sabato 24 maggio 2014

RITRATTI DI VENEZIA


RITRATTI               di Gianfranco Vecchiato

Il Doge Leonardo Loredan
Giovanni Bellini 1501
In una parete di Palazzo Mocenigo, a Venezia, sfilano i quadri
Il Doge Giovanni Mocenigo
Gentile Bellini 1480
di generazioni della nobile casata. Alcuni sono dipinti da mani famose, altri sfumano allo sguardo. Da una finestra aperta provengono voci e lo sciabordio dell'acqua al passaggio di una barca nel canale. La storia di secoli si nasconde fra le pareti di antichi edifici accostati a case semplici, e riflette un qualche senso del tempo. Il patriziato veneziano abitava accanto al popolo. Un Palazzo nobile e una casa del pescatore, tra le calli dove si incrociavano un andare e venire di chiacchere e confidenze. Nel settecento, Carlo Goldoni, che conosceva e rappresentava nelle sue commedie gli umori della città, osservava che "le bugie sono per natura così feconde che una ne suole partorir cento". Arguzia, eleganza, avventura e arte, si mescolavano nei miti veneziani ancor prima dei tempi di Casanova. Ma gli Affari dello Stato erano avvolti dal giuramento del segreto. La rotazione periodica delle cariche pubbliche, garantiva il servizio di buon governo più della carriera personale. Lungo le rotte sul mare, Venezia portava i suoi commerci, le sue stoffe, i suoi vetri, la sua lingua gentile, parlata dal popolo e dal Doge. La Repubblica credeva in Dio, rispettava il Papa ma eleggeva i suoi Vescovi in autonomia e nella divisione delle competenze tra lo  Stato e la Chiesa. Colpita più volte da pestilenze, la città non  si piegò mai alle tragedie. 
Venezia / Palazzo Ducale 
Recuperò in se stessa le energie, rilanciando sempre il proprio Destino. L'antico veneziano portava e toglieva: trafugava spoglie di Santi, statue, marmi, pietre e portava spezie, tessuti, ceramiche... Combatteva sui mari contro altri mercanti, genovesi o pisani e specialmente contro i Turchi in una strenua difesa dei propri interessi territoriali e  dei confini della Fede. Ma l'interesse per il commercio  prevaleva e in tante occasioni il rispetto tra avversari fu reciproco. In città la comunità Turca aveva un "fondaco", così quella  Tedesca, Armena, Greca... Il veneziano conosceva la parola "Onore" e la forza riconosciuta della diplomazia. Nel corso del XVIII° secolo, la Serenissima rifletteva sulla sua fine. Ne era consapevole da tempo.  Fin dalla scoperta del Continente americano che aveva spostato il baricentro commerciale dal Mediterraneo all'Atlantico. Fu un errore non cimentarsi con nuove rotte. Si rinchiuse nel motto: "Meglio essere Grandi tra i piccoli che piccoli tra i Grandi." L'apertura del canale di Suez avvenne nel 1869, settantadue anni dopo la caduta di Venezia. Troppo tardi. Il vaporetto che sfila sul Canal Grande è spesso un testimone stanco di attraversare i segni e le rughe con gli occhi digitali di milioni di turisti. Quaranta generazioni e  poco più di tre milioni di uomini e donne sono stati quel popolo che in 1000 anni da case nate sull'acqua e dal fango, da villaggi di pescatori, e da silenziosi confini, ha saputo creare Chiese, Palazzi, Monumenti, Arte, Cultura. Quanto resta di ieri viene oggi spremuto, sfruttato, consumato e lentamente distrutto. I quadri del Guardi, del Tiepolo, del Canaletto, del Tiziano, fissano una metafora tragica e gloriosa. I Musei, le Chiese, le luci, i tramonti, la vira che continua, gli amori che nascono, ricordi che svaniscono. Ancora per quello che può fare, il suo spirito emana poesia e aiuta il tempo presente. Ma quel mondo antico non c'è più. Per cercare di capirlo  basta entrare nella grande splendida Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale.
Venezia / Sala del Maggior Consiglio
Sopra ad un tronetto, il Doge riceveva gli Ambasciatori accreditati presso la Repubblica, e le Delegazioni straniere. All'ingresso in quell'enorme spazio, che poteva ospitare oltre 1000 persone, si resta senza fiato. La diplomazia veneziana se ne serviva per mettere in soggezione gli ospiti. Una sala di 1.300 mq, lunga oltre 52 metri, larga quasi 25 ed alta 11,50 metri, priva di colonne e con le pareti e il soffitto, totalmente decorati e dipinti dal Veronese, da palma il Giovane e soprattutto dal Tintoretto, che qui dipinse il Paradiso, il più vasto quadro ad olio del mondo. La copertura  è  sostenuta da 18 capriate in legno di larice, che coprono  tutta la sua larghezza:  un'opera unica. Poi il Doge scendeva nella sua Cappella privata che era la Basilica di San Marco (!), ricoperta da statue, mosaici e da decori,  passando per la Scala dei Giganti, in una apoteosi di Arte e di scenografie.  I 76 ritratti  dei Dogi che sono nella Sala del Maggior Consiglio, interrogano i contemporanei . Nelle memorie "Le mie prigioni" , scritto da Silvio Pellico e pubblicato nel 1832 e che fu arrestato dagli austriaci e tradotto nel 1821 al carcere dei "Piombi" presso il Palazzo Ducale, Egli descrive lo stato d'animo di quei mesi tormentati dal calore e dagli insetti mitigato da un altro ardore per il luogo in cui era rinchiuso : "... il più magnifico cielo mi stava dinanzi : io dominava tutta quella parte di Venezia ch'era visibile dal mio carcere: un rumore lontano di voci umane mi feriva dolcemente l'orecchio. In quel luogo infelice ma stupendo..."  Bisognerebbe capirla quella sensazione struggente che nasceva da un moto dell'animo.  "Quel luogo infelice ma stupendo"   dischiudeva il suo pensiero alla libertà.  E' una delle prerogative della bellezza, anche dell'architettura. Che in epoca contemporanea sa raramente raggiungere . E' forse per questo che ci si accanisce ad omologare, quando si può, un mito irraggiungibile.


C.Felice Biscarra (1790/1859) La Nuit
Arresto di Silvio Pellico a Venezia

Una cella ai "Piombi" di Venezia
Venezia: Il ponte dei "sospiri"
che conduceva ai "Piombi"

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