel. Il  rifugio in cui visse nelle sue lunghe soste in riva al Piave. Un luogo rischioso dove nell'ansa golenale poteva arrivare sempre l' improvvisa distruzione dalle sue acque.
Parise la acquistò comunque nel 1970 dopo averla vista, abbandonata e in vendita, mentre percorreva  a cavallo l'argine del fiume con l'amico Guido. Giungendo in via Gonfo ho incontrato un cagnolino meticcio, Lakj, che mi ha fatto da spirito guida fino al giardino della casa,  nascosta in parte dalla vegetazione. Isolata ma vicina ad un pugno di abitazioni sparse, nella quiete della campagna, circondata  dai vigneti che somigliano a greggi in attesa, stava seduto Pietro, che ebbe con la famiglia  molti rapporti con lo scrittore. Da una breve conversazione sono emersi ricordi lontani ed è parso che il tempo passato divenisse attuale. Nella casa museo di Ponte di Piave, a pochi chilometri di distanza, Parise ha  nel  testamento richiesto al Comune, che le sue ceneri fossero poste sotto alla statua in giardino.  In qualche modo Lui è ancora presente. Se altre città lo hanno ospitato, da  Vicenza dov'era nato,  a Venezia dove si formò culturalmente, da Milano dove lavorò al Corriere, a Roma,  approdò infine nel Veneto a lui caro.
Nelle terre fatte di tradizioni, di lin
gua parlata, di famiglie patriarcali, di robuste e semplici amicizie. Accanto ai luoghi di Andrea Zanzotto e di 
Giovanni Comisso, e dell'amico scrittore vicentino  Guido Piovene,  sentì ad un certo punto della vita, dopo aver girato il mondo, che serviva un ancoraggio per un'epoca al tramonto , dinanzi ai processi tumultuosi del consumismo e della tecnologia. In questo ebbe visioni analoghe a Pier Paolo Pasolini anche se fra i due corsero antipatie e contrasti. Se è difficile comprendere ogni storia con tanti protagonisti sconosciuti, si può cercare di  leggere tracce di cammino lasciate dalla letteratura che, come l'architettura, si può manifestare in modo concreto nelle emozioni che sa evocare. Ciò accade soltanto  quando e se i racconti, così come le costruzioni, dopo aver sondato  lo spirito si addentrano nella materia,  rifiutando le banalità del quotidiano. 
Una analisi sui comportamenti e i cambiamenti  sociali che avrebbero attraversato la fine degli anni '60 e dilaniato i '70, la si può trovare nel romanzo di Parise "Il Padrone" scritto nel 1964. 
Pur non amando le ambiguità della borghesia  non ne disdegnò alcuni feticci. Come la passione per le auto che lo portò a possedere una MG ed una Ferrari. Critico e polemico anche verso se stesso, fu accusato da alcuni di essere un "disimpegnato militante". Infastidito dalle  ideologie.  sosteneva che "la vita di un uomo si riduce sempre agli anni felici, essendo quelli infelici in qualche modo simili alla morte". Nei "Sillabari" si condensarono i suoi pensieri, ispirati da un progressivo decadimento fisico che ne preannunciò la fine. La casetta che fu di Parise resta un angolo di poesia. E' come se in quell'architettura spontanea la letteratura si fosse fusa insieme alle pietre.
Lo scrittore acquistandola non ne alterò la semplicità e la rugosità del tempo, limitandosi a interventi indispensabili e lasciando le tracce visibili sulla facciata dopo un suo ampliamento in mattoni. Nascosta al grande pubblico, pur aprendosi periodicamente agli incontri, sollecita al visitatore più domande che risposte. Nella alluvione di due anni fa il Piave la sommerse, danneggiando molti libri che vi erano esposti. Ma poi la furia devastatrice delle acque ha lasciato posto alla rinascita.
La gente è qui abituata a lottare ed a vincere. In questa terra si può ricordare un tempo remoto. I  mattoni di quella casa accanto al fiume sono un  piccolo mondo antico difeso e sospeso nella memoria tra il passato e il presente.  Essa mi fa riflettere su due opinioni di Parise . La prima è uno sguardo sul cambiamento sociale nella sua Regione: " ... mi chiedevo quale cultura potesse legare la solenne bellezza delle colonne palladiane, dei mattoni e dei portici padovani, dei ponti veronesi, della scintillante Venezia, alla enorme quantità di piccole e grandi fabbriche del Veneto e non ne trovavo nessuna salvo una e una sola: la forza barbarica della terra che ha prodotto lavoro dei campi fino a ieri ed ora produce lavoro nelle fabbriche..." La seconda è questa: 
"la mancanza di desideri è il segno della fine della gioventù e il primo lontanissimo avvertimento della vera fine della vita". Forse anche per questo Parise scelse di vivere nella semplicità. Tra quei vecchi mattoni  i desideri infatti riemergono ogni giorno, rinnovati dallo scorrere del fiume. E insegnano a invecchiare con le stagioni.


venerdì 31 luglio 2020

IL CENTRO

IL CENTRO   di  Gianfranco Vecchiato

Bressanone: Ufficio Turismo 2019
Studio Modus Architects

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ttraversando le Marche, tra borghi e castelli, colline coltivate e panorami leopardiani, la mia riflessione si è posata sul valore della memoria e delle stratificazioni urbane. E su come da queste cose non ci si possa  allontanare anche nella idea contemporanea di città. L'antropologia, il clima, le convinzioni religiose, la evoluzione tecnica ed economica, i modelli politici e i traumi della storia, influiscono  sui territori e sui loro caratteri distintivi. Nei nuclei centrali, definiti "centri storici", sono visibili i segni lasciati dalle comunità che si sono succedute fin dalle origini e che hanno lasciato opere ai posteri. Tutti i centri si sono da tempo trovati a sostenere una dura competizione con altri centri, quelli commerciali,  divenuti diversamente alternativi. Inseriti  in aree un tempo  periferiche, e che tali sono spesso rimaste, assumendo però un ruolo abnorme e attrattivo facilitato dalla disponibilità di parcheggi gratuiti e dalla grande offerta merceologica. 
Questi processi ancora in
Corinaldo(AN) Rapporti tra Storia e forme
evoluzione sembravano non potessero fermarsi perchè funzionali al modelli indotti all'acquisto, per una idea della merce assunta come un valore oltre che come  una utilità. L'epidemia Covid-19 modificando molti comportamenti sta invece decretando una espansione degli acquisti on line e delle consegne a domicilio che incide sui profitti degli ipermercati.  Se ciò si consoliderà
Bressanone: Nuovo e Antico (?)
cambieranno presto i modelli precedenti generando altre criticità nei trasporti che influenzeranno l'economia e l'urbanistica presente e futura. In questo nuovo modello il Centro potrebbe trovare un alleato ed un nuovo equilibrio attrattivo. Se il centro ha delle rigidità  derivanti dalla storicizzazione, le esigenze di intervento  sulle preesistenze costringe a trovare dei punti di equilibrio. I vuoti, i pieni, i difetti murari, le assimmetrie e le dissonanze sono la ricchezza dei centri urbani. Cancellarle significherebbe fare una operazione di "lifting urbano" che ne cambia connotati e personalità. Un delitto. L'equilibrio delle gerarchie culturali, che ne preservano le identità,  per alcuni appare come una diga, per altri è ritenuta un
Centro Storico di Jesi (AN) 
L'equilibrio tra rapporti e forme
ostacolo al rinnovamento che ogni generazione porta con sè. Si tratta di un tema che ripropone l'interrogativo sul limite e la compatibilità dei nuovi interventi di architettura con  i luoghi storici. Per l'Italia, è stato già scritto su questo blog in precedenti numeri,  un ruolo di avanguardia lo ebbe l'architetto Giancarlo De Carlo, scomparso nel  2005. Nel lavoro che con poche interruzioni, lo vide all'opera ad Urbino dal 1951 al 1994,  intervenne nel Centro di quella antica città dal forte segno rinascimentale,  riproponendo l'uso di spazi storici a sedi universitarie, secondo la visione del rettore di allora Carlo Bo. "Il moderno rispetta la storia" secondo De Carlo,  che  fece una
MIT Foto:Andy Ryan MIT:
Arch. Fumihiko Maki

operazione di  indagine storica e di proposta architettonica, in dissenso con il pensiero degli urbanisti Giovanni Astengo e Luigi Piccinato che utilizzavano invece la zonizzazione  come paradigma dell'urbanistica quantitativa. Questa di De Carlo fu una azione nata dal pensiero del Movimento Moderno lanciata da Le Corbusier secondo il quale la storia va interpretata secondo le esigenze presenti. De Carlo che ammirava Alvar Aalto si richiamò al modello del MIT di Boston che l'architetto finlandese aveva concepito nel 1947, e progettò tra il 1961 e 1965 la nuova struttura universitaria di Urbino. In anni recenti assistiamo ad una debolezza critica che sta portando anche l'architettura a seguire modelli di stile merceologico.  Diverse Soprintendenze, delegate per legge a controllare e a vietare gli eccessi, o non hanno
Arch.A.Aalto MIT Boston
agito o hanno debolmente imposto scarse regole. Così gli esempi stridenti si susseguono. Nei centri urbani sono sorte in numero sempre più frequente innovazioni che non tengono in considerazione quale ruolo abbia il giudizio dato dal tempo. Mentre i secoli hanno segnato l'esistente, la fungibilità della nuova edilizia, spinta da esigenze di profitto o da una insensibilità politica e forse anche da una arroganza intellettuale,  stanno scardinando delle linee culturali dentro alle quali ci si può sempre confrontare, contaminandole con delle omologazioni. Alcuni esempi provengono in Italia  dalla regione del Sudtirolo anche / Alto Adige. Qui accanto ad interessanti innesti, appaiono ormai anche eccessi e forzature, alla ricerca di originalità ad ogni costo. Non avviene solo da quelle parti ma le tante esperienze positive, che hanno posto la provincia all'avanguardia ,  sono immerse in tantà edilizia che incide sui profili e
Arch.Cotteland Vermulen. Scuola a Peckham 
sugli orizzonti di quelle vallate. Il centro di una città conserva valori remoti e spesso ignoti che in un piccolo paese  rappresentano tutto ciò che lo caratterizza e lo compone. Nei dibattiti, quando ci sono, il timore di passare per tradizionalisti, conservatori e ignoranti, frena molti dall'esporsi e si finisce per seguire l'orientamento prevalente. Non sono in quei casi, buoni giudici i progettisti, i costruttori e a volte nemmeno gli Amministratori locali perchè tutti tendono a difendere i loro obiettivi. Il giudizio lo danno spesso le pietre poste da secoli attorno ai nuovi venuti. Queste non parlano ma si fanno comunque sentire. E' una operazione difficile frenare le proprie vanità e il desiderio di lasciare un segno. Le città non dovrebbero aver bisogno di vivere di illusioni e queste resteranno tali finchè il tempo non ne decreterà il giudizio.
Arch.G.De Carlo Univ. a Urbino
Sappiamo che anche nei secoli precedenti avvenne un confronto tra innovatori e conservatori. Vitruvio, Borromini, Bernini, Palladio, furono tutti degli innovatori e alcuni ebbero successo tra i loro contemporanei, altri vennero contestati lasciando però opere di straordinario valore.  Ma a quelle epoche  si costruiva perchè gli edifici durassero nel tempo. Oggi si costruisce perlopiù con la certezza di avere davanti un limite temporale. Una domanda si pone: la modestia può misurarsi con il profitto? E quanto vale tale merce in architettura? Scriveva Virgilio: " Loda i grandi poderi, ma coltivane uno piccolo".