sabato 27 febbraio 2021

CENTRI STORICI DEL VENETO

CENTRI STORICI DEL VENETO   di  Gianfranco Vecchiato


Montagnana (PD)
L'importanza dei centri storici anima sempre i dibattiti e le riflessioni. L'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) e la Federazione degli Ordini Architetti del Veneto (FOAV) se ne occuperanno in un prossimo convegno dal titolo "L'Urbanistica dei centri storici del Veneto". Entro anch'io in argomento spostando l'analisi sul più vasto ambito dei "territori storici", che inglobano i centri di città e paesi. Le interazioni socio economiche e culturali si sono dilatate, superando i perimetri urbani, coinvolgendo e saldando molti frammenti dei quattromila "centri storici" catalogati nell'Atlante regionale del Veneto fin dagli anni '80. Strumento utile anche per il controllo dei piani territoriali di coordinamento, l'Ente regionale e i Comuni, si trovano a gestire più variabili contemporaneamente. Da una parte le tutele e dall'altra le pressioni per investimenti. I centri storici sono una mèta obbligata dei viaggi in
Portobuffolè (TV)
Italia e non mi riferisco solo alle città capoluogo ma anche ai numerosi piccoli paesi sparsi su un'area sempre più urbanamente antropizzata. Il Veneto ha un primato turistico ineguagliabile e nel 2019, prima della pandemia, si superarono i 70 milioni di presenze, calate a metà nel 2020 quando le conseguenze della epidemia hanno fermato gli spostamenti. Venezia ha superato nel 2019  trentadue milioni di presenze subendo assalti invasivi che hanno messo in crisi i trasporti, la vita di relazione degli abitanti, il funzionamento delle strutture sottoposte a carichi umani insostenibili. E'  mancata la programmazione consegnando il suo destino alla monocultura turistica che ha
Venezia - ponte di Rialto
inghiottito la città  attraverso l'abbandono di residenze sostituite da B&B, affittacamere, ostelli, pensioni, alberghi. Di conseguenza si sono chiusi negozi di vicinato ed aperti ristoranti, bar, pizzerie, bigiotterie e cose di questo tipo che hanno spostato sulla rendita facile e rapace molte attività. Poi è accaduto l'imprevedibile. Il diffondersi del virus ha messo a nudo il deserto sociale creato da tale sistema che progressivamente ha portato i 170mila residenti nel centro storico registrati nel 1951 ai 50mila odierni. Gli effetti si sono riverberati nell'ultimo decennio anche su Mestre e sul più vasto territorio circostante che viveva su Venezia, lucrando sugli arrivi turistici senza sosta. Questo sistema ha avvelenato i pozzi della storia di Venezia, arricchendo alcuni ma impoverendone le fonti umane e più autentiche. Molti ora dicono che occorre cambiare radicalmente  questa politica dissennata. Ma si sa già che  questa sarà una sfida difficile da vincere pur dovendo provarci. L'imponenza del fenomeno turistico è andato troppo avanti ed
Treviso
stato a lungo assecondato passivamente non considerando i costi sociali di quanto avveniva. Lo storico Salvatore Settis tra i modi in cui muoiono le città ha posto quello della perdita da parte degli abitanti della memoria di sè per cui senza accorgersene diventano stranieri a se stessi, nemici di se stessi. E molte città storiche, tra cui Venezia, secondo Settis, sono insidiate dalla resa ad una falsa modernità, dall'oblio di sè. Occorre ritrovarne l'anima e il linguaggio perchè le pietre, gli uomini, le parole e le tradizioni si saldano fra loro. Citava Settis l'esempio di piazza Santa Croce a Firenze, ma ciò varrebbe anche per Venezia, con le abitazioni acquistate da stranieri. Tra quelle case si è persa la parlata toscana e rischia così di essere un luogo urbano snaturato.  Perciò le opportunità date ai centri storici non devono diventare il loro problema occorrendo agire 
Verona
bilanciando investimenti e ponendo dei limiti e dei freni. I centri storici sono poi attaccati dalle rendite cosiddette "parassitarie", nel senso che i costi elevatissimi degli affitti generano a loro volta una selezione nelle possibilità di sostenerli. Un negozio di frutta e verdura o di alimentari non può reggere spese esorbitanti e quindi se ne va, chiude perchè non viene sostenuto da politiche fiscali adeguate e i loro servizi non vengono invece ritenuti necessari ed indispensabili per mantenere il tessuto umano residente. 
Infine la diffusione di ipermercati attorno alle città, ha contribuito a svuotare la specificità che faceva dei centri storici  dei naturali centri commerciali.  
Castelfranco Veneto (TV)
Il  diffuso  policentrismo veneto ha messo in evidenza le caratteristiche essenziali del centro storico che risiedono nella qualità della composizione e stratificazione urbana ed edilizia, nella forte connotazione identitaria, nella singolarità della strutture territoriali date dalla continuità nel tempo delle modifiche intervenute. Questi luoghi contengono il DNA urbano, le memorie che come le rughe nelle persone, si caricano di tramandi sequenziali:  le opere, le generazioni e gli ambienti si saldano strettamente. Ogni volta che si modifica un territorio  accade come per un bosco, dove la deviazione di un corso d'acqua impoverisce  e danneggia le piante, modifica flora e fauna. Così i contesti territoriali se subiscono dei cambiamenti sostanziali, accelerano le mutazioni artificiali delle consuete condizioni di vita e delle relazioni umane. Non è facile incrociare la didattica con la denuncia, la proposta con l'immaginazione, l'economia con i bisogni, specie in quest'epoca di regole imposte dall'epidemia. Dopo le analisi le conseguenze portano a doversi scontrare con alcuni settori
Vicenza
 economici e altre resistenze. Se i problemi non sono percepiti come gravi e le proposte divergono tra visioni politiche e competenze istituzionali ai dibattiti non seguono le riforme. L'assalto ai centri storici è iniziato da molti decenni. A Venezia iniziò fin dalla occupazione prima napoleonica e poi austriaca della città che interrò canali, demolì chiese, chiuse monasteri e isole. Bisogna ora civilmente scegliere se il discutere tra categorie porterà ad una comune visione culturale riguardo ai centri storici. E perchè ciò sia dimostrabile occorre entrare sui fatti. Ad esempio,  perchè a Venezia con l'avvallo delle istituzioni si è consentita alcuni anni fa la realizzazione dell'ampliamento dell'albergo denominato il "Cubo" a piazzale Roma, e perchè si è di recente  autorizzato, sempre dalla Soprintendenza, l'unica istituzione che poteva realmente impedirla,  la demolizione della ottocentesca Torre Piezometrica, per allargare il Garage S.Marco. Come mai si sentono flebili difese da parte delle categorie dinanzi a questi casi. 
Altro esempio riguarda il tema del riuso dei padiglioni
Museo del Castelvecchio a Verona
ex ospedalieri a Mestre, che alcuni architetti vorrebbero  demoliti, o le difficoltà nel recupero dell'Antica Posta in piazza Barche, anch'essa soggetta a progetto di demolizione. Ho citato casi già trattati su questo blog ma si possono ricordare le antiche vie d'acqua, le marcite, di Battaglia Terme che  il piano regolatore di espansione metteva a rischio paesaggistico, nel silenzio della categoria degli architetti o i delicati tracciati stradali nel vicentino che tagliavano l'area delle ville palladiane,  i progetti di Ipermercati nei pressi del Castello del Catajo a Due Carrare,  o di
Verona
Palazzo Te a Mantova, e per restare nel Veneto tutti quegli interventi di incremento volumetrico consentiti dalla legge regionale veneta,  fino al 60% in più rispetto all'esistente,  anche nei perimetri adiacenti ai centri storici... Non ci sono posizioni antimoderne ma solo anticulturali. Quando Carlo Scarpa intervenne nel recupero, restauro e  rilancio del Museo del Castelvecchio a Verona compì un'opera magistrale e  sapiente, salvaguardando l'anima dell'edificio ed inserendovi suggestioni che non sono soltanto contemporanee ma oltre il tempo perchè  coesistono  insieme ai reperti antichi.  Negli anni
Rovigo
'20 e '30 prevalse una idea urbana violenta che rompeva, demoliva, distruggeva interi quartieri antichi nei centri storici in nome di una supposta modernità. Poi il dopoguerra non frenò tali manomissioni e così i centri storici di molte città come Firenze e Roma, subirono mutilazioni importanti, sventramenti , che riguardarono nel Veneto Padova, Verona e la stessa Venezia.
Molte recenti leggi di salvaguardia consentono di avere strumenti migliori di tutela ma senza analisi politiche, le migliori riflessioni professionali si arenano su un binario morto. L'urbanistica non è più da tempo materia per soli specialisti.  Occorre  inserirla a pieno titolo come materia scolastica fin dalle elementari. Le opinioni consapevoli della gente comune, che vive e lavora nei territori storici, possono aiutare a migliorare una cultura  capace di collegare la 
Asolo
vita economica con quella di relazione partendo dalle scelte dal "basso" e non solo dai vertici. Alcuni usi dei centri storici sono stati compromessi anche da  idee  prestate se non asservite a lobby finanziarie. Si spiega così la progressiva contaminazione nel nome di "centro storico". Esso venne coniato per la prima volta da Giovanni Astengo nel  Convegno  che si
Feltre (BL)
tenne nel settembre del 1960 a Gubbio da cui uscì approvata alla unanimità una Carta, detta di Gubbio. E Astengo fu molto vicino alle posizioni intellettuali di Adriano Olivetti che sulle città e sui rapporti umani che si innervavano da queste, prese ad esempio la linfa naturale degli alberi, attraverso i rami e le foglie. I Centri storici sono la linfa che sostiene l'idea stessa di città. Quella che uscì a Gubbio, ormai più di 60 anni fa, era una  tavola delle leggi per tutelare e valorizzare il patrimonio dei nostri centri storici. 
Ma a più di due generazioni di distanza molte di quelle intenzioni non si sono avverate. e anzi sono state disattese con dubbia moralità e lucida anti cultura.  


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