venerdì 20 marzo 2020

L'ANTIMODERNO

L'ANTIMODERNO          di Gianfranco Vecchiato                                                                     

Vittorio Gregotti (1927-2020)
Il bollettino di guerra di questi giorni d'assedio, riporta tra i caduti del 15 marzo anche il nome del novantaduenne Vittorio Gregotti, noto a  generazioni di architetti in tutto il mondo. E' uno dei "vecchietti" morti per Coronavirus, in una Italia anziana che, secondo il Presidente brasiliano Bolsonaro, di origine veneta, spiegherebbe le tante vittime del contagio nel nostro Paese. La circostanza ha impedito funerali pubblici e trasformato l'omaggio in ricordi a distanza.
"Il territorio dell'architettura", un suo libro pubblicato nel 1966, racchiude molti suoi pensieri. Di Gregotti ho un ricordo personale. 
Cassa Risparmio ex Zuccherificio Cesena 2004
Lo incontrai ad un funerale a Venezia, per la scomparsa di un docente dell'Istituto di Architettura, mio amico e collaboratore di Studio della Gregotti Architetti Associati. 
La commemorazione avvenne nel cortile dei Tolentini, antica sede della Scuola e si concluse con alcune sue riflessioni sulla ricerca di eternità che l'architettura insegue, immaginando che lo spirito
Edificio U10 Milano 2014
creativo sopravviva nella storia e che esso si trasferisca per contagio, come un virus buono, tra menti elette. In questi giorni l'ho ricordato rileggendo una delle sue ultime interviste, quando nel 2017 chiuse lo studio
 associato fondato nel 1974. "L'architettura non interessa più" affermava un po' deluso. "Ho sempre concepito l'architettura come un prodotto collettivo, un valore che si è perso. E' andato smarrendosi anche il disegno complessivo della città, che viene progettata per pezzi incoerenti, troppo regolata da interessi. Con la globalizzazione sono saltate le differenze fra culture." 
Anfiteatro sospeso 1973/79 Parigi
A chi gli contestava il quartiere
Quartiere Bicocca Milano
Zen di Palermo, divenuto un esempio suburbano di emarginati,  rispondeva che il tema della eliminazione del concetto di periferia fu perseguito forse con qualche illusione, pensando a costruire quartieri mescolati socialmente e dotati delle attrezzature che ne facevano parti di città e non luoghi ai margini. Ma a quelle esperienze si sono poi sostituite le coincidenze "tra interessi speculativi e l'annullamento di ogni idea progettuale." In una intervista di qualche anno fa, al giornalista che gli chiedeva se avrebbe vissuto in un alloggio popolare  da Lui progettato allo "Zen" di Palermo, rispose con stizza un pò borghese: " Ma io non sono un operaio..." Sollevando polemiche e rivelando un modo di essere, frequente in molti intellettuali, Gregotti tuttavia fu un buon insegnate. Egli riteneva sbagliato che ai futuri
Centro Culturale Belèm -Lisbona 1993
architetti la scuola insegnasse a "coltivare una pura professionalità" ed a saper corrispondere alle esigenze del committente, attirandoli con idee figurative. "Si dimentica, diceva, che i materiali dell'architettura non sono solo il cemento o il vetro ma anche i bisogni, le speranze e la conoscenza della storia". Nemico di una estetica fine a se stessa, criticò le opere di Zaha Hadid perchè esse "sono il ritratto della dissoluzione dell'architettura per far posto ai modelli stellari di Flash Gordon.
Quartiere Zen a Palermo
Tutto deve essere curvo e sghimbescio. Non si tratta solo di oblio della tradizione classica, gotica del progetto europeo, ma anche di quella islamica o indiana, cinese o persiana. Futuro assoluto, sospeso al di sopra del suolo e di qualsiasi miseria umana? E' una architettura capace di stare sul mercato delle merci che denota genialità e spregiudicatezza. Ma l'architettura e le città hanno caratteri di permanenza e non di provvisorietà. Non si tratta quindi di magie ma di illusioni..." E' scomparso, e ci mancherà, un architetto scomodo e scontroso che contribuiva a tenere in fermento il dibattito culturale. Di origine piemontese ma milanese nello spirito, aveva iniziato la carriera nello studio di Ernesto Nathan Rogers,
Università della Calabria
esprimendo le sue prime idee alla Triennale di Milano. La polemica culturalmente argomentata  lo portava a guardare alla modernità nella tradizione urbana e storica dei luoghi in cui si progetta un'opera. In questo egli è stato un "antimoderno". Progettista e saggista, direttore di Casabella, amava il "razionalismo critico" che emergeva nelle lezioni che tenne a Venezia e poi al Politecnico di Milano, quindi a Palermo ed in altre università nel mondo. Dalla sua prima opera del 1960,  il Palazzo per uffici a Novara, sua città natale, fino ai tanti progetti sparsi in Italia ed all'estero, Gregotti ha  sostenuto la necessità di dare ordine alla complessità dei sistemi sociali ed economici attraverso le forme e la storia. Alcune sue esternazioni sono state criticate come contraddizioni alla sua indole borghese. Cosa
Case ex Saffa - Venezia
che non mascherava ma che anzi sottolineava, da raffinato intellettuale che sapeva unire  la musica, la letteratura, l'arte e la  professione. E' stato a suo modo un "barone" dell'architettura italiana, che si servì  della politica e ne venne da questa ricambiato. Su alcune opere alla moda, non aveva peli sulla lingua. A proposito del verde verticale disse: " non mi pare molto diverso dal balcone pieno di piante di mia zia..." Sull'urbanistica aveva chiara l'idea, uscita dagli anni '70,  che alle città occorresse restituire la "qualità diffusa" e non una somma di singoli progetti architettonici. Sfogliando tra le sue teorie si ritrova un breviario che fa riflettere: La forma del territorio, l'architettura e la storia, il tipo, l'uso e il significato. Colpito da un virus che lo ha isolato nell'estremo istante, dal resto del mondo, ci lascia il messaggio di un contagio diverso, quello che si spande nell'aria e tra le menti, in eredità di spirito e di testimonianza. 


Quartiere ZEN a Palermo
Palazzo per Uffici a Novara 1958/60
Arch.V.Gregotti-L.Meneghetti-G.Stoppino
Chiesa Massimiliano Kolbe - Bergamo

















Nessun commento:

Posta un commento