martedì 25 dicembre 2018

M9

M9                 di Gianfranco Vecchiato

Il Museo del Novecento porta la sigla "M9". E' stato aperto nella città di Mestre, dopo anni di attesa.  Non è un museo qualsiasi. Non ci sono quadri alle pareti ma immagini virtuali che dialogano e coinvolgono il visitatore. Dedicato ai cambiamenti sociali, economici, urbanistici, tecnologici e di costume avvenuti nel XX° secolo, il migliore e il peggiore dei secoli,  tale museo potrebbe essere replicato dovunque. Ogni angolo della Terra ha visto durante lo scorso secolo, cambiamenti straordinari, spesso cruenti ma anche tumultuosi che hanno trascinato molte ideologie e sistemi politici ad un tramonto inevitabile. La globalizzazione nella quale siamo immersi
ha fatto


pagare un costo alle identità dei territori ma ha  anche trasferito sull'economia, molti più compiti di quanti ne potesse assolvere. Mestre dista solo 5 km da Venezia ed il suo territorio è una parte amministrativa integrante  e complementare della città storica e dell'arcipelago metropolitano, formato anche da isole, laguna e mare. Il luogo in cui sorge il Museo fu per tre secoli un convento e per altri due una caserma. Il progetto realizzato fu scelto per concorso internazionale e gli autori sono gli architetti Sauerbruch ed Hutton con studio a Stoccarda. Il taglio diagonale dei percorsi collega due estremi di un isolato che fu da sempre intercluso all'uso pubblico. Si attraversa il portico dell'antico chiostro, in gran parte rielaborato e si esce accanto alla nuova struttura museale rivestita da tanti diversi tasselli colorati.
Ma ciò che più conta è ciò che si può cogliere visitando i suoi piani interattivi. L'archivio fotografico di cui dispone racconta una storia urbana fortemente compromessa e devastata da operazioni speculative ed industriali che hanno lasciato pesanti eredità ai contemporanei. Ed è a questo punto che il Museo affronta un bivio. L'operazione estetica dell'intervento pare riuscita, anche se alcune  demolizioni  hanno contaminato il restauro, negando in corso d'opera, quel percorso della memoria urbana che il progetto si apprestava a documentare e diffondere. E' il caso delle ex scuderie ottocentesche in mattoni che sono state demolite e sostituite da due volumi in cemento a vista; le facciate dell'ex convento sono state poi fortemente trasformate anche nelle parti rimaste integre. E' prevalsa una linea di restauro più usata in Germania, meno in Italia, dove il contemporaneo sovrasta il passato o lo contamina in modo prevalente. Tuttavia la questione riguarda un altro piano ed attiene alla funzione civica del museo ed al suo scopo utilmente "eversivo". Alcuni sperano che esso generi l'effetto "Bilbao" che innescò la rinascita della città basca con il Museo Guggenheim. Ma la capacità di lasciare al visitatore una idea critica sui meccanismi di sviluppo urbano, varrebbe più di ogni altro argomento perché porterebbe
in primo piano elementi valoriali, sempre di attualità, anche nella  città che ospita il Museo. A 60 anni dal primo Piano Regolatore per Venezia e per Mestre, sarebbe utile riflettere sui risultati di una lunga stagione urbanistica nel territorio, attraversata non solo da passioni civili ormai lontane ma, come anche altrove, da compromessi, abusi ed interessi vari, arretramenti ed avanzamenti culturali. Questioni che agitano le generazioni attuali e che per denaro, distorsioni ideologiche, modesta o diversa visione del mondo, esprimono  i tempi e la storia.
Al Museo serve attrarre un numero di visitatori elevato anche per sostenersi sotto il profilo economico. Per questo una parte consistente viene affidata al settore commerciale ospitato nella zona un tempo conventuale.  Il marketing anche in architettura, ha fatto sempre più avvicinare un manufatto ad un prodotto. Se il Museo sarà soprattutto una vetrina neutra su quanto avviene anche oggi al suo intorno, avrà in gran parte tradito se stesso. Resterà una scatola interessante per gli effetti scenici e anche per la sua architettura ma non per la diffusione del pensiero critico. Torna alla mente come il filosofo Socrate insistesse con i suoi alunni sulla propria unica certezza: quella di "non sapere". Egli non dava quindi mai delle risposte certe e preferiva orientare gli altri verso la verità. Le stanze di un Museo che ha queste ambizioni, dovrebbero essere attraversate dal "dàimon", la coscienza che si fa sentire per chiamarci alle responsabilità.
Compito arduo che si riassume in un altro pensiero di Socrate: "Esiste un solo bene, la conoscenza e un solo male, l'ignoranza". Ma una volta entrati nella conoscenza non si può restare inerti. Occorre sempre testimoniarla.
  


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